Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ proprio Vicerè, il quale l'avrebbe appresso manifestato compitamente qual fosse sua volontà circa questo fatto. Questa risposta, benchè parve alla città molto dura, dovendo depor l'armi, senz'altro intendere, in poter del proprio nemico armato, tuttavia volendo mostrare, che le cose passate non erano state con mala intenzione d'inobbedienza verso sua Maestà, volle senza replica ubbidire; e volontariamente tutti andarono senza tardar punto a consegnar l'armi a' Deputati in S. Lorenzo, li quali poi in nome del pubblico le rassegnarono al Vicerè in Castello; e quantunque ne mancassero molte, il Vicerè, appagatosi di questa ubbidienza, non volle procedere rigorosamente in farle rassegnar tutte, ma ben volle gli fosse rassegnata tutta l'artiglieria grossa della città; e del resto desideroso di veder quietate le cose, dissimulò, come savio, molte altre cose, in che avrebbe potuto mostrar rigore. Fatto questo, subito il Vicerè con grandissima diligenza attese a riformar la giustizia, ed il governo della città; s'aprirono i Tribunali, ed ognuno attese a' suoi negozj, come prima, facendo assicurare, ed acquietare gli animi de' cittadini, scusando ognuno, e dicendogli, ch'egli conosceva, che furono ingannati da alcuni, che per le proprie passioni, e perversi disegni proccuravano di sollevarli sotto scusa dell'Inquisizione a far qualche rivoluzione, e che si rallegrava, che Iddio l'aveva liberati dalle loro mani: e per questo l'Imperadore perdonava a tutti, e ch'egli similmente faceva, ed era per fare qualsivoglia cosa per lor quiete e ristoro.

      Ma la città, che tuttavia stava sospesa e desiderosa d'intendere qual fosse l'intera volontà dell'Imperadore, pregava il Vicerè, che la palesasse, poich'era pronta ad eseguirla. Perlochè a' 12 agosto fece chiamare in Castello i Deputati della Città, ed entrati che furono, fu alzato il Ponte, il che diede a que' di fuora non picciol terrore; ma il Vicerè raccoltigli benignamente, palesò loro la volontà dell'Imperadore, ch'era, che si contentava, che non fosse posta Inquisizione45; che perdonava alla città l'aver posta mano all'armi, poichè conosceva non esser venuto per ribellione: e che se Cesare Mormile, il Prior di Bari e Giovanni di Sessa fossero andati a S. M. in nome della città avrebbero avuto da lui compimento di giustizia. Li Deputati oltremodo allegri di questo, si partirono per andare a notificarlo alla città con sommo contento; ma poco da poi furono pubblicati trentasei eccettuati dalla grazia fatta dall'Imperadore, i quali essendo stati sentenziati a morte, avendo avuta tal notizia il Prior di Bari, Cesare Mormile e gli altri, fuggirono tutti via: solamente fu preso Placido di Sangro, e fu portato prigione in Castello; ma dopo certo tempo ne fur aggraziati molti, eccetto il Mormile, e tutti coloro, che andarono a servire al Re di Francia, a' quali furono confiscati i beni, e venduti: ed eccetto anche l'infelice Giovan Vincenzo Brancaccio, uno degli eccettuati, il quale per sua disgrazia fu preso, e decapitato.

      Dopo questo venne lettera dell'Imperadore alla città dichiarandola Fedelissima, perdonandole gli eccessi dei precedenti rumori; ma per gl'interessi corsi per quel conto, la condannò in centomila scudi per emenda. Dichiarò anche, che tutto quello, che il Vicerè avea detto e fatto, era stato di sua volontà, e che per l'avvenire fosse tenuto e riverito come la sua Persona.

      Stava la città quasi ristorata e quieta; ma con tutto ciò teneva maneggio col Principe di Salerno, che rimase per suo ordine nella Corte dell'Imperadore, non troppo ben mirato, nè in molto credito: anzi rimproverato d'essere andato Ambasciadore della città, lasciandola con l'armi la mano, ed anche perchè si diceva, che non era legittimo Ambasciadore, per non essere stato eletto da tutte le Piazze; e per questa cagione interteneva con lettere la città, che non s'assicurasse del tutto; e mandò a chiederle, che mandasse nuovi Ambasciadori a confermare all'Imperadore quanto gli avea esposto da sua parte; e per ciò furono mandati Giulio Cesare Caracciolo per li Nobili, e Giovanni Battista del Pino per lo Popolo, i quali partirono a' 2 dicembre, e furono gratamente uditi dall'Imperadore. Non molto da poi ritornò anche dalla Corte il Principe di Salerno, e segretamente dava speranza ad alcuni, che si moveano di leggieri a crederlo, che l'Imperadore gli area promesso di rimovere il Vicerè dal governo del Regno; ma il Vicerè, che sapeva la verità, stava saldo, e colla stessa autorità di prima continuò a governarlo fin che visse.

      In cotal guisa i Napoletani costantemente s'opposero all'Inquisizione, Tribunale per essi cotanto odioso ed abborrito. Dalla lettera dell'Imperador Carlo in poi, non si parlò più d'Inquisizione; e tanto più fu posto poi a quella silenzio, quanto che gli animi di Cesare e del Papa s'erano ingrossati, e l'odio fra loro molto cresciuto; poichè essendo stato in una congiura nel proprio palazzo trucidato a' 10 settembre di quest'anno Pier Luigi Farnese figliuolo del Papa, il Pontefice se ne afflisse sopra modo: non tanto per la morte violenta ed ignominiosa del figlio, quanto per la perdita di Piacenza, e perchè vedeva chiaramente il tutto essere succeduto con participazione di Cesare. E morto il Pontefice Paolo III, il suo successore Giulio III, ad istanza di D. Giovanni Manriquez Ambasciadore di Cesare a Roma, ed a' prieghi della città, spedì Bolla a' 7 aprile del 1544, diretta al Cardinal Pacecco, allora Luogotenente del Regno per l'Imperadore, colla quale, per far cosa grata a Cesare, al detto Cardinale ed alla città ordinò, che non si facessero più confiscazioni di beni di Eretici nel Regno, cassando tutte quelle, che insino allora fossero fatte46.

      Intanto il Vicerè Toledo, per estirpare qualche falsa opinione, ch'era rimasa in alcuni, prestava facilmente il braccio secolare al Vicario di Napoli, che vi procedeva, secondo il prescritto de' Canoni, per via ordinaria. Egli è però vero, che non si sradicò allora l'abuso, che lo vedremo durare per più anni appresso, cioè di mandarsi i prigioni a Roma agli Ufficiali di quella Inquisizione, ovvero esigerne dagl'inquisiti le malleverie di presentarsi ivi avanti que' Ufficiali; poichè così nel tempo di D. Pietro, come de' suoi successori lo vediamo praticato, cioè, che andati gl'inquisiti in Roma, fatta la abjura, e la penitenza ad essi imposta dagli Ufficiali di quella Inquisizione, n'erano poi rimandati alle loro case.

      §. II. Inquisizione nuovamente tentata nel Regno di Filippo II ma pure costantemente rifiutata

      L'ordine del tempo richiederebbe, che si dovesse finir qui di parlare d'Inquisizione, e passare avanti nel racconto degli anni dell'Imperio di Cesare e del governo del Toledo; ma io stimo serbar miglior ordine proseguendo questa materia insino agl'ultimi nostri tempi, affinchè per non interrompere il filo, e per non venire di nuovo a trattarla, tutta intera, quanta ella è, sia collocata sotto gli occhi d'ogni uno: affinchè in uno sguardo tutta ravvisandola, possano i nostri con esattezza vedere i suoi orrori, e con quanta ragione i nostri maggiori l'abbian sempre abborrita, e si conosca con ciò, quanto siano grandi le grazie che debbonsi rendere al nostro Augustissimo Principe, che ce ne ha ora affatto resi liberi, ed esenti.

      L'abborrimento, che i nostri maggiori concepirono all'Inquisizione, si è veduto, che procedè dall'orribil modo di procedere dell'Inquisizione di Spagna contra i Mori e gli Ebrei, a tempo di Ferdinando il Cattolico: ora quest'avversione la vedremo assai più crescere per li nuovi e più terribili modi del Tribunal dell'Inquisizione di Roma, sotto il Pontificato di Paolo IV nostro napoletano. Questo Pontefice, assunto che fu al Papato, quando gli altri suoi predecessori s'affaticavano, o almeno lo fingevano, che per estirpar tanti novelli errori surti nella Germania non vi fosse mezzo più proprio, che la convocazione d'un Concilio generale; egli all'incontro reputava, che l'Inquisizione fosse il vero ariete contra l'eresia e la più valida difesa della Sede Appostolica; onde fu tutto rivolto a porre con rigorose Costituzioni in maggior terrore quel Tribunale47. Egli a' 15 febbrajo 1558 pubblicò una nuova Costituzione, la quale fece sottoscrivere da tutti i Cardinali, in cui rinovando qualunque censura, e pene pronunziate da' suoi predecessori, qualunque statuto de' Canoni, Concilj, e Padri in qualsivoglia tempo pubblicati contra gli Eretici, ordinò che fossero rimessi in uso gli andati in desuetudine, dichiarò, che tutti i Prelati e Principi, eziandio Re ed Imperadori caduti in eresia, fossero e s'intendessero privati de' Beneficj, Stati, Regni ed Imperj, senz'altra dichiarazione, ed inabili a poter essere restituiti a quelli, eziandio dalla Sede Appostolica: e li Beni, Stati, Regni, ed Imperj, s'intendano pubblicati e siano de' Cattolici, che gli occuperanno. E narra il Presidente Tuano48, che, quando il Papa pochi anni prima di sua morte, si vide libero della cura della guerra, tutto si diede a render più vigorosa СКАЧАТЬ



<p>45</p>

Ubert. Foliet. De Tumult. Neap. fol. 34 Thuano lib. 2 Hist. fol. 195. Bentivogl. Istoria di Fiandra par. I lib. 3 in Orat. Duc. Feriae ad Philip. H. Paramo. De Orig. S. Inquis. lib. 2 cap. 10 tit. 2. Card. Pallavic. Hist. Conc. Trid. lib. 10 c. 1 nu. 4.

<p>46</p>

Chiocc. M. S. Giur. t. 8.

<p>47</p>

Soave Ist. del Conc. l. 5 pag. 417.

<p>48</p>

Thuan. L. 22 Hist.