Il tesoro della montagna azzurra. Emilio Salgari
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Название: Il tesoro della montagna azzurra

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ ad entrare in convulsione, le raffiche incalzavano sempre più impetuose con urla ora rauche ora stridenti, accompagnate da mille fischi, che talvolta, fra i muggiti dei marosi, rassomigliavano a grida umane invocanti soccorso. E intanto l’enorme nube, diventata nera come l’inchiostro, avanzava, avanzava più minacciosa, più terribile, senza che un lampo la illuminasse. Se mancavano i tuoni, si udivano però dei fragori strani, come se una grandinata furiosa s’abbattesse nelle vicinanze. L’Andalusia, con la velatura ridotta fuggiva verso nord, avendo ormai il vento girato da levante a ponente, rompendo di quando in quando la rotta, per fare una lunga bordata verso nord-ovest per non derivare troppo e venire cacciata in mezzo al Pacifico meridionale. L’oscurità diventava di momento in momento più densa, poiché anche la luce crepuscolare era scomparsa, accrescendo così l’orrore della tempesta. Una vaga inquietudine si era impossessata di tutti dal capitano all’ultimo marinaio. Solo Emanuel, che forse non prevedeva la violenza di quel ciclone, sembrava tranquillo, poiché di tratto in tratto, quando i williwawns diminuivano d’intensità, si udiva scendere dalla coffa del trinchetto la sua voce squillante che cantava sempre: Muchos van a la feria… ciò che faceva andare in bestia il bravo bosmano. Certo quell’indiavolato ragazzo voleva dimostrare al vecchio lupo che era veramente figlio di un buon marinaio e che non era affatto un mozo cocido. Reton era però tutto occupato a vigilare i timonieri in compagnia del capitano e ad osservare lo stato del mare. La sua grossa testa ancora irta di capelli non interamente grigi, e ispidi come i peli di una bestia in furore, non cessava di scuotersi da destra a sinistra. Pareva un vero orso bianco.

      – Va male, – mormorò. – Questi salti di vento non mi soddisfano. Sono soltanto l’avanguardia.

      Non si ingannava, il vecchio Reton. Alle nove, quando la nuvola nera cominciava a tingersi di strane luci prodotte senza dubbio da lampi intensissimi, che davano alle onde un aspetto livido, i grossi williwawns cominciarono a giungere, scendendo con furia dalle montagne della Nuova Caledonia. Si annunciavano con una specie di fremito sonoro che ingigantiva rapidamente fino a diventare un lungo ruggito, poi s’abbattevano sull’oceano, schiacciando di colpo i cavalloni che, passato quel soffio poderoso, infuriavano con maggior furore, come per vendicarsi di essere stati per un momento sopraffatti. Chi ne risentiva era l’Andalusia. Quantunque fosse stato fabbricato a prova di scoglio, il povero veliero subiva dei salti terribili. Si alzava sulle creste come una baleniera vuota, tanto era equilibrato il suo carico, tuffando le altissime cime della sua alberatura negli strati inferiori dell’immensa nuvola nera, poi piombava nei baratri con una velocità così fulminea da pare non una discesa, ma una vera caduta, e tale era la sensazione che provava l’intero equipaggio. E non c’era da stupirsene, poiché le ondate più gigantesche non si incontrano che nell’oceano Pacifico. In nessun altro luogo del mondo, nemmeno nei pressi del Capo di Buona Speranza o delle coste meridionali dall’Australia, le tempeste sono così tremende come quelle che si abbattono sulle coste della Nuova Caledonia.

      In quei paraggi i venti raggiungono una velocità spaventosa e non hanno una direzione costante, poiché soffiano da tutti i punti dell’orizzonte. Quando cominciano la ridda è un vero disastro per quei disgraziati abitanti, perché sollevano o sfondano le capanne, abbattono le piante più colossali e, cosa strana, inaridiscono la maggior parte dei rami degli alberi, compromettendo gravemente i raccolti dell’annata. A un tratto però, con grande stupore dell’equipaggio, ma non del capitano, si manifestò una calma improvvisa. Le raffiche, poco prima furiose, erano cessate improvvisamente e non si udivano più che i cupi muggiti delle onde e il rumoreggiare del tuono dentro la grande nube nera. Pedro, non meno sorpreso degli altri per quello strano cambiamento, aveva lasciato il castello di prora raggiungendo don Josè che si trovava sempre sul casseretto col bosmano.

      – Che cosa avviene, signor Ulloa? – chiese. – Questa calma improvvisa mi fa più paura di cento colpi di vento.

      – Avete ragione, don Pedro, – rispose il capitano la cui fronte si era oscurata. – Fortunatamente conosco troppo bene questi mari per lasciarmi ingannare. Un altro forse ne approfitterebbe per spiegare un po’ di tela e fuggire: io non commetterò una simile imprudenza. Questo è il tradimento del vento… A quanto è sceso il barometro?

      – A settecentodiciotto, – rispose uno dei timonieri che usciva in quel momento dal quadro.

      – È terribile, – disse il capitano. – Altro che calma!

      Cominciava a piovere, o meglio a diluviare, e la gran nube si spezzava mostrando qua e là qualche stella. Non era pioggia, era un vero turbine d’acqua che si rovesciava sull’Andalusia. Gli ombrinali non bastavano a sfogarla quantunque ce ne fosse un buon numero sotto le murate. Qualunque altro, non pratico di quei luoghi, si sarebbe convinto che la bufera stava per finire. Persino la luna cominciava a far capolino fra gli strappi del nuvolone. Le preoccupazioni di don Josè e anche del bosmano invece aumentavano. L’Andalusia era rimasta quasi immobile, perché non soffiava più il vento. Solo le onde sempre altissime, la scuotevano fortemente, percotendone, con furia e scrosci assordanti, i solidi fianchi. A bordo tutti tacevano, come se avessero avuto paura che l’eco delle loro voci turbasse quella calma. D’improvviso la voce squillante di don Josè si fece sentire, dominando per un momento i fragori dell’Oceano.

      – Attenti al salto di vento! Giù tutti i fiocchi!

      Aveva appena pronunciate quelle parole, quando l’equipaggio vide la nube raccogliere, con rapidità fantastica, i suoi lembi e ripiegarsi come su se stessa, mentre lampi sinistri, quasi ininterrotti, guizzavano in tutte le direzioni, illuminando la notte di riflessi lividi. Quasi subito si udì in lontananza un rumore strano, stridente, che s’avvicinava con spaventosa rapidità. Era la grande raffica che piombava sull’Andalusia. I marinai avevano calati i fiocchi, appena in tempo. La terribile folata di vento s’abbatté con mille urla sulla nave scotendola come una piuma. I quattro alberi, quantunque solo il trinchetto avesse le due vele basse, si piegarono scricchiolando sotto l’immane urto, spezzando qualche sartia e qualche paterazzo, però, contrariamente alle previsioni di tutti, ressero all’impeto del ciclone. Le vele di trinchetto e di parrocchetto furono tuttavia sventrate di colpo e i loro lembi scomparvero lontano come grossi gabbiani.

      – Issate una vela! – urlò don Josè.

      L’Andalusia, che non aveva più alcuna stabilità, rollava e beccheggiava spaventosamente; guai se la zavorra si fosse spostata! Fortunatamente si componeva, invece di sabbia, di grosse piastre di ghisa, sovrapposte in modo da non potersi muovere. Don Pedro, pallido, si era accostato al capitano.

      – Che il tesoro del vecchio capo dei kanaki se ne vada? – gli chiese, non senza una certa emozione.

      – Speriamo di no, – rispose don Josè.

      – Che cosa succederà ora?

      – Solo Dio lo sa, don Pedro.

      – Dubito di poter raccogliere quella famosa eredità.

      – Eh! I cicloni non ragionano!

      – Quanto tempo dovremo impiegare per arrivare alla baia?

      – Chi può dirlo? Possiamo venir cacciati molto al largo.

      – Quale fortuna per don Ramirez!

      – Non occupatevi di costui in questo momento. Il tesoro della Montagna Azzurra non è ancora in sua mano.

      – E se fosse già arrivato?

      Il capitano non rispose. Guardava attentamente l’oceano che si spianava dinanzi a alla nave.

      – Valgame Dios! – mormorò, torcendosi nervosamente i baffi. – Sta formandosi, ne sono sicuro.

      – Che cosa, don СКАЧАТЬ