Il tesoro della montagna azzurra. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Il tesoro della montagna azzurra - Emilio Salgari страница 6

Название: Il tesoro della montagna azzurra

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ di un cratere. Don Josè, don Pedro e il bosmano, erano saliti sul castello di prora per osservare quel fenomeno che poteva riuscire fatale alla nave.

      – Sì, una tromba e il vento è cessato! – esclamò il comandante, con rabbia. – Giungesse almeno un altro colpo di vento e dovesse pure schiantarmi mezza alberatura!

      – Non c’è modo di evitarla? – chiese don Pedro che pensava a sua sorella Mina.

      – Proveremo a spezzarla con un colpo di artiglieria, – rispose il capitano.

      – Ci riuscirete?

      – A volte si rompono; tuttavia non vi nascondo che sarà un mezzo disperato.

      – Perché comandante?

      – La tromba ricadendo solleverà tali ondate da mettere in grave pericolo la mia nave.

      – A mali estremi, rimedi estremi, – sentenziò il bosmano cacciandosi in bocca un pezzo di sigaro. – Se il disastro deve accadere, tuffiamoci con la cicca.

      In quel momento dall’interno di quella collina mobile uscì, innalzandosi e roteando vertiginosamente, una colonna liquida che andò a congiungersi con la nuvola nera. Mare e cielo si erano uniti per la distruzione di tutto quello che dovevano incontrare sul loro cammino.

      Un clamore assordante era echeggiato sulla tolda dell’Andalusia.

      – La tromba! La tromba! – gridarono tutti.

      Poi, come paralizzati dal terrore che doveva aver tolto loro completamente le forze, diventarono muti, guardando con gli occhi dilatati quel mostro di acqua che già si muoveva, turbinando. Lo spettacolo che offriva quella colonna che pareva di cristallo e che i lampi illuminavano senza posa, se era terrificante, era anche sublime. L’acqua, come se fosse stata aspirata da una pompa di enormi dimensioni, veniva assorbita con mille sibili paurosi, dalla grande nube nera, cambiando ogni istante colore, secondo la violenza e la tinta dei lampi. Il capitano Ulloa, che ne aveva viste altre durante i suoi numerosi viaggi, e che non ignorava quanto fossero pericolose quelle terribili colonne d’acqua, anche per le navi di grossa portata come la sua, benché in preda a grande spavento, non aveva perso completamente la testa.

      – Conducete in coperta la señorita Mina, don Pedro! – gridò. Poi volgendosi verso i suoi marinai che non osavano muoversi, soggiunse:

      – Al pezzo il miglior puntatore.

      – Un momento, comandante, – disse il bosmano. – la scioglierò io la tromba.

      – Che cosa vuoi fare?

      – La croce di Salomone.

      – Vattene al diavolo, vecchio Reton!

      Si era lanciato verso il castello di prora dove si trovava il piccolo pezzo d’artiglieria, mentre il bosmano che credeva, come tutti i marinai, ai segni cabalistici, preso il suo coltello di manovra tracciava rapidamente, su un barile, la famosa croce di Salomone. Il pezzo era stato caricato e puntato verso la colonna che continuava ad aggirarsi su se stessa, spostandosi ora in un senso ed ora in un altro, senza però troppo allontanarsi dal luogo dove si era formata. Non aspettava che un colpo di vento per lanciarsi all’impazzata attraverso l’oceano, travolgendo tutto nella sua corsa disastrosa.

      – Mira bene! – comandò il capitano al cannoniere. – Se sbagli, non so se avremo il tempo di ritentare il colpo. Il vento si annuncia già laggiù! Viene certo dalla baia di Uitoe.

      Il marinaio si era curvato sul pezzo, un piccolo cannone adoperato più per i segnali che come arma di difesa, quantunque all’occorrenza avrebbe potuto servire per mitragliare i selvaggi, poi fece fuoco. La detonazione non si era ancora spenta che un grido di delusione e di collera sfuggì al puntatore. Un’onda gigantesca si era precipitata sull’Andalusia nel momento in cui il colpo partiva, rovesciandola sul tribordo, aveva fatto deviare la palla. Quasi nello stesso tempo, il fragore udito poco prima, che annunciava il colpo di vento, si ripeté, acquistando rapidamente un’intensità spaventosa. La tromba, investita dalle raffiche che ora soffiavano da ponente, cominciò la sua marcia, dapprima lentamente, poi rapidamente, movendo in direzione della goletta. Don Pedro e Mina avevano raggiunto il capitano, tenendosi per mano. Il primo ostentava una certa calma: Mina invece appariva in preda a una grande agitazione ed era pallidissima.

      – Tutto sta per finire è vero, don Josè? – disse il giovane.

      Il capitano rimase qualche istante silenzioso, torcendosi nervosamente la lunga barba.

      – Chissà, – rispose poi. – Talvolta si sfugge anche alle spire delle trombe.

      – Non vedete, don Josè, che viene proprio verso di noi? – disse Mina con voce tremante.

      – Purtroppo!

      – E non si può tentare più nulla? – chiese don Pedro.

      – Non possiamo più spiegare vele… Attenti … tenetevi stretti alle funi … il salto … il salto!…

      Un colpo di vento, di una violenza inaudita, investì per la seconda volta l’Andalusia abbattendole di colpo l’albero di trinchetto, i cui pennoni portavano ancora alcuni brandelli di tela. Avendolo schiantato un po’ sopra la coffa, l’enorme troncone cadde in mare, dopo aver fracassata due metri della muratura di babordo. Fu una gran fortuna, poiché se fosse accaduto invece attraverso il castello di prora avrebbe ucciso il capitano, don Pedro, Mina e i cinque o sei marinai che stavano con loro. Caduto l’albero, l’Andalusia fu quasi sollevata fuori dalle onde dall’impeto della gran raffica, ma non avendo vele sugli alberi, poiché tutte le rande, le controrande e gli strali erano stati abbassati prima che la tempesta scoppiasse, poté fuggire almeno per il momento al disastro. Guai se il vento l’avesse sorpresa con le vele spiegate! L’avrebbe inabissata di colpo per la prora. Passata la raffica, tre o quattro enormi montagne di acqua spazzarono per qualche minuto la tolda, precipitandosi come immensi torrenti sopra il castello di prora e sfuggendo, con un enorme rimbalzo, al di sopra del cassero. Don Josè, che si era avvinghiato a una trinca del bompresso, cessata quella furia, lanciò un rapido sguardo in coperta e respirò a lungo vedendo a pochi passi da sé don Pedro e la fanciulla abbracciati strettamente al troncone dell’albero di trinchetto.

      – Temevo che le onde vi avessero portati via, – mormorò. – La prova è stata dura e purtroppo non sarà l’ultima.

      Infatti l’Andalusia doveva fare ancora i conti con la tromba, che avanzava roteando e muggendo cupamente. Una gigantesca corona di spuma circondava la sua base, ricadendo in enormi cascate, mentre la colonna superiore che aveva la circonferenza di circa un centinaio di metri, continuava a tingersi di luci livide. Verso la cima, affondata nell’immensa nuvola, il tuono scrosciava incessantemente e le folgori guizzavano tutt’intorno, descrivendo degli zig-zag fiammeggianti.

      – Don Josè! – gridò don Pedro che teneva stretta fra le braccia Mina, che sembrava quasi svenuta.

      – Sta per arrivare la fine per noi tutti? Vi prego di dirmelo francamente. La morte non fa paura al figlio di un prode capitano; è per mia sorella che tremo.

      – Non posso dir nulla per il momento – rispose il capitano che seguiva attentamente la marcia della colonna. – Noi siamo immobilizzati, mentre la tromba cammina.

      – Ci verrà addosso?

      – Chi può dirlo? Non ha preso ancora, malgrado il vento, la sua direzione. Può passarci vicina senza toccarci, come può СКАЧАТЬ