Название: Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni
Автор: Massimo d' Azeglio
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066070090
isbn:
Fra i caporali che si trovavan costì ve n’era uno che avea militato nell’esercito spagnuolo sotto Consalvo: era stato spettatore del combattimento a Barletta, ed avea nome Boscherino. Aperse le braccia, le gittò al collo di Fanfulla, dicendo:
—E chi diavolo t’avrebbe riconosciuto con questo fodero bianco e nero.... Fanfulla frate! Oh! oh! oh! Prima di morire posso sperar di vedere il Soldano cardinale! Ma abbi pazienza, lasciatelo dire, stavi meglio colla daga sulle reni... E così non mi riconosci?... Si vede bene che se non ho mutato pelle ho però mutato pelo. Boscherino?.... ci siamo invecchiati, ma ancora le gambe ci portano.—
—Ci portano anche troppo, almeno parlo per me, rispose Fanfulla raffigurando l’antico camerata e facendogli festa, se non mi portassero tanto me ne sarei stato zitto e quieto in convento; e quando c’entrai, fanno due anni, mi pensavo che mi fossero usciti per sempre i ruzzi dal capo, chè con tanti malanni, e quell’ultima nespola del sacco di Roma soprammercato, mi sentivo crocchiare come un tronco di lancia fesso... Che vuoi? con due anni di quiete e ogni giorno tavola imbandita, son tornato polledro.—
E qui cominciò tra i due amici un dialogo tanto pieno di ti ricordi di questo, ti ricordi di quest’altro, che non la finivano più. Disse alfine Boscherino dopo aver rammentati molti antichi compagni:
—E quel povero Ettore! Ti ricordi? Quel pazzo malinconico, si pensava esser al tempo di Tristano e della regina Isotta!... far quella fine! Ma se l’è proprio cercata col lanternino... Non voleva bere, figurati! Io glielo dicevo, quando lo vedevo con quella faccia d’ammazzato.... Ettore, andiamo da... da... come diavolo avea nome quell’oste del Sole? Ah! mi ricordo, Arsenico. Andiamo da Arsenico, gli dicevo: aveva un trebbian di Dio, di quello che ci si schioppa la frusta.... che vuoi, era come dirgli vola.... E tu non bere, dicevo io, e te n’avvedrai.... e difatti non dubitare che non mi ha voluto far bugiardo. E poi, a chi dich’io? tu eri con lui nella compagnia, lo sai...—
—Lo so anche troppo, interruppe Fanfulla riprendendo la faccia modesta e compunta, non me ne parlare. Io, pazzo da catena, fui allora causa di tutto il male.... io indussi in errore quella povera donna....—
—Come? come?—domandò con premura Boscherino.
—Oh quanto poi al come, rispose l’altro, già t’ho detto che di tutto questo fatto non ne voglio discorrere. Già son cose vecchie, ed al fatto non c’è rimedio.—
—Sia per non detto, rispose sorridendo con un po’ di stizza Boscherino. E di quella Saracina se ne può discorrere? Come avea nome quella bella moretta, con que’ panni attorcigliati in capo?—
—Zoraide, rispose Fanfulla. Quanto a questa te ne dirò tanto che sarai contento: ti ricordi al principio del pontificato di Giulio II quando il Valentino era sostenuto in castello?.... Bene, allora....—Ma qui l’usciere fatto un cenno a Fanfulla, che tutto infervorato in sul raccontare non gli dava retta, se gli accostò, e tiratolo per la manica gli disse, alzandogli un panno d’arazzo che pendeva avanti alla porta della sala di Malatesta:
—Entrate Fra Giorgio.—
Con ciò fece due mali: Boscherino e i suoi compagni rimasero, come qualcun altro, colla voglia in corpo di sentir che cos’era stato di Zoraide; ed il buon Fanfulla, al quale per la quistione avuta con que’ caporali, e pe’ discorsi fatti in appresso era uscita di mente la sua parlata, non ebbe tempo a riordinare le idee e prepararle a mostrarsi con un po’ di grazia. Messo all’improvviso alla presenza del capitano generale gli accadde all’incirca come accadrebbe ad un cocchiere che, guidando quattro polledri bizzarri, avesse, o per sonno o per sbadataggine, lasciato loro le redini sul collo; se a qualche improvvisa cagione quelli si cacciano di carriera, gli tocca a dipanar mezz’ora prima di giungere a far giocare i freni; e nella confusione, credendo tirar a destra, tira a manca, e se una gran fortuna non l’ajuta è certo di rompere il collo.
Ma Fanfulla fece esperienza che le gran fortune capitan di rado. Sentendo che la sua arringa gli era andata in fondo alle calcagna, si fece avanti col cuore d’un uomo che dovesse andare a combattere disarmato. Pure, fatta di necessità virtù, e senza perdersi d’animo interamente, salutò Malatesta con modo ossequioso ma disinvolto, e disse, tossendo così un poco ogni tanto per acquistar tempo:
—Magnifico capitano, s’io ho preso il disagio di venirvi.... dirò meglio, s’io son venuto a tenervi a disagio, n’è cagione un desiderio che vi parrà forse disforme da questi panni ch’io vesto; ma s’egli è vero ciò che affermano gli astrologi, non poter l’uomo sottrarsi a quell’influsso col quale le stelle, o vogliam dire i pianeti, dan norma sin dal suo nascere, e conducono con immutabil legge gli atti e le operazioni della vita sua.... ovvero, come insegnano i filosofi ed i fisici, non potersi cavar buon frutto dal legare a un giogo le tigri cogli agnelli, chè ogni animale ha a fare il verso suo, e non è se non stoltezza grandissima il voler ch’egli vada contro la sua natura, e chi l’intende altrimenti, come dicon gli uomini volgari, dà a guardar la lattuga al papero.... e per questo, com’io dicevo,.... son venuto.... perchè conoscendomi ancora molto atto, per amore della robusta complessione mia, ad esercitare quest’arte per la quale sola m’hanno inclinato i cieli, e visto il bisogno che in queste strettezze può avere questa città, d’uomini che conoscano la nostra professione,.... che di detta professione se ne troverà talvolta di più esperti che non son io, ma non mai chi l’abbia esercitata con maggior fede.... e forse s’io non temessi di darvi noja potrei anche mostrarvi che quanto all’esperienza.... e vi potrei narrare....—
Malatesta dava retta a Fanfulla, e l’avea fatto passare prima di molt’altri, in grazia dell’abito di S. Marco che avea indosso, chè allora in Firenze bisognava aver molti rispetti a questo convento; ma vistolo poi con quel viso che a dir il vero aveva un po’ del pazzo, ed accorgendosi da quella sua strana filastrocca ch’egli doveva averne qualche ramo, non ebbe tanta pazienza che lo lasciasse venir alla conclusione, e, per levarselo dinanzi, gli tagliò la parola dicendogli, con voce nella quale era minor cortesia di quel che fosse nelle espressioni:
—Per esser voi di S. Marco, ed anche per la persona vostra, farò molto volentieri ove possa.... quando però sappia quello che volete.... qual è questa vostr’arte? che ancora me l’avete a dire.... forse siete il padre cerusico del convento, e volete adoprarvi pe’ nostri feriti?.... Ve ne saprò il buon grado....—
Fanfulla mezzo in collera disse tra denti:
—Oggi è il giorno che nessuno m’ha ad intendere.—
Poi ad alta voce:
—Io vi servirò molto bene, se voi volete, a darne delle ferite, e non a medicarle... e, per finirla in una parola, sappia la V. Magnif: ch’io son Fra Giorgio da Lodi adesso, ma una volta ero Fanfulla da Lodi, e son per ridiventarlo quando che sia, basta che la medesima si voglia servir di me, e spero di farle vedere, che due anni di convento non m’hanno tanto mutato ch’io non sia ancor buono da qualcosa.... ed ecco qui (traendosi di petto un foglio) ecco l’attestato del sig. Prospero Colonna.... e poi credo che la V. Magnificenza non mi senta mentovare per la prima volta.—
Esclamò ridendo Malatesta:
—Oh impiccato, chè nol dicesti al primo tratto senza avvilupparmi la Spagna con tante novellate di fisici e d’astrologi, che mi parevi un predicatore. Oh quand’è così, e che l’animo tuo sia riprender la lancia, io molto volentieri t’accetto, e t’adoprerò... e, a pensarla bene, credo abbi ragione, chè dovrai, da quel che ho udito, riuscir meglio per uomo d’arme che per predicatore.—
Letto poi il benservito СКАЧАТЬ