Название: Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni
Автор: Massimo d' Azeglio
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066070090
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Il disegno di Lamberto di darsi al mestier dell’armi non era in quel secolo privo d’una certa probabilità che venisse a riuscire ad una splendida fortuna; ben inteso che chi vi si metteva avesse ad un grado eminente le doti che rendono atto a tale ufizio, e che una palla d’archibuso non gl’impedisse troppo presto di farle valere. Durava ancora per la milizia il costume de’ condottieri, ed era libero a ciascuno di divenirlo, purchè salisse in tal riputazione tra la gente d’arme che molti si contentassero d’averlo per capo. Ogni soldato, facendo il mestiere per propria scelta, e come un modo d’arricchire e salir in grado, concorrevano in maggior numero a quel condottiere col qual si ripromettevano miglior fortuna. Esso poteva, accettando e rifiutando a sua posta, farsi una compagnia scelta; e questo modo di formar l’esercito avea di buono, che nessuno senza esser valente della sua persona, e senza grand’esperienza nelle cose di guerra non giungeva al comando.
Ma al momento di mandar ad effetto le sue risoluzioni, un pensiero gli si parò d’innanzi, se non come ostacolo insuperabile, almeno come una difficoltà, che sempre è più grave, quanto più è virtuoso l’uomo che l’incontra. Lamberto aveva ancor sua madre. Essa era, prima di prender marito, una buona contadina di quel di Lucca, e venuta a Firenze con Piero, era stata seco molt’anni prima che le nascesse Lamberto. Si sarebbe potuto applicarle l’elogio racchiuso in quelle quattro parole che serviron d’epitaffio ad un’antica dama Romana:
Domum mansit=Lanam fecit[20].
Ma mi pare di sentire qualcuna delle mie leggitrici, se avrò la fortuna di trovarne, dire sorridendo «già noi povere donne non abbiamo ad esser buone ad altro che a star a casa a filare!»
Ah care le mie donne! (già suppongo che siamo d’accordo sul non prender letteralmente le parole dell’epitaffio) se sapeste quanto vi rende grandi, nobili, importanti ai miei occhi, l’incarico a voi commesso dalla provvidenza nel mondo!
Se il vero bello, il vero grande, l’importante finalmente ha a misurarsi dall’utile e dalla virtù, chi potrà credersi più importante d’una buona moglie, d’una buona madre? Chi regge i primi passi, chi consola i primi affanni di questi uomini superbi, che cresciuti poi si tengono dappiù di voi, ed a voi pure debbon ricorrere se voglion trovare sollievo alle miserie della vita? Chi al par di voi è capace viver vita di sagrifici, immolarsi del tutto al bene, alla felicità della persona cui donaste il vostro amore? Gli atti d’eroismo presso gli uomini sono sempre sostenuti dagli applausi e dalle lodi: per voi invece quanto può operar d’arduo e di grande la virtù in un cuore umano, resta il più delle volte ascoso ed obbliato tra le pareti domestiche. E se ciò non ostante siete virtuose ed utili, qual gloria, qual merito maggiore!
Se sapeste quanto stia in vostra mano il bene dell’umana società, che tutto è posto alla fine nel bene delle famiglie! Se sapeste quanto da voi dipenda far gli uomini generosi, arditi, amanti della patria, farli umani, operosi, sapienti, fargli gentili e costumati, non invidiereste al nostro sesso i tristi privilegi d’ammazzar uomini in battaglia, o coll’ampolle e le ricette, che sono i due modi approvati per mandarli all’altro mondo; di tormentarli, o rovinarli coi codici, le cause e mille malanni; di torcer loro il giudicio, e gabbarli coi libri.... e Dio voglia che la gentil leggitrice non aggiunga del suo «e di farli sbadigliare con dei racconti simili a questo!» Ma non voglio supporla ingrata: che se le donne non son dalla mia questa volta, non c’è più speranza. Ora torniamo alla madre di Lamberto.
CAPITOLO IX.
Essa era stata sempre non solo moglie fedele ed illibata, che se ciò basta ad un marito quanto all’onore, non basta quanto alla felicità, ma avea saputo, nei limiti angusti d’una povera casa, esser massaja senza miseria, provvedendo che il marito ed una fanticella non patisser di nulla, e potessero anche mostrarsi onorevolmente vestiti secondo lo stato loro. Ciò non ostante ad ogni fin d’anno trovava il modo di riporre qualche danaro pei casi impensati. Dove non giungeva la provvisione che veniva pagata a Piero da Niccolò, cercava supplire col lavoro dell’aspo, che facea girare tutto il giorno e parte della notte talvolta; tantochè le vicine, quando sgridavano i loro bambini perchè eran frugoli, che non istavan mai fermi, dicevan loro «Tu sembri l’aspo della Nunziata.»
È vero che la buona donna conscia dell’ottimo ordine col quale governava la casa, si lasciava andare a brontolar un poco quando tra i suoi sudditi appariva qualche segni di ribellione. Ma siccome e sudditi e governo, eran d’accordo in sostanza, e contenti per l’essenziale gli uni dell’altro, accadeva nella famiglia di Piero, come in Inghilterra, che se talvolta sorgon contese, nessun però vuol mai spinger la cosa al punto di capovolgere del tutto lo stato. Se il paragone è un po’ troppo disuguale per le dimensioni, l’importanza relativa è all’incirca la stessa, perciò preghiamo il lettore ad ammetterlo.
Finchè era vissuto Piero le cose erano andate così. Dopo la sua morte Niccolò s’era a suo tempo tirato in casa il picciol Lamberto, ed accomodata la Nunziata d’una casetta ch’egli aveva poco lontana dietro S. Lorenzo, ove la buona donna, quando le furori cresciuti gli anni e sopraggiunti gli acciacchi della vecchiaja, potè rallentare un poco il lavorìo dell’aspo, stante gli ajuti di Niccolò, de’ quali si può dire vivea quasi interamente. La sua casa consisteva soltanto in una camera ed una cucinetta: ma siccome sempre la Nunziata s’era dilettata dell’ordine e della pulizia, la teneva rassettata e netta come uno specchio.
Sul letto, sempre rifatto che non faceva una piega, era sparso qualche fiore come s’usava allora in Firenze: appiccate al muro, sopra il capezzale, molte cosarelle di divozione; il ramo d’ulivo, il palmizio, il cero pasquale, e madonnine e santini. Nell’altro lato della camera uno scaffale con suvvi disposte in ordine stoviglie di terra e di stagno che splendeva come fosse argento, e tra mezzo molte fronde d’alloro: un desco, qualche sedia, l’aspo, compagno indivisibile di tutta la vita, ecco qual era la camera della Nunziata. La sua persona piccola ed asciutta come colei che avea durata troppa fatica alla vita sua per poter ingrassare: i panni ruvidi ma ben composti senza una macchia.
La buona vecchierella viveva felice in quella casetta senz’altra compagnia che d’un gatto nero, il quale poteva dirsi più compagno che soggetto, a veder quali modi teneva in tempo di pranzo e di cena. Essa si cucinava e si serviva da se, soltanto le vicine, ora l’una ora l’altra, vedendola vecchia ed inferma, attingevano l’acqua che le bisognava, per loro amorevolezza non per mercede: giacchè generalmente i poveri tra loro (aprite gli orecchi, ricchi e signori!) quando non possono ajutarsi coll’avere, s’ajutano colle braccia.
Nella sua solitudine raramente interrotta, la buona vecchia aveva però un pensiero vivo, incessante, che l’occupava tutta: quello del figlio. Cominciando dall’allevarlo col proprio latte, e su via via per gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e della gioventù, s’era ingegnata con tutti quei modi che le suggeriva il suo amore, di dargli tale avviamento ch’egli avesse per prima cosa a riuscire un uom dabbene, e potesse poi godere di tutta quella felicità che era compatibile colla sua povera fortuna. Al modo che lo vedeva stabilito in casa i Lapi le pareva che tante cure e tanti pensieri avessero pur servito a qualche cosa: ed ora faceva di tutto onde Lamberto coi suoi portamenti venisse ogni dì più avantaggiando i fatti suoi. Quando un bel giorno ecco che egli le confida il suo amore per la Lisa e le speranze che nutriva: la buona donna, che non sapeva immaginare al mondo altro di grande, di ricco, di potente che la casa Lapi: cui pareva già toccar il ciel col dito vedendovi il figlio costituito in ufficio poco più che di servo, conoscendo di giunta che testina avesse la Lisa, si sbigottì tutta tremando che con quest’amore il figlio non venisse a far isdegnar Niccolò, e guastar in tutto i fatti suoi, СКАЧАТЬ