Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro - Giovanni Pascoli страница 20

Название: Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro

Автор: Giovanni Pascoli

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070403

isbn:

СКАЧАТЬ che vide nelle rupi e non vi scoperse! Se fosse lecito! Una nuova schiera s'aduna già nella ripa, venendo dalla prima morte, per passare alla seconda. Il ramo mette a ogni battito di polso, nuove foglie. Le foglie secche, rifiuto della vita e della morte, mulinano nel vestibolo che ha aperta la porta, donde viene un fioco lume. La barca di Caron vanisce via per l'onda bruna. Ed ecco colui, che, al soffio del vento e al lampo vermiglio, è caduto, si rialza con gli occhi chiusi e, insieme all'ombra del poeta morto, scivola sull'ombra e passa. I dannati che aspettano la barca e gli altri che desiderano invano di passare, si volgono, battendo i denti e anelando tra la corsa, a lui, e dicono certo quello che i discepoli di Gesù: È un fantasma! E il fantasma si trova di là. È dritto levato. Riapre gli occhi, che trova riposati dal breve sonno che fu una morte; guarda. Nulla. Non discerne nulla. È sulla proda della valle d'abisso, donde sale un tuono infinito.

      Ma forse noi dobbiamo ricorrere all'altra sacra narrazione; quella del Phase. Faraone,[211] che insegue il popolo ebreo, è in Phihahiroth contra Beelsephon. Gli ebrei hanno il Mar rosso davanti, e alle spalle i carri e i cavalieri d'Egitto. Grande è il loro timore. Nella notte l'angelo che li precedeva, si mette dietro loro e con lui è la colonna di nube; ed era “una nube tenebrosa e che illuminava la notte„. E Moisè stende la mano sul mare, e il Signore toglie via il mare, al soffio d'un vento forte e bruciante per tutta la notte (flante vento vehementi et urente tota nocte); e l'acqua si divide.

      Qui è la buia campagna, vicino a una spiaggia. Soffia un vento che brucia. Non l'interpretò Dante come luce vermiglia cui balena il vento? Dunque l'Acheronte si divise per lui? Il fatto è che questa divisione delle acque è simbolo del battesimo, il simbolo di quella via, per la quale si va nella terra promessa, fuggendo dalla lunga schiavitù, giungendo alla patria abbandonata, al porto della salute, a Dio. Questo ebbe in mente il poeta?

      E allora come traversò? Qual'è il più lieve legno che lo portò? Poichè Dante non ozia con le parole. Il nostro battesimo è nella morte del Cristo. Per questo si ha il segno della croce sull'acqua lustrale; e lo stendere,[212] che fa Moisè, la mano sopra il mare, cui Dio toglie via, è appunto figurazione della croce. E l'arca, per la quale il genere umano si salvò dalla sommersione nelle acque del diluvio, anche l'arca è imagine della croce. E la croce è detta il “legno„ o il “legno della croce„; e questo “legno„, dice e ripete S. Agostino, è la nave per passare il mare di questo secolo, e questa croce si deve abbracciare per non essere presi e inghiottiti dal gorgo di questo mondo. Udite, e basti per tanti altri, questo passo: “Tu eri buttato là lontano da quella patria. Dai flutti di questo secolo è interrotta la via, e non c'è per dove passare in patria, se non vi sei portato dal legno (nisi ligno porteris). Esso (Gesù) divenne via, e ciò per il mare; quindi camminò nel mare, per mostrare che vi era via nel mare. Ma tu, che non puoi come esso, camminar sul mare, làsciati portar per nave, portar dal legno: credi nel crocifisso e potrai arrivare„.[213]

      Che il più lieve legno sia la croce? Caron poteva dire: più lieve burchio, più lieve nave, vasel più lieve: ma dice più generalmente, legno. E dice più lieve, come a dire, che galleggi anche qua, sull'onda morta; come l'arca sul diluvio. È la croce, il legno della croce: non si può dubitare.

      Ma il poeta, sempre coerente, non spiega il mistero, che, con la spiegazione, non sarebbe mistero; non ci narra quello che egli essendo come morto, non potè vedere e quindi non può narrare. Non ci dice come materialmente con la croce o sulla croce passasse, al modo che non ci dirà come nel limbo ci sia il lume e non ci sia, ci siano tenebre e non ci siano. Certo quel passo dell'Acheronte è la morte mistica e la figurazione del battesimo, ed è con le circostanze del camminare di Gesù sopra le acque e con quelle del Phase degli ebrei, col vento forte e con la notte e col lampeggiare e con le acque. E c'è la terra che trema, come tremò alla morte del Redentore: e la terra si mosse e le pietre si spezzarono e i sepolcri si apersero:[214] e c'è la croce su cui si traversa il mare del secolo e del mondo e delle tenebre e del peccato e della morte.

       Indice

      E Dante si trova di là e discende nel cieco mondo. Virgilio gli è di guida per l'oscura contrada che a lui è pur troppo nota. All'entrare nel vestibolo Dante ha bisogno di conforto, chè sospetta e invilisce. All'entrare nel limbo, smuore, Virgilio. Non è tema, è pietà: pure può sentirsi per tema. Nel fatto, Dante mancava, nella selva, di libero volere, come se lume non avesse avuto, e Virgilio, nella sua vita lontana, quel lume non aveva avuto, e perciò non libero volere, non ragione di meritare.

      Ora Dante aveva mortificato la sua viltà all'entrare nell'inferno e nel passare tra i vili, e aveva racquistato intero il lume, morendo della morte mistica che è una seconda natività. Misticamente egli ha subìto la morte di Gesù. La terra trema per lui, come tremò per il figlio di Dio. Come il figlio di Dio, discende. Il legno della croce fu a lui veicolo, come al Possente. Egli vive, per il fatto che è morto. Virgilio invece, corporalmente morto e non più che ombra o spirito, attraversando l'Acheronte non faceva se non quello che aveva già fatto la prima volta, quando lasciò il suo corpo a Brandizio: non faceva se non morire della seconda morte. Onde la sua angoscia, per sè e per gli altri.

      Or noi dobbiamo fermare nel pensiero questo fatto. Dante morendo della morte mistica, per cui si acquista il lume e il libero volere, viene a trovarsi tra quelli che di quella morte mistica non vollero (ma quasi involontariamente, poveri bimbi, miseri spiriti magni!) non vollero morire, e perciò morirono poi della seconda morte. Dante, dunque, muore la morte, o vogliam dire mortifica in sè, la morte dei dannati che visita. Ciò almeno nel primo cerchio; e anche nel vestibolo, dove mortifica la viltà, che è quella mezza vita e mezza morte de' non mai vivi e disperati di morire.

      Ciò almeno nel vestibolo e nel limbo. O sempre? per tutto l'inferno? Pensiamo alla grande divisione: tenebra, ombra della carne, veleno.

      Il lume che non è lume, anzi è tenebra, è per certo il fuoco che non impedisce che il luogo ove raggia, non sia di tenebre; è la sapienza e scienza, qual fu di Aristotile e di Plato e di molti altri, che non adorarono Dio debitamente; sapienza e scienza che non venivano dal sereno, e non erano perciò luce, ma tenebra. E l'ombra della carne e l'oscurarsi di quel lume per via della concupiscenza. E il veleno è il corrompersi di quel lume, in modo che volga al male chi lo ha, invece di dirigerlo al bene: ed è la malizia.

      Ora noi vediamo che Dante con aperte parole dice di morire anche avanti la concupiscenza e anche avanti la malizia; di morire di quella morte che è un rivivere, e che quindi non sapremmo dire se sia vita o morte. Non sapremmo dir noi, nè sa dir esso, il poeta. Chè avanti il simbolo più comprensivo della malizia, avanti a Dite che è il re della città roggia, la quale è il regno della malizia,[215] Dante dice:[216]

      Io non morii e non rimasi vivo:

       pensa oramai per te, s'hai fior d'ingegno,

       qual io divenni, d'uno e d'altro privo.

      Resta la concupiscenza. Ebbene nel cerchio di essa, il quale punisce la forma più lieve ma più, diremo, caratteristica di essa; nel cerchio della lussuria, Dante muore.[217] Egli dice:

      di pietade

       io venni meno sì com'io morisse

       e caddi, come corpo morto cade.

      E si noti che con un processo tanto solito in Dante quanto inavvertito dagli interpreti, il poeta compie a mano a mano il suo pensiero e a grande distanza, sì che la parola ultima di quello che, se noi non attendiamo, resterebbe un enigma forte, è pronunziata molto tempo dopo la prima. Della morte alla tenebra parla come d'uno svenimento. Della morte alla concupiscenza dice, sì, che era come una morte. La prima volta cadde come uomo cui СКАЧАТЬ