Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli
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Читать онлайн книгу Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro - Giovanni Pascoli страница 23

Название: Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro

Автор: Giovanni Pascoli

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070403

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СКАЧАТЬ grave della frode:[238]

      Ma perchè frode è dell'uom proprio male,

       più spiace a Dio.

      E perchè la frode più spiace a Dio, i frodolenti “stan di sutto„. E il leone, sebbene sia rappresentato con la test'alta e con rabbiosa fame, pure oltre la paura, che male fece a Dante? dove è egli più all'ultimo? La lupa, invece, ripinge il misero, che piange e grida per lei, e finirebbe con l'ucciderlo. E la frode spiace più a Dio, perchè il suo fine d'ingiuria l'adempie col sussidio dell'intelligenza, per vie tortuose, dunque, ed inganni; mentre la violenza è senza intelletto; è matta, è bestialità. Ebbene il leone viene con la test'alta, che è un segno di sventataggine, e con fame rabbiosa, per la quale ciecamente si butterebbe a qualunque sbaraglio. L'aria teme alla sua vista o forse ai suoi ruggiti. Nel che è un'idea di superfluo e di vano e di troppo; come è (vedete Capaneo!) nella violenza. La lupa invece ha un andare guardingo, per giungere a sbramare la sua fame sempre nuova e intera, per fare ingiuria e per uccidere. Ella è senza pace; non dà tregua. “A poco a poco„ ripinge il passeggero. Non par di vederla avanzarsi tortuosamente, tacita, se il leone ruggisce, con la testa bassa, se il leone ha la testa alta, e sparire e riapparire, se il leone apertamente vien contra? E non è la frode, dunque, come la lupa? Inoltre la violenza è cieca cupidigia e ira folle cioè cieca brama di vendetta,[239] matta e bestiale brama di vendetta, e contro gli altri e sì contro sè stesso, in modo che l'uomo si fa ingiusto contro sè giusto,[240] e sì persino contro Dio, che è tanto alto e tanto sicuro! E la frode ha cupidigia di tante cose, quante vediamo essere state bramate dai tanti diversi peccatori di Malebolge e della Ghiaccia; danaro, per esempio, dai ladri, dai barattieri, dai simoniaci; grazia, per esempio, dagli ipocriti; fama, per esempio, dai pravi consiglieri; onore e podere, per esempio, dagli uccisori di Cesare. O non sono codeste brame le tutte brame della lupa? e quell'unica brama la rabbiosa fame del leone? E la lupa ha natura malvagia e ria, sì che non empie mai la sua voglia;[241] e il leone, no: questa natura non l'ha, questa voglia inesplebile non l'ha. In vero la voglia di vendetta con la vendetta si compie, se non è così matta da volgersi contro Dio;[242] chè allora è infinita anche essa; perchè inafferrabile è Dio, o folli e ciechi e bestie!

      E insomma non pare a ognuno che la malvagità e reità della lupa in confronto della rabbia del leone, messe in relazione, quelle e questa, con la fame che è in tutte e due le fiere, non segnino la gradazione che è tra la frode e la violenza?

      D'ogni malizia... ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale o con forza o con frode altrui contrista.

      (Dante piange e s'attrista e grida per la lupa, non per la lonza).

      Ma perchè frode è dell'uom proprio male più spiace a Dio.

      Malizia è di tutte e due le fiere: del leone e della lupa; e di tutte e due le disposizioni: della violenza e della frode; ma la frode ha un male in più, come malvagia e ria è la lupa.

       Indice

      Dante, nel ragionamento intorno all'ordine dei peccati nell'inferno,[243] ha due autori avanti al pensiero: Cicerone, per la divisione della malizia in violenza e frode, Aristotele per la triplice disposizione che il ciel non vuole. Egli le fonde insieme, facendo un po' forza, a dir vero, alla dottrina d'Aristotele; e pareggia la matta bestialità dell'Etica alla malizia, anzi ingiustizia, con forza (vis) del de Officiis. Ora questo è il luogo di Cicerone, che Dante poteva leggere ancora nel Tesoro di Brunetto e nel Moralium dogma:[244] “Poichè in due modi, cioè o con violenza (vi) o con frode, si commette ingiuria, la frode par come di volpe (vulpeculae), la violenza, di leone: l'una e l'altra alienissima dall'uomo (cioè straniera all'uomo, disumana); ma la frode è degna di maggior odio„. C'è qui la divisione della malizia, come Dante chiama quella che Cicerone chiama iniustitia, in violenza (vim) e frode, e anche il cenno della maggior gravità della frode. E nel medesimo trattato leggeva anche la ragione di questa maggior gravità:[245] “in ogni ingiustizia corre molto divario, se l'ingiuria si commetta per un qualche turbamento dell'animo (animi), turbamento che per lo più è breve e lì per lì, o a bella posta e a caso pensato. Chè sono più leggeri i torti che accadono per qualche repentino moto, di quelli che si fanno dopo premeditazione e preparazione„. Ebbene chi dirà che Dante non abbia preso a Tullio quel simbolo del leone per la violenza o malizia di cui ingiuria è il fine, cioè ingiustizia con forza? Ma poi trovava la vulpecula per rappresentare la frode. E sì, avrebbe presa anche quella, come se ne ricordò per Guido da Montefeltro, di cui dice le opere “non leonine ma di volpe„, e “le volpi sì piene di froda„,[246] come se ne ricordò per la “cuna del trionfal veiculo„,[247] quando dopo l'aquila, a simboleggiare la persecuzione dei tiranni, cioè la violenza contro la chiesa, pone la volpe a simboleggiare l'eresia, la cauta e fraudolenta nemica; avrebbe presa anche la volpe, se così piccolo e vile animale, che Cicerone stesso abbassava con quel diminutivo di spregio, non gli fosse dispiaciuto. Dopo il ruggito del leone, il guaito della volpe! questo più spaventevole di quello! E far la volpe assetata di sangue umano, divoratrice di genti, porgitrice di gravezza con la paura che usciva di sua vista! Dante cercò un'altra bestia; e ne trovò, ne' bestiarii del suo tempo, una adatta anche più della volpe a significare la frode. Trovò la lupa.[248]

      Il lupo, per limitarci a qualche cosa di ciò che se ne diceva, il lupo[249] è “crudele; spia l'assenza dei cani e dei pastori; insidia i chiusi delle pecore; ulula orrendamente; veduto prima che egli veda, non nuoce; vedendo egli per primo, toglie la voce„. È antica questa ultima storiella; e mi pare sia ricordata da Dante:

      questa mi porse tanto di gravezza

       con la paura ch'uscia di sua vista...

      Sono quelli occhi che gravano su tutto l'essere del passeggero. E si veda come la lupa convenientemente simboleggi la frode, poichè ella è astuta e insidiosa; e, sopra tutto, “veduta prima, non nuoce„. Inoltre[250] “si dice ch'esso (lupo) viva, a volte, di preda, a volte di terra, anche di vento„. Come non ricordare il veltro, che della lupa è il nemico contrapposto, e non ciberà terra...? Non ciberà terra, viene a dire il poeta, come costei. E il peltro, che certo significa la ricchezza, è la preda, cui il veltro non vorrà e cui cerca la lupa. Tralascio tante astuzie, vere e supposte, che del lupo si raccontano in cotali libri: mi basta ora riferire queste tre cose: che si sapeva a quei tempi che “le meretrici le chiamiamo lupe, perchè devastano i beni degli amadori„; s'imaginava a quei tempi che i lupi erano così chiamati “quasi leopedi„, perchè nei piedi è la loro virtù, come dei leoni è altrove;[251] si affermava a quei tempi “che figura di lupo porta il diavolo, che sempre invidia il genere umano„. Con queste tre cose, noi ci possiamo spiegare come Dante dica che la lupa si ammoglia a molti animali; e, che ella è come un leone vigliacco, poichè al leone è simile nella rapacità e terribilità, e peggiore, ma viene, innanzi a poco a poco, e poi fugge avanti il veltro; e che infine e ciò monta più, dall'inferno “invidia prima dipartilla„. E pensiamo che il diavolo porta figura di lupo, perchè il lupo insidia i chiusi delle pecore come il diavolo le chiese dei fedeli; e sapete come il lupo si appressa ai chiusi delle pecore, e perciò il diavolo alle chiese dei fedeli? “Se ha bisogno di predare di notte, come un cane mansueto a poco a poco (sensim) si avanza verso l'ovile„; e tante altre astuzie trova![252] A poco a poco, ricordiamo!

      Rifiutando la vulpecula ciceroniana, Dante trovò una bestia non solo, per l'astuzia, consimile alla volpe, non solo più della volpe spaventevole e rapace; ma più atta, come leopede, a far compagnia al leone, e, come solito simbolo del diavolo, più atta a significare quella, direm così per ora, generale corruzione, da cui doveva liberare l'umile Italia un veltro che si nutrisse di “sapienza e amore e virtute„; veltro di ben alta natura, eppure non d'altra natura СКАЧАТЬ