Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli
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Название: Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro

Автор: Giovanni Pascoli

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070403

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СКАЧАТЬ il ben dell'intelletto.

      Ciò che Virgilio aveva detto, ecco, è questo:[198]

      per loco eterno

      ove udirai le disperate strida,

       vedrai gli antichi spiriti dolenti,

       che la seconda morte ciascun grida;

      e questi dolenti che stridono disperatamente e invocano la seconda morte, la quale non possono avere, e che Dante designa a sua volta,[199]

      color cui tu fai cotanto mesti,

      sono gli sciaurati, uomini ed angeli, neutrali del vestibolo. E sono quindi una cosa, con costoro cotanto mesti e dolenti, anche “le genti dolorose„. E si dice di loro “c'hanno perduto il ben dell'intelletto„; non si dice generalmente di tutti i dannati. Perchè, a parer mio, di loro si può, se d'altri mai, di loro in modo tipico si può dire, ch'hanno perduto quel bene. In vero, qual è quel bene? È il bene che scevera gli uomini dai bruti; cui chi non ha o perde, non vive: secondo ciò che Dante afferma:[200] “... vivere è l'essere delli viventi; e perciocchè vivere è per molti modi, siccome nelle piante vegetare, negli animali vegetare e sentire e muovere, negli uomini vegetare, sentire, muovere e ragionare, ovvero intendere (alcuni testi hanno intelligere); e le cose si deono denominare dalla più nobile parte; manifesto è, che vivere negli animali è sentire, animali dico bruti, vivere nell'uomo è ragione usare.„[201] Or qui Dante ha nel pensiero appunto questo ragionamento conviviale, che lo conduceva a dir vile, anzi vilissimo, e bestia, e morto, chi non segue, non potendo essere “da sè guidato„, le vestigie degli altri. E qui Dante tocca di quelli che non usano affatto l'intelletto, quindi non si servono di quello “alcuno lumetto di ragione„ che ci vuole per o discernere da sè o imparar da altri a discernere le vie del cuore. Ed è naturale che a Dante, uscito allora allora dalla selva e già in cammino, rovinando, per tornarvi; Virgilio parlasse di quelli che dalla selva non uscirono mai; ed è naturalissimo che entrando nel vestibolo dei vili e non mai vivi, che è la stessa cosa, Virgilio parli di viltà, e dica:

      Ogni viltà convien che qui sia morta;

      che viltà è più propriamente, come Virgilio dichiara, quella[202]

      la qual molte fiate l'uomo ingombra

       sì che d'onrata impresa lo rivolve,

       come falso veder bestia, quand'ombra.

      Ora e Dante nella selva e gl'ignavi nella vita questo fecero continuamente, e in questo somigliarono a bestie ombrose, che vedevano ciò che non era e ciò che era non vedevano: onde nulla quelli mai operarono, e nulla avrebbe operato esso, se infine non avesse passato la selva e quetato un poco la paura del cuore, cioè l'irresolutezza dell'appetito che fugge e caccia. Ben altrimenti si condusse quell'Enea, che Dante dice di non essere: “Io non Enea...„. Quegli, esempio di nobiltà, cioè di non viltà,[203] per quello spronare dell'animo, “sostenne solo con Sibilla a entrare nello Inferno„. Ma Dante per le parole e per il lieto viso di Virgilio si conforta. La viltà muore. Egli entra nel vestibolo dove è la viltà assoluta. Il maestro gli aveva detto:[204]

      non ragioniam di lor ma guarda e passa.

       Questa è come la catarsi del suo errore nella selva. Egli guarda e passa, tra persone delle quali alcune riconosce e non nomina, alle quali sarebbe stato simile se nella selva fosse rimasto. E vede e conosce l'ombra d'uno che fece un rifiuto grande quale egli avrebbe fatto, se per i conforti del maestro non avesse cacciata dal cuore e non avesse uccisa, mortificata, la viltà.

      Giunge, guardando e passando, all'Acheronte. Caron lo respinge, e prima sembra confonderlo con gli sciaurati del vestibolo che, essendo ancora misticamente vivi della loro cieca vita, egli non può prendere nella sua nave. Poi, vedendo che non si allontanava, che non si partiva, che non andava tra gli esclusi dalla seconda morte, vedendo forse in ciò un segno insolito di nobiltà (non viltà), comprende che la sua vita è d'altro genere. E gli dice:

      Per altra via, per altri porti

       verrai a piaggia, non qui: per passare,

       più lieve legno convien che ti porti.

      Quale sarebbe questo più lieve legno? Come mai a uno, che ha di quel d'Adamo, e perciò ha peso, assai grave per le navi fantastiche dell'oltremondo, e perciò fa sembrare carca di sè la nave piccoletta di Flegias, a uno vivente Caron assegnerebbe nave più lieve? E quale questa via e questi porti diversi dai consueti? Noi possiamo dire che in verità egli non approdò al medesimo porto, che gli altri imbarcati da Caron, e non tenne quindi la medesima via: il poeta ci avrebbe detto qualcosa dello sbarco, come ci ha parlato dell'imbarco. Or egli lo sbarco non vide, come vide l'imbarco. Ma il fatto è che meglio noi comprendiamo qui il senso mistico che il reale e poetico. L'altra via è quella che non è la morte, gli altri porti sono quelli che non sono la perdizione; e il poeta parla di più porti, perchè le sedi a cui vanno a finire quelli che Caron imbarca sono più d'uno; sono tanti quanti i cerchi. Caron ha compreso che Dante non viene a prendere posto tra i dannati; tanto è vero che Virgilio non altro gli soggiunge se non: “Vuolsi così„: così, come hai capito.

      In verità, ripeto, Dante per passare morrà, ma alla morte morrà; conseguirà, cioè, quella natività seconda, che conduce alla vita. Il che è raffigurato nel battesimo. Nè si opponga che il battesimo Dante l'aveva già avuto. Sì; ma era quasi come non l'avesse avuto; poichè la libertà del volere era come non l'avesse. Or l'ha racquistata; e il passaggio dell'Acheronte raffigura per lui come la sanzione di questo racquisto.

      Il battesimo è raffigurato misticamente e nel camminare di Gesù sulle acque e nel passaggio del mar rosso e anche in altro.[205] Gesù[206] era solo sul monte, e la navicella era trabalzata dai flutti nel mezzo del mare. Che il vento era contrario. Or nella quarta vigilia della notte, venne ai discepoli camminando sopra il mare. E vedendolo camminare sul mare, si turbarono dicendo: È un fantasma. E per timore gridarono. E subito Gesù parlò a loro dicendo: Abbiate fiducia: son io: non temete. E rispondendo Pietro disse: Signore, se sei tu, comanda che io venga a te sulle acque. Ed egli disse: Vieni. E Pietro discendendo dalla navicella, camminava sull'acqua, per venire a Gesù. Ma vedendo il vento forte, temè, e cominciando ad affondare, gridò dicendo: Signore, fammi salvo! E incontanente Gesù stendendo la mano, lo prese e gli disse: O di piccola fede, perchè hai dubitato? Ed essendo montati sulla navicella, il vento cessò.

      In questa narrazione, in cui, secondo gli interpreti, è adombrato il battesimo, c'è il vento forte e lo spavento. E nella narrazione di Dante c'è l'uno e l'altro:[207]

      dello spavento

       la mente di sudore ancor mi bagna,

      La terra lagrimosa diede vento...

      E c'è nel racconto di Matteo anche il buio, poichè era la quarta vigilia della notte, quando Gesù camminava sul mare; e c'è nel racconto di Dante il buio della campagna. E la notte era già cominciata da qualche tempo.[208] Ma più espressa menzione ha delle tenebre il vangelo di Giovanni.[209] “Salito sur una nave, vennero di là del mare a Capharnaum; e già erano venute le tenebre; e Gesù non era venuto a loro. E il mare, soffiando un gran vento, si gonfiava. Avendo, dunque, vogato per quasi venticinque o trenta stadi, vedono Gesù che camminava sopra il mare e si faceva presso la nave, e temerono„. E qui il racconto comincia con “l'aer bruno„, come quello di Dante. Forse dunque Dante volle che si pensasse a un suo camminare sulle acque. Altra volta egli passa[210] “un bel fiumicello... come terra dura„. Ma qui è caduto, ma qui è come morto, qui, anzi, muore.

      Oh! se fosse lecito penetrare nella mente del poeta, in quella mente, e cercarvi le parole СКАЧАТЬ