Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8 - Giannone Pietro страница 15

СКАЧАТЬ con riserva di farlo intendere alle loro Piazze: perlochè congregati gli Eletti, così nobili, come popolari nelle loro Piazze, e proposto il negozio per arduo, conchiusero di dover andare dal Vicerè a Pozzuoli, e creati scelti uomini, e di qualità per Deputati, se n'andarono giuntamente a Pozzuoli, dove avanti il Vicerè, Antonio Grisone gentiluomo del Seggio di Nido parlò con molto vigore ed energia, mostrandogli quanto fosse stato sempre alla città e Regno odioso ed insoffribile il nome dell'Inquisizione, e sopra tutto, che trovandosi con facilità uomini ribaldi, che per denari e per odio facilmente s'inducono a far testimonianze false (il che molto bene poteva egli aver conosciuto, che per estirpar le scuole de' testimonj falsi, era stato costretto di far pubblicar contra d'essi un rigoroso bando a pena della vita) in breve tempo si sarebbe veduto il Regno e la città tutta sconvolta e rovinata; lo pregava per tanto, in nome di tutti, a non voler permettere, che a tempo suo, quando ne aveano ricevuti tanti beneficj, Napoli restasse di tanto obbrobrio e vergogna macchiata, e da così intollerabil giogo oppressa.

      Il Vicerè gli rispose con molta umanità, dicendogli, che non era di mestieri, che per ciò si fossero incomodati di venir sino a Pozzuoli: che egli amava molto più di quel, che credevano, la loro città, la quale poteva chiamarla anche sua patria, non meno per avervi abitato tanti anni, che per aver maritata una sua figliuola ad uno de' suoi Nobili; che non era stata mai intenzione nè di sua Maestà, nè sua, d'imporre Inquisizione; anzi che più tosto avrebbe egli deposto il governo del regno, che soffrire questa novità in tempo suo: restassero per tanto sicuri, che d'Inquisizione non si parlerebbe mai. Soggiunse però, che sapendo essi, che molti, benchè ignoranti e di poco conto, parlavano troppo licenziosamente, e che perciò davano qualche sospetto d'infezione, non giudicava fuor di proposito, nè la città lo dovea tener per male, che se alcuni ve ne fossero, siano per la via ordinaria e secondo i Canoni inquisiti e castigati; acciocchè le persone infette non abbiano ad attaccar la loro contagione agli altri sani; e che per questo fine e non per altro, e credeva, che fossero stati affissi quegli Editti. I Deputati udita questa risposta, gli resero grazie infinite e tutti allegri tornati a Napoli, la riferirono alle Piazze, la quale sebbene avesse universalmente apportata somma allegrezza, nulladimeno molti da quelle ultime parole, di castigare i colpevoli per via di Canoni, non lasciarono il sospetto, interpetrando la mente del Vicerè non essere in tutto aliena dall'Inquisizione, ma di volerla cominciare con apparenza giusta, acciò col tempo ella passasse a termini più ardui, tanto che finalmente restasse poi da senno Inquisizione all'uso di Spagna.

      Crebbe poi il sospetto dal vedere, che il Terracina co' suoi partigiani non tralasciava d'andar insinuando a' popolari di non doversi di ciò curar molto, e farne tanti schiamazzi; ma ciò da che più se ne resero certi fu, quando a' 21 di maggio dell'istesso anno 1547 videro nella porta dell'Arcivescovado affisso un altro editto assai più del precedente chiaro e formidabile, parlando alla scoverta d'Inquisizione. Allora la città si sollevò, e con grande strepito per le piazze di Napoli si gridò arme, arme: fu immantinente l'editto lacerato, il Popolo tumultuosamente corse dal Terracina, dicendogli che convocasse tosto la Piazza, acciò s'amovessero i Deputati vecchi sospetti d'intelligenza col Vicerè e si creassero i nuovi. Il Terracina, con mostrarsene renitente, accrebbe il sospetto; onde entrati in fretta dentro S. Agostino, congregata la Piazza, ed ivi esposto l'arduità dell'affare, ed il pericolo grande e la poca corrispondenza de' fatti alle buone parole del Vicerè, parve a tutti espediente di privare il Terracina del suo ufficio d'Eletto, ed i suoi compagni dell'ufficio di Consultori (perchè in quel tempo il Popolo li creava) e rifecero in suo luogo per Eletto Giovanni Pascale da Sessa uomo audace e di fazione popolare, e per Consultori altri poco amici del Terracina e zelantissimi delle cose pubbliche.

      Da queste forti resoluzioni del Popolo si mossero anche i Nobili, i quali avidamente ricevettero sì opportuna occasione per vendicarsi del Toledo, da loro in secreto odiato, i quali, non meno che i popolari abbominando l'Inquisizione, s'unirono con quelli, dando loro titolo di fratelli, avvertendoli sempre, che stessero vigilanti, atteso senza dubbio il Vicerè voleva l'Inquisizione, nè punto si fidassero delle sue parole, al quale, per togliere ogni ambiguità, bisognava resister apertamente, con dirgli, ch'essi non volevano Inquisizione nè all'usanza di Spagna, nè di Roma, e che insino alla morte, salva la riverenza al loro Principe, l'avrebbero contrastata. Il Terracina, e' suoi compagni rimasero in grandissimo odio col Popolo, ed il volgo, insino a' fanciulli, li chiamavano per le strade Traditori della Patria. Odiavano ancora, come dipendenti del Vicerè, il Marchese di Vico vecchio, il Conte di S. Valentino vecchio, Scipione di Somma, Federigo Caraffa padre di Ferrante, Paolo Poderico, Cesare di Gennaro e molti altri d'ogni Seggio.

      Il Vicerè, udita la sollevazione del Popolo, il tumulto seguito, e come senza sua licenza erano stati imperiosamente privati de' loro ufficj il Terracina e gli altri, e che il Popolo alle sue parole e promesse, non dava alcuna credenza, fieramente sdegnato, minacciando, che avrebbe severamente castigati gli Autori di questi tumulti, se ne venne in Napoli; ed ancorchè da' Deputati si proccurasse raddolcire tanto sdegno, egli diede rigorosi ordini al Tribunal della Vicaria, che procedesse contra gli Autori, non men del tumulto, che della nuova elezione dell'Eletto, e Consultori: fra gli altri, che furono da quel Tribunale portati per Autori più principali, fu un tal Tommaso Anello Sorrentino della Piazza del Mercato, uno dei primi Compagnoni di Napoli, e di gran sequela, il quale, così nell'elezione, come nella sollevazione, si era sopra gli altri distinto, ed era stato colui, che avea tolto il nuovo Editto dalla porta della Cattedrale e laceratolo. Costui, essendo stato citato dal Fisco, dopo molta discussione, se dovea presentarsi o no, alla fine vi andò accompagnato da infinita moltitudine, che postasi attorno al palazzo della Vicaria, ondeggiando aspettava, che il suo Cittadino licenziato se ne tornasse. Il Reggente della Vicaria Girolamo Fonseca, quando vide tanta moltitudine, giudicò meglio per allora licenziarlo dopo breve esame, che di ritenerlo: il quale tolto in groppa del suo cavallo da Ferrante Caraffa Marchese di S. Lucido, al Popolo assai caro, a cui fu dal Reggente consegnato, bisognò portarlo per molte piazze di Napoli per acquetare i tumulti nati tra' Popolari, che temevano della vita di quel loro cittadino. Il Vicerè, dopo questo, vedendo riuscir vani i suoi disegni, pien di cruccio se ne tornò a Pozzuoli; e poco da poi fu, per l'istessa cagione del tumulto, citato Cesare Mormile Nobile di Portanova, ed al Popolo assai caro, il quale vi andò con molta riserva, e ben accompagnato; onde il Reggente riputò anche lasciarlo andare per l'istessa cagione, che avea lasciato andar l'altro. Questo fatto assai dispiacque al Vicerè; ma dissimulandolo, avea rivolto l'animo al castigo ed alla vendetta, aspettando sol il tempo di poterlo fare.

      Ma nuovo accidente accrebbe vie più i tumulti e disordini. Aveva il Vicerè, fra questo mezzo, da' presidj di fuora fatte venire in Napoli alcune compagnie di soldati spagnuoli al numero di 3000, alloggiandogli dentro il Castel Nuovo: un giorno, qual si fosse la cagione, all'improvviso fur veduti questi soldati spagnuoli uscir fuori de' fossi del Castello; a questo avviso, il Popolo insospettito, corse a pigliar l'arme, si chiusero le botteghe e le case e tutti armati corsero verso il Castello. Gli Spagnuoli cominciarono a tirar dell'archibugiate, e corsi sino alla Rua Catalana, saccheggiavano le case, uccidevan uomini e donne e fanciulli. I Napoletani corsi al campanile di S. Lorenzo fecero sonare quella Campana alle armi: al suono di questa Campana, siccome ivi accorsero molti cittadini, così si svegliarono i Regj Castelli, cominciando a tirar cannonate contra la Città, ancorchè con pochissimo danno. Dentro la città e sovente nelle osterie, ove erano trovati Spagnuoli, erano uccisi e tagliati a pezzi. I Tribunali si chiusero; tutto era disordine e rivoluzione; sin che, sopraggiunta la notte, fu sopito alquanto il tumulto.

      Il Vicerè fieramente sdegnato pretendeva, che la città col prender le armi avesse commessa chiara rebellione: all'incontro gli Eletti e' Deputati dolendosi di lui; dicevano, che per odio delle cose passate avea fatto introdurre tanti Spagnuoli in Napoli per saccheggiarla, e che come non fosse stata città dell'Imperadore, ma o de' Franzesi, o de' Turchi, come nemico la faceva cannonare da' Castelli, e che di tutto ne avrebbero avvisato Cesare; ed avendo fatto congregare i più famosi Avvocati e Dottori di que' tempi, fra' quali teneva il primo luogo Giovan-Angelo Pisanello, tutti seguitando il voto del Pisanello, conchiusero, che la Città non potea incolparsi di ribellione; e che per ciò potesse armarsi contra l'adirato Ministro, non per altro, che per conservare al suo Re la città e Regno. Fu per tanto risoluto di far soldati per la difesa della città, e fu dato questo carico a Giovan Francesco СКАЧАТЬ