Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ del suo governo questi moti, stimò mandar tosto più Cittadini al Re ed al Pontefice, per distoglierli dall'impresa: ed egli con suoi ufficj insinuò al Re, che istituire in Milano il Tribunale dell'Inquisizione, come in Ispagna, era lo stesso, che turbar tutto lo Stato, e porlo in iscompiglio e disordine. Il Re si quietò, e molto più il Pontefice, onde non si parlò più d'Inquisizione.

      Questi medesimi timori sopraggiunsero poco da poi in Napoli, per un'occasione, che da più alto saremo ora a narrare. Quando sotto l'Imperio di Federico II per via d'eserciti armati, e non altrimenti di quello, che si faceva contra Saraceni, con crociate, si proccurava estirpar gli eretici di que' tempi, e particolarmente i Valdesi, ovvero Albigesi; questi rotti e fugati, e spogliati delle dignità e beni, si dissiparono in molte parti, e nella loro credenza ostinati, non potendo colle armi più difendersi, proccurarono di ricovrarsi in luoghi oscuri, dove da niuno osservati, così negletti mantennero la loro credenza. Alcuni si ricovrarono nella Provenza, in quel tratto de' Monti, che congiungono le Alpi con i Pirenei, dove lungamente se ne conservarono le reliquie sino al Pontificato di Giulio II, e più ancora. Altri si ricovrarono nella Germania, ed in alcuni Cantoni di Boemia, di Polonia e di Livonia fecero residenza, li quali da' Boemi erano chiamati Piccardi. Ed alcuni altri, secondo che narrano gravissimi Scrittori, fra' quali è il Presidente Tuano56, si ricovrarono (chi il crederebbe)? presso di Noi in Calabria, ed in questa Provincia lungamente vissero, sino al Pontificato di Pio IV e 'l Regno di Filippo II, nel qual tempo governando il Regno il Duca d'Alcalà furono intieramente sterminati ed estinti57.

      Viveano costoro nella Provincia di Calabria citeriore in alcune Terre presso Cosenza, nominate la Guardia, Baccarizzo e S. Sisto, da loro medesimi fondate; anzi la Guardia fu detta perciò de' Lombardi, perchè essi che vennero ad abitarla, da oltre i monti e dalle parti di Lombardia ci vennero58. Quivi, come in luoghi oscuri e negletti, vissero lungamente non osservati, nè curati. Fu prima in loro tanta semplicità ed ignoranza di buone lettere, che non vi era alcun timore, che potessero comunicar la loro dottrina ad altri: non era in alcuna considerazione il lor picciol numero; e mancando di qualunque erudizione, nè si curavano disseminar la loro dottrina, nè che altri fossero curiosi d'intenderla. Ma surta da poi in Germania l'eresia di Lutero, e quella, come si è veduto, arrivata sino a' Cantoni de' Svizzeri, e penetrata nei Piemontesi ed in alcuni Lombardi abitanti lungo il Pò, dond'essi traevano l'origine, e co' quali aveano continua corrispondenza, furono i primi appo noi, ch'ebbero le prime notizie della pretesa Riforma, e per esserne più distintamente informati, mandarono in Genevra, invitando alcuni di costoro a venire nelle loro Terre ad istruirli meglio di quella dottrina. Vennero con effetto da Genevra due Ministri seguaci di Lutero, i quali pubblicamente predicando la pretesa Riforma, ed insegnandola con particolari istruzioni e catechismi, non solo la disseminarono in quelle Terre della Calabria, ma la insinuarono nelle circostanti; e da quella Provincia già cominciava ad esserne attaccata l'altra vicina: poichè Faito, la Castelluccia e le Celle, Terre della Basilicata, eran già state contaminate. Chi prima si fosse accorto di questa infezione, narra il P. Fiore Capuccino59, che fu un Prete nomato Gio. Antonio Anania da Taverna, fratello di Gio. Lorenzo famoso per l'opera data alle stampe De Natura Daemonum60. Costui si trovava in quel tempo nella Casa del Marchese di Fuscaldo Spinelli, di cui era la Guardia, in qualità di Cappellano: onde per la vicinanza, e forse anche per la pratica, che teneva con quelle genti, s'accorse, che il male, se non si dava pronto rimedio, era per spandersi assai più; onde nel 1561 ne scrisse in Roma al Cardinal Alessandrino Inquisitor Generale, poi Papa Pio V. Il Cardinale commise al suo zelo di far sì, che facesse ravvedere quella gente degli errori, e la riducesse alla sana dottrina. Anania, tralasciato ogni altro impiego, avendo chiamati per compagni all'opra alcuni Gesuiti, i quali poco dianzi erano venuti in Calabria, si posero con molto vigore ad esortarli e predicar loro la verità; ma per molto che si travagliassero, pochissimo era il frutto de' loro sudori; poichè ostinati nei loro errori, non temendo nè minacce, nè la severità di qualunque castigo, vie più insolentivano e moltiplicavano. Bisognò per tanto ricorrere ad un più forte ed efficace rimedio: s'ebbe perciò ricorso al Duca d'Alcalà, il quale si trovava allora Vicerè del Regno: costui ne' principj credette bastare, che si procedesse contra di essi con un poco più di attenzione e vigilanza; onde scrisse al Vicario di Cosenza (come si vede dalla sua lettera rapportata dal Chioccarelli61) che nelle cause de' carcerati, che egli teneva, della Guardia Lombarda inquisiti d'eresia, procedesse con voto e parere del Dottor Bernardino Santa Croce, che si ritrovava in quelle parti, siccome ne scrisse parimente al Santa Croce, che v'invigilasse; ma vedutosi poi che alla gravità del male non eran sufficienti questi rimedi ordinari, ed essendogli stato rappresentato, che gli Eretici in Calabria vie più si moltiplicavano e non temendo castighi nè minacce, erano per cagionare gravissimi disordini, il Vicerè, per reprimere la loro temerità, vi mandò un Giudice di Vicaria, Annibale Moles, con buon numero di soldati, parte condotti da Napoli, e parte raccolti da' paesi contorni: ma fu il Ministro mal ricevuto, perchè coloro sottrattisi dall'ubbidienza di qualunque Magistrato, si posero in campagna, e ragunato un sufficiente numero, con apparenza di formato esercito, vigorosamente gli resisterono, fermi di morire più tosto, che lasciar gli errori; anzi, come suole avvenire nelle guerre di Religione, niente paurosi, ma tutti festanti andavano giulivi ad incontrar la morte, persuasi, che così morendo, salivano in Cielo io compagnia degli Angeli a godersi il Signore. Il Duca d'Alcalà pensò valersi in quest'occasione di Scipione Spinelli Signore della Guardia, e fur rinforzate le sue genti, tanto che bisognò venire ad una battaglia campale per dissiparli: si combattè in fine vigorosamente, e con tutto che rimanessero sul campo molti di quelli morti, non perciò i rimasti s'arresero; ma pieni di coraggio, vedendo che per lo poco numero mal potevano resistere in campagna aperta, si ritirarono dentro le mura della Guardia, la quale, oltre la qualità del sito acconcia a resistere ad ogni nemico assalto, munirono così egregiamente, che ridottala in forma di un sicuro asilo, non temevano di niuno. Lo Spinelli, disperando dell'impresa, veggendo non poter loro resistere con aperta forza, si rivolse agli inganni, e riuscitogli d'introdurre nel Castello gente valorosa ed armata, fingendo di mandargli ivi prigioni, costoro scovrendosi poi, e menando con molto valor le mani, sbaragliarono li Capi, e fecero degli altri molta strage, altri fuggirono, ma molti rimasero prigioni: furono confiscati tutti i loro beni e gli ostinati, condennati alle fiamme, nell'istesso tempo, che Lodovico Pascale Piemontese lor Capo, era stato dalla Inquisizione fatto bruciare in Roma62. In cotal guisa furono finalmente sterminati, e sopra questo argomento avea scritto in versi latini un giusto volume l'Anania; ma (siccome narra il P. Fiore) non permise l'autore stesso, che si desse alle stampe, onde ora siamo privi di quest'opera. Sterminati che in questo modo furono la maggior parte, per alcuni che v'erano sopravanzati non si trascurò di far ogni opera per ridurli in via: si proccurò con rigorosi catechismi e continue predicazioni sradicar gli errori; e dall'altra parte il Duca d'Alcalà prese con severità a castigarli; ordinando per ciò alla Regia Camera, che procedesse alla vendita de' beni confiscati a coloro, ch'erano stati condennati alla pena di morte naturale, nelle Terre della Guardia e di S. Sisto63; si vietò con loro ogni commercio, e furon proibiti fra loro i matrimoni, sinchè spiantata affatto ogni radice di falsa dottrina, ripullulò in que' luoghi l'antica Fede; ed oggi gli abitatori, multiplicati in gran numero, vivono come gli altri, purissimi nella universal credenza.

      Non meno in Calabria, che in Napoli fu duopo al Duca d'Alcalà usare il medesimo rigore. Erano ancor quivi rimasi molti semi di falsa dottrina. Le conversazioni, che si tennero a tempo del Toledo in Casa di Vittoria Colonna, e di Giulia Gonzaga sospette d'eresia, aveano contaminati molti: con tal occasione invigilandosi assai più, che non erasi prima fatto, se ne scoversero molti, che ne davano sospetto; onde furono con severissimi editti citati a comparire fra breve termine avanti il Vicario dell'Arcivescovo di Napoli sotto pena della confiscazione de' beni; ma sopra due cadde più severo castigo. Questi furono Giovan Francesco d'Alois della città di Caserta e Giovan Bernardino Gargano d'Aversa, i quali incarcerati, e come eretici condannati a morte, furono a' 24 di marzo del 1564 pubblicamente nel Mercato decapitati, СКАЧАТЬ



<p>56</p>

Thuan. in Epist. dedic. suae Histor. ad Henr. IV.

<p>57</p>

Thuan. loc. cit. Pars il Calabriam concessit, in eaque diu, atque adeo usque ad Pii IV Pontificatum continuit.

<p>58</p>

Summ. tom. 4 lib. 10 cap. 4.

<p>59</p>

P. Fiore Calabr. iliust. lib. 1 par. 1 cap. 5 num. 6.

<p>60</p>

V. Nicod. ad Biblioth. Top. pag. 124.

<p>61</p>

Chioccar. tom. 8 de S. Inquisit. Offic. car. loc. cit.

<p>62</p>

Spondan. ann. 1561 n. 31.

<p>63</p>

Chioccar, loc. cit.