Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli
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Читать онлайн книгу Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro - Giovanni Pascoli страница 17

Название: Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro

Автор: Giovanni Pascoli

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070403

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       sotto l'ombra perpetua...

      sotto l'ombra del mistero cristiano.

      Dice S. Paolo:[174] “Ignorate, o fratelli, che quanti fummo battezzati In Gesù Cristo, fummo battezzati nella morte di lui? Siamo stati seppelliti, mediante il battesimo, con lui alla morte (in mortem), affinchè come esso risorse dai morti, per la gloria del padre, così noi camminiamo nella novità della vita„. Da questo e altri luoghi dell'apostolo delle genti, i mistici, e a capo di loro S. Agostino, hanno tratti molti profondi concetti, i quali Dante ha atteggiati e dramatizzati per sempre. In lui e per lui l'astrazione palpita e il mistero cammina e si vede. Or noi vediamo qui Dante morire ed essere seppellito, poichè alla fine esce da una tomba. Non è egli seppellito alla morte? non egli è seppellito dopo il battesimo? sì che poi cammina per la via nuova del solingo piano, sotto ignote stelle, presso acque ignote[175]. Nè tuttavia risorge allora veramente, come vedremo. Sì. Abbiamo detto che il vestibolo rappresenta lo stato dell'anima di chi non fece atto di libero arbitrio, come se non avesse ricevuto quel lume di grazia, che fa discernere il bene dal male. Questo lume, questa prudenza si infonde col battesimo negli uomini, per non parlare qui degli angeli. Or quelli sciaurati è come se non fossero battezzati. E simile è la selva al vestibolo, e Dante nella selva era come un ignavo nel vestibolo. Dunque era come non battezzato.[176] Il suo uscir dal vestibolo, passando l'Acheronte, è come dunque il suo passar la selva: è riacquistare quel lume e quella libertà che il battesimo infonde.

      Ora il battesimo è appunto la morte mistica dell'anima.[177] Noi siamo battezzati nella morte di Gesù. E Gesù, per ciò che morì (sono parole di Paolo), morì al peccato; il che dichiara S. Agostino dicendo che non propriamente al peccato morì, ma alla carne cioè alla somiglianza del peccato.[178] E noi perciò in lui, cioè nella sua morte, cioè nel nostro battesimo, moriamo al peccato. E il peccato è la morte; dunque moriamo alla morte. Dante muore alla morte, cioè rinasce alla vita, perchè quella morte mistica è una natività.[179]

      Ora se chi muore, prima era vivo, anche chi rinasce, doveva prima essere morto. Questo noi dobbiamo aspettarci che Dante dica di sè, se ciò che dimostrai vero, è vero. Ebbene sì, Dante prima d'uscir dalla selva, la quale è uguale al vestibolo, era morto, o quasi morto. La selva

      tanto è amara che poco è più morte.

       E abbiamo spiegato perchè egli era quasi morto, non morto del tutto. Egli aveva avuto il lume di grazia, e questo di quando in quando tornava a splendere per lui. E così quelli del vestibolo il lume l'ebbero, se il volere non lo vollero avere; e sono perciò anch'essi quasi morti, non al tutto morti. Difatti invocano la morte. Ma vivi del tutto non sono per ciò, che la loro vita è cieca e bassa.

      Ma una differenza è pur essenziale tra l'errante nella selva e i correnti nel vestibolo. Questa: che l'uno è corporalmente vivo, gli altri sono corporalmente morti. Or la morte che Dante patisce dentro la selva è una quasi morte dell'anima, come quella che hanno gl'ignavi. Che cosa libera l'uno e che cosa libererebbe gli altri da questo destino, da questa quasi morte? Il passo della selva e il passo dell'Acheronte. L'uno, con esso, muore alla morte, cioè rinasce alla vita; gli altri avrebbero quella che invocano, la seconda morte. L'Acheronte, per uno corporalmente vivo, è la morte mistica, ossia la rinascita; per uno corporalmente morto, è la morte spirituale. Chi lo passa muore; se è corporalmente vivo, alla morte; se è corporalmente morto, della morte: alla morte e della morte seconda.

      Gl'ignavi, se volevano morire di quella morte mistica che è morte alla morte e nascita alla vita, dovevano, quando erano vivi, uscir dalla selva, dove chi si aggira è come morto, e vive non vivo. Ma essi, no, non furono mai vivi, e si aggirarono sempre per la selva, in cui era bensì luce, e luce di luna piena, ma quale essi non usarono per uscire dai pruni della servitù. Non vollero essi quella morte che è la vita, e perciò vivi non furono. Per essere vivi, dovevano mettersi per quel passo: morire. Errarono invece irresoluti nel fioco lume della selva selvaggia, come ora corrono senza effetto nel fioco lume del vestibolo. La selva aveva il passo, per il quale potevano trovar la morte che è vita; il vestibolo anch'esso ha un passo, per il quale essi non saprebbero trovare se non quella morte che è la morte totale, dell'anima. Ma nè per quello vollero mettersi, quand'erano corporalmente vivi, e così non vissero mai, perchè non morirono della morte che è vita; nè per questo possono, per quanto vogliano. Anch'essi hanno un desiderio che eternamente è dato loro per lutto; quello di morire della seconda morte. Ma è un desio senza speme, anche il loro. Non furono mai vivi, non sono nemmen proprio morti; e corrono e gridano e si disperano in eterno in quel vestibolo che assomiglia alla selva in tutto, fuor che in questo, che nella selva il passo è morte che è vita vera e nel vestibolo il passo è morte che è vera morte; e fin che si è forma d'ossa e di polpe quel varco là si può, volendo, varcare; ma poi che si è ombra e putredine, quest'altro no, non si può varcare nemmen volendo.

       Indice

      Ma se si vede ancora lo dolce lome, sì, quel passo, che è vera morte, si può passare col medesimo effetto di chi passa la selva, cioè di vivere la vera vita. E come? L'ho detto. Il varco dell'Acheronte conserva la sua natura: il varco dell'Acheronte è morte sì per chi è vivo e sì per chi è morto; ma per chi lo passa morto, è seconda morte; per chi lo passa vivente, seconda morte non può essere, perchè non è seconda morte dove non è la prima. Dunque per chi lo passa vivente, l'alto passo è morte prima, non seconda. Ma poichè l'uomo che passa, è forma d'ossa e di polpe sì di là e sì di qua del passo, questa prima morte è mistica, non reale. È la morte per cui si resta vivi, anzi per cui si rivive e si rinasce. Il passo dell'Acheronte è dunque simile in tutto al passo della selva, per uno che abbia seco di quel di Adamo. E per trovare questo passo, l'uomo, come ebbe nella selva lo splendore della luna piena, che si faceva strada tra i pruni, così qui nel vestibolo ha un fioco lume.

      Donde quel lume? Il quale ragionevolmente dobbiamo supporre fioco non per fievolezza del luminare, che nella selva è la luna piena, quand'ella diametralmente contempla il suo fratello; ma per l'impedimento del luogo stesso, dove quel lume penetra a stento; del luogo stesso che lassù è una selva selvaggia e quaggiù è l'inferno. Sceso invero Dante al primo cerchio, trova tenebre perfette. Virgilio dice:[180]

      Or discendiam laggiù nel cieco mondo...

      Egli lo guiderà, perchè pratico del luogo, pur tra l'oscurità. Or se il vestibolo ha luce, ciò avverrà per qualche causa di fuori, non ostante la tenebra propria del luogo stesso. Quale questa causa?

      Una porta è spalancata sul vestibolo. I suoi serrami sono infranti. È aperta e non si può più chiudere.[181] Chi la spalancò, rompendone i serrami, fu il Cristo redentore. Virgilio lo vide. Egli era da poco nel limbo, quando ci vide venire[182]

      un possente

       con segno di vittoria incoronato.

      I caduti dal cielo avevano negato il passo: egli aveva rotto i serrami. Ed era entrato e aveva passato l'Acheronte. Quelli che in lui venturo avevano creduto, furono liberi. E libero d'allora in poi fu il volere, e si riaprì la fonte del meritare. Poco prima della morte del Cristo, avvenne un terremoto, per il quale si fecero riversi nell'inferno.[183] Poco dopo la porta si apriva. E aperta rimase.

      Che fu la morte del Cristo? L'abbiamo già visto: fu il nostro battesimo. Nella sua morte noi siamo battezzati. Noi morimmo alla morte o al peccato, nella morte di lui. E così si può dire, al peccato e alla morte generalmente; e non al peccato originale; perchè prima di quell'ultimo alito del Dio uomo, alito preceduto da riversi nell'inferno e seguito dalla rottura della porta, prima di quell'ultimo alito il peccato originale era il peccato. Era il peccato che conduceva СКАЧАТЬ