Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni. Massimo d' Azeglio
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Читать онлайн книгу Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - Massimo d' Azeglio страница 26

Название: Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni

Автор: Massimo d' Azeglio

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070090

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СКАЧАТЬ gran caso come d’accidente assai ordinario in quelle confusioni, Laudomia, ancorchè non lo dicesse, l’intendeva altrimenti, e le si avvolgevano per la mente mille sospetti. Ma essa ne sapeva più degli altri. Per tutta quella sera la Lisa, ancorchè facesse ogn’opera per parere come al solito, non potè però nascondere all’occhio indagatore della sorella un certo sbigottimento, un non so chè di nuovo nella guardatura ed in tutta la persona.

      Laudomia notando questi sintoni d’un amore sempre crescente che la tenean ravvolta tra mille oscuri e dolorosi sospetti avea giusti motivi di provarne amarissima afflizione. Vedeva troppo bene che non era da sperarne virtuoso fine. Il giovane era di parte Pallesca: di quella parte, che aveva recato al padre ed a tutta la sua casa infiniti mali, che s’era sempre mostrata nemica delle antiche leggi, e dell’antica libertà di Firenze. Era pur da supporre che Niccolò volesse aver per genero uno di quella setta? Aggiungi a tutto ciò, che la giovane domandando destramente e senza far parer di nulla ai fratelli o agli amici di casa qual fosse costui, aveva udito sul fatto suo cose che molto le dispiacevano. Ch’egli era un Messer Troilo degli Ardinghelli, cagnotto de’ Medici, uomo cortigiano e di rotta vita.

      A questi motivi che riguardavano gl’interessi della famiglia e della parte, un altro se n’aggiungeva intimo e domestico.

      Nel fondaco di Niccolò lavorava un giovanetto di prima barba che sin da piccolo fanciullo s’era allevato in casa ed avea nome Lamberto. Costui era nato molto umilmente. Suo padre, lavorante dell’arte di Por S. Maria[19], per la sua fede e per esser di buonissimo ingegno era venuto in grado a Niccolò, che di povero operajo, l’aveva tirato su fino a costituirlo capo d’ogni sua faccenda. Quest’uom’ dabbene pagò col sangue gli obblighi ch’egli aveva al suo benefattore.

      Quando, addì 6 di aprile del 1498, i nemici di Fra Girolamo assaltarono il convento e la chiesa di S. Marco, moltissimi Piagnoni, e fra essi Niccolò, con Pietro padre di Lamberto, concorsero, e vi si rinchiusero per difenderlo. Durò la battaglia molte ore della notte, essendo quei di fuori in gran numero, e combattendo con armi d’ogni sorta, con archibusi e sassi, e facendo quei di dentro grandissima resistenza, non altrimenti che s’usa nell’espugnazione d’una rocca. Il padre co’ suoi frati, dopo esser andato processionalmente per tutto il convento, si ridusse in chiesa e, preso nel tabernacolo il Sacramento lo pose sull’altare, e messisi quivi in orazione cantavano tutti insieme «Salvum fac populum tuum domine et benedic haereditati tuae» aspettando di punto in punto il martirio. Benchè il padre non volesse consentire che s’usassero l’armi per difenderlo, Fra Domenico da Pescia, e molti nobili cittadini, fra quali erano Francesco Valori, Battista Ridolfi e T. Davanzati, si strinsero intorno e deliberarono ribatter coll’armi i loro avversarj, i quali consumata col fuoco la porta della chiesa, alla fine v’entrarono in folla attaccando battaglia di mano, furiosissima co’ Piagnoni e co’ frati, la quale durò molte ore. Un novizio chiamato Herico, tedesco, salito sul pergamo con un archibuso ammazzò di molti nemici, ed ogni volta che dava fuoco diceva anch’esso «Salvum fac Populum tuum domine ecc.» Ed un frate de’ Biliotti con un crocifisso di ottone cavò un occhio a Jacopo di Tanai de’ Nerli, e ciò sia detto per dar idea quali fossero codesti tempi.

      Niccolò, che aveva allora 58 anni, combatteva in mezzo alla chiesa rimpetto l’altare della Madonna, ed aveva allato il suo fedel Pietro (così aveva nome il padre di Lamberto) il quale avvistosi d’un tale cui Niccolò non poneva mente, che con un partigianone gli menava un gran colpo che l’avrebbe passato banda a banda, non trovando altro modo a ripararlo si gettò frammezzo, e ricevette nel petto il ferro che gli uscì per la schiena, ed il suo sangue innondò da capo a piedi Niccolò.

      Corsero alcuni frati, come usavano con chi cadeva, e raccolto il ferito lo portarono presso l’altare ove, presa con grandissima letizia la comunione, e ringraziato Iddio di quella morte, volse a Niccolò, che gli reggeva il capo non senza lagrime, gli occhi moribondi, e gli disse: «Io lascio la Nunziata ne’ setti mesi.... vi sia raccomandato il mio figliuolo, o figliuola che sia....» e senza poter dir altro rese l’anima a Dio.

      Da quel punto, come ognuno può immaginare, egli tenne cura grandissima della Nunziata, e Lamberto nato due mesi dopo, trattò poi sempre come se gli fosse stato figliuolo: e trovato che facilmente apprendeva, lo fece ammaestrare tanto che fatto esperto in sulle scritture gli diede a tener i suoi libri con buona provvisione, pensando giorno e notte qual modo avesse a tenere per fargli uno stato e rimeritar per cotal via il grand’obbligo che aveva col padre. Niccolò era ricco mercatante, perciò avrebbe potuto dire a Lamberto, togli questo tanto in danari e fa i fatti tuoi. Ma gli pareva prima di tutto che obblighi di quella fatta mal si potessero compensare colla sola moneta; poi trovandosi molta famiglia gli pareva fosse anche ingiusto sminuire l’avere de’ suoi figli per una cagione che a lui solo si riferiva.

      Gli era nato il pensiero di dare a Lamberto una delle sue figlie con tal dote che stesse bene, così veniva a salvare tutti i rispetti. Ma quantunque il giovane, che era già oltre i vent’anni, fosse tale da non temere un rifiuto da nessuna fanciulla, Niccolò aveva però troppo senno e troppa giustizia per voler ordinar tal parentado senza conoscer prima ben bene il cuore e la volontà di chi lo doveva contrarre. Muovere i primi passi e proporlo egli stesso non gli pareva ci stesse dell’onor suo, onde dato tempo al tempo aspettava che una qualche occasione favorisse l’adempimento di questo suo disegno.

      Che Niccolò avesse in animo di far Lamberto suo genero, senza curarsi ch’ei venisse di sì povero stato, non poteva recar maraviglia a chi li conosceva ambedue. Il vecchio non era di que’ tali che sono avversi all’aristocrazia de’ nobili perchè l’invidiano, e che la vogliono spenta per occuparne il luogo. Egli teneva ogni uomo figlio delle proprie opere, lo stimava a norma delle sue virtù, e perciò giudicava sempre pericolose ad una città quelle sette o vuoi di grandi, o vuoi di popolani, o mercanti, o di qualunque altra generazione esse siano, che ristringendosi insieme, e separandosi dagli altri cittadini, schifando imparentarsi con chi non sia de’ loro, usando atti violenti e portamenti superbi, cercano ottener autorità, ricchezze ed onori, non per veruna particolar virtù che sia in loro, ma pel solo accidente d’esser nati in codesta loro setta, o d’appartenerle in qualunque modo.

      Ma quanto sono rari gli uomini che, simili a Niccolò, detestino gli abusi per solo amor dell’equo e dell’onesto, e non pel timore di riceverne danno o pel dispetto di non potersene valere ad opprimere altri!

      Lamberto poi dal canto suo avrebbe meritato di esser posto tra le eccezioni anche da un padre che stimasse i natali e le ricchezze più che non facea Niccolò.

      Se il lettore desidera figurarsi il ritratto di Lamberto, immagini un giovane alto di statura, ed atto per l’ottima proporzione delle membra a tutto quanto può imprender l’uomo, che richiegga forza e destrezza. E ciò basti circa il fisico. Nella parte morale, la natura l’aveva favorito con quel dono che riserba a suoi più cari, a quelli che senza distinzione di stato o di fortuna ella destina alle maggiori imprese; dono che può nominarsi l’amore, anzi la smania della perfezione, seme fecondo delle belle azioni e delle grandi virtù, e di tutto quanto è di sublime nell’umano operare. Giudice severo, che dice all’orecchio dell’uomo applaudito Tu potevi far più, sprone che punge sempre chi è nato per sentirlo, perchè in ogni cosa, in ogni atto vede quanto è più lunga la strada da farsi per giungere alla perfezione di quella già fatta; tormento dell’anima ed insieme la sua vita, il fonte di tante dolcezze, Sarebb’egli forse l’impressione rimasta nell’uomo da quel soffio divino col quale Iddio l’ha chiamato dal nulla?

      Questa nobil passione, che in Lamberto andava divenendo più fervida col crescer degli anni, l’aveva eccitato a profittare con ogni studio della ventura di venir allevato in una casa dove eran a sua portata tutti i mezzi di educarsi a quelle discipline che procurano il perfetto sviluppo delle qualità fisiche e morali. Presago forse che la sua vita non avrebbe avuto a consumarsi tutta in un fondaco, s’era ingegnato rendersi pari ad una più splendida fortuna, raffermandosi la sanità e le forze con ogni sorta d’esercizj cavaliereschi, ne’ quali era СКАЧАТЬ