Fra Tommaso Campanella, Vol. 2. Amabile Luigi
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Название: Fra Tommaso Campanella, Vol. 2

Автор: Amabile Luigi

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ unico «utile al Re prima che al Papa», dell'essersi mosso a preparare la repubblica «per istinto divino e perchè spettava a' Domenicani il prepararla», e parimente degli scopi singolari affibbiati a tale repubblica. Non riesce poi certamente a combattere i testimoni dicendoli «complici e scelleratissimi», giacchè l'esistenza del reato veniva con ciò tristamente ribadita, e per la giurisprudenza del tempo nel reato di Maestà anche i complici valevano a convincere; nè riesce esatto dicendo che «tutti ne' tormenti aveano negato di essersi accordati con fra Tommaso intorno alla repubblica» e però fra Tommaso sarebbe stato il solo a volerla, mentre invece taluni erano risultati confessi di avervi direttamente o indirettamente aderito. E guardando alle obiezioni avverso ciascun testimone, debolissime riescono p. es. quelle fatte al Petrolo, e quanto al Pizzoni, niente di serio prova l'enumerazione delle sue scelleraggini ed infamie passate, le quali non aveano mai impedito che fosse corsa tra lui e il Campanella una grande intimità; nè prova molto la ritrattazione da lui fatta ma non mantenuta, e l'essere stato bilingue prova tutt'al più che gli avea mancato di fede, denunziandolo in un reato nel quale erano complici, ma non che il reato era stato da lui inventato. Quanto al Caccìa ed al Crispo, non riescono facilmente ammissibili le spiegazioni date per mostrare la loro inimicizia verso di lui, mentre egli si era mantenuto in istretta relazione con loro, e massime con l'ultimo avea tenuto una corrispondenza scritta, assai compromettente e caduta nelle mani del fisco; quanto al Pisano ed al Vitale, è vero che costoro non aveano mai parlato con lui, ma aveano pur troppo parlato co' due suoi più attivi compagni, fra Dionisio e Maurizio, l'uno lasciato dal Campanella assolutamente nell'ombra, l'altro posto sotto una luce orribile; d'altronde, circa le ritrattazioni avvenute per taluni di costoro in punto di morte, esse a quel tempo nemmeno godevano molto credito, sapendosi che erano troppo spesso dovute alle istanze de' superstiti, e alla credenza che fosse opera cristiana e meritoria l'aiutarli. Quanto a Maurizio, l'inimicizia di costui non riesce concepibile, mentre in tanti tormenti sofferti non aveva mai nominato il Campanella, e le storie postume di tale inimicizia, come il movente delle ultime rivelazioni da lui fatte, appariscono asserzioni inventate pe' bisogni della causa: sul fatto medesimo dell'avere Maurizio deposto che il Campanella non avea voluto il soccorso de' turchi, fatto ripetuto costantemente dal Campanella, c'era un po' di equivoco, giacchè Maurizio avea con lealtà deposto di essere spontaneamente andato presso i turchi, non già che il Campanella fosse propriamente contrario alla dimanda di questo soccorso, mentre invece egli appunto ne avea fatto sorgere il pensiero. Ma del resto lasciando anche da parte tutte le testimonianze di questi «complici e scelleratissimi», c'era la testimonianza dello stesso Campanella, la Dichiarazione scritta in Castelvetere, suggellata dalla confessione orale in tortura; e il Campanella nella sua Difesa accenna appena a questa confessione, la quale era sempre della più alta importanza, giacchè, pur quando avesse potuto dimostrare di non essere stato convinto, gli rimaneva ancora a dimostrare di non essere stato confesso; egli si limita a dire, col solito tentennamento, una volta che «dalla sua confessione si provava solo che non avrebbe fatta la repubblica se non quando fosse avvenuta mutazione», ed un'altra volta che «dalle sue parole nel tormento non si provava l'intenzione di ribellare, bensì il contrario», laonde questo lato importantissimo della difesa apparisce deficiente. Infine torna anche inutile per lui ricordare che i primi Giudici erano nemici e venali, quando le imputazioni risultavano confermate innanzi a' successivi; inutile far notare che lo Sciarava si era servito di tormenti gravissimi, quando la giurisprudenza concedeva di potersene servire nel caso di lesa Maestà; inutile distinguere il reato commesso e il reato semplicemente voluto quando la giurisprudenza nel caso di lesa Maestà assegnava la pena medesima all'uno ed all'altro; inutile discutere le condizioni in cui si poteva consegnare il Clerico alla Curia secolare, quando il Breve Papale aveva conceduto che le si consegnassero quelli «legittimamente convinti o confessi». In conclusione le Difese del Campanella non avrebbero potuto distruggere l'imputazione fattagli, perchè la sua causa disgraziatamente era insostenibile con efficacia. Gli Articoli profetali da lui scritti, senza contare quello serbato in petto concernente la Monarchia a lui profetizzata dall'astrologo, valevano bene a dimostrare che egli penetrato di certi principii superiori aveva agito in conseguenza di essi: ma non era stata per anco fatta a que' tempi la grandiosa scoperta della forza irresistibile, e l'opera sua, comunque ricinta di certe condizioni, non era e non poteva essere che una congiura, un disegno di ribellione, e i Giudici non avrebbero potuto profferire altra sentenza che quella di consegna alla Curia secolare. Egli medesimo si contentava allora di ciò che lo rese scontento in sèguito, quando il caso glie lo fece ottenere, di esser messo in custodia fino all'avveramento della predizione sua; e si sa che il tempo ne era definito sino ad un certo punto, lasciando un margine più che largo, come rilevasi chiaramente dalla stessa edizione posteriore de' suoi Articoli profetali. Dopo tutto ciò può ognuno formarsi un criterio intorno alla colpabilità del Campanella nel delitto appostogli; a noi essa apparisce manifesta.

      Ci rimane a parlare dell'Appendice o Lettera «ad amicum pro Apologia», scritta, come abbiamo veduto, subito dopo le Difese. Quale oggi la possediamo, essa trovasi in coda a ciascuna delle tre copie ms. degli Articuli prophetales, ultima ricomposizione, che si conservano in Roma nella Casanatense, in Napoli ed anche in Madrid nelle rispettive biblioteche nazionali. Il Berti fu il primo a scovrirla nella Casanatense, e nel 1878 ne diè un sunto molto preciso, giudicandola documento valevolissimo a smentire l'esistenza della congiura. Noi la diamo per esteso, nella lezione della Casanatense e in quella di Napoli, giacchè ognuna di esse è molto scorretta e può l'una correggersi con l'altra, raccomandando a' lettori di percorrerla nella sua integrità: essi la giudicheranno probabilmente, come noi la giudichiamo, un documento apologetico, al pari delle lettere del 1606-1607 e della Narrazione che il Campanella scrisse tanto più tardi, per giustificarsi alla meglio e in tutti i modi, i quali d'altronde non escono dall'ordine de' modi da lui adottati e ripetuti sempre; nè sfuggirà certamente la concordanza de' concetti in essa svolti con quelli svolti nella Difesa. Diciamo d'un tratto che la Lettera apparisce scritta ad un compagno di carcere similmente frate, con ogni probabilità a fra Dionisio, durante la causa della congiura, dietro il risentimento di costui perchè le mutazioni previste non erano succedute o erano succedute a rovescio, ed anche perchè avea confessato di voler predicare la repubblica. Ma eccone una rassegna particolareggiata. Il Campanella vi ricorda aver detto che dall'anno 1600 in poi sarebbero succedute grandi novità, ed afferma che sul negozio di Calabria l'amico dovea sdegnarsi non già contro di lui ma contro sè stesso, che avea parlato di ciò che meno comprendeva. Che egli vide una cometa marziale la quale correva dall'oriente all'occidente, ed argomentò che sarebbe venuta gente estranea contro i Reggitori della Provincia, ma non potè vedere che razza di gente si fosse, e vennero i Capitani Regii e desolarono il paese (infatti venne Carlo Spinelli avverso a De Roxas Preside della Provincia, ma di questo pronostico sbagliato da cima a fondo avrebbero potuto forse rimanere capacitati i Giudici, non mai l'amico suo). Ed estendendosi ne' prodigi apparsi «che poteano muovere ogni savio a parlare», dice che nelle sue predizioni non tocca questo Regno più che lo stesso mondo, di cui preconizza la fine (veramente nella Dichiarazione avea ammesso di aver predetto le mutazioni pel Regno di Napoli), ed annunzia la fine del mondo e la Santa repubblica aspettata da' profeti, da' filosofi e dalle genti; e dice che l'amico non può far difese se egli non parli ai Giudici, la qual cosa non si permette (ma pure fino ad un certo punto ne aveva parlato a' Giudici ed anche dettato uno scritto per uso del Sances). Predice all'amico che la congiunzione magna gli sarà fatale e non potrà sfuggire agli spagnuoli, che gli sovrasta la morte ne' 38 anni di età, come a sè stesso sovrasta ne' 43, e quindi gli raccomanda di trovar mezzi perchè la causa sia finita prima di tre anni (donde si dovrebbe inferire che la lettera fosse stata scritta dopo la sospensiva prodottasi nella spedizione della causa, vale a dire dopo il 12 aprile, ma bisogna sempre tener presente che si ha sott'occhio un esemplare della lettera rifatta). Passa a giustificarsi dell'aver confessato di voler predicare la desiderata repubblica, se fatalmente fosse avvenuta la rovina del Regno e della Provincia, raccogliendone i residui su' monti: io, egli dice, non ho confessato eresia nè ribellione, ma di aver voluto profittare di un male volgendolo in bene; così non furono i Veneti ribelli all'Impero, quando percossa Aquileia da Attila ripararono nelle lagune e costituirono una nuova repubblica libera dall'Impero. E poi dice che spettava a' Domenicani predicare tale repubblica, e lo dimostra co' testi ecclesiastici, con S. Vincenzo Ferrer, S.ta Caterina, l'Apocalisse, e cita fra Rusticano, Savonarola, M.o Catarino, il B.to Raimondo etc., e nota che quelli i quali tengono la fede per ragion di Stato giudicano che essi pure abbiano СКАЧАТЬ