Il tesoro della montagna azzurra. Emilio Salgari
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Название: Il tesoro della montagna azzurra

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ style="font-size:15px;">      – Il cannone dei segnali in coperta. Presto, caricatelo!

      A duecento passi dall’Andalusia l’acqua cominciava a girare vorticosamente come se il mare fosse agitato da una convulsione interna. Era la tromba marina che stava formandosi.

      II. IL TESORO DELLA MONTAGNA AZZURRA

      Sette settimane prima degli avvenimenti narrati, durante una mattinata limpida e tranquilla, un giovane, accompagnato da una bellissima ragazza, saliva a bordo dell’Andalusia, che era ancorata al Callao in attesa di trovare qualche carico per i porti della Cina o del Giappone, chiedendo di parlare subito al capitano Josè Ulloa, proprietario della splendida goletta che formava l’ammirazione di tutti i marinai della costa cilena. Erano Pedro de Belgrano e sua sorella Mina, figli di uno dei più noti armatori e uomini di mare di Valparaiso, scomparso misteriosamente quattro anni prima nell’oceano Pacifico, dopo aver accumulato un bel patrimonio per i suoi eredi. Don Josè Ulloa stava fumando in quel momento la pipa nel salotto del quadro, seduto davanti ad una bottiglia di vecchia caña, e contava di finirla prima di sera. Quando seppe dal mozzo di bordo, che c’era anche una señorita insieme al giovane sconosciuto, aveva dato ordine di farli subito scendere nel quadro e di preparare un buon caffè. Don Pedro e Mina erano, piuttosto esitanti, entrati nel comodo salottino del comandante, accolti con quella ruvida ma franca cordialità degli uomini di mare.

      – Consideratevi come a casa vostra… – disse don Josè alzandosi. – E voi, señorita, fatemi l’onore di accomodarvi.

      – Siete don Josè Ulloa, vero? – chiese subito il giovane.

      – In persona, señor

      – Allora voi ci conoscete?

      Il lupo di mare guardò attentamente il giovane, poi la señorita, quindi scosse il capo.

      – Non mi pare di avervi mai visto – disse – E poi tocco il Callao così di rado, poiché la mia nave è impegnata sempre in lunghe navigazioni…

      – Oh, di nome! – esclamò il giovane. – Nostro padre era l’uomo di mare più conosciuto sulle coste cilene e peruviane.

      – Come si chiamava?

      – Fernando de Belgrano.

      Il capitano batté un formidabile pugno sulla tavola, poi vuotò di un sol colpo un bicchiere di caña.

      – Rayo de Dios! – esclamò poi gettando via il berretto che gli copriva il capo. – E perché non me lo avete detto prima, giovanotto? Ho fatto dei viaggi attraverso il Pacifico sul suo Sarmento, come secondo di bordo. Grande marinaio, il capitano Fernando! Nessun uomo di mare poteva guidare una nave meglio di lui…E voi siete i suoi figli?

      – Sì, capitano, – rispose don Pedro.

      – Poveri ragazzi! Mare traditore che insidia sempre gli onesti naviganti! È stato divorato dagli isolani della Polinesia, è vero?

      – Ma no, capitano Ulloa.

      Un altro pugno formidabile che fece oscillare la bottiglia di caña e saltellare il bicchiere, piombò sulla tavola.

      – Mil diables! – esclamò – non è stato divorato dai neozelandesi e dai canaki della Nuova Caledonia o delle isole Salomone? Eppure lo affermano tutti!

      – Su quali documenti? – chiese don Pedro.

      – Señor, – disse il capitano – voi avete giurato di farmi perdere la pazienza, a quanto pare. Vi prego di spiegarvi. È morto quel bravo capitano o è ancora vivo? Non dimenticate che era il mio migliore amico.

      – A quest’ora deve aver resa l’anima a Dio, – rispose il giovane con voce triste. – Almeno così risulterebbe dallo scritto trovato in un barile, dal capitano Ramirez.

      – Ramirez! – esclamò l’uomo di mare, corrugando la fronte. – Un pessimo soggetto che si è arricchito massacrando o facendo morire di fame quei disgraziati di cinesi che si lasciano arruolare per venire qui a scavare le miniere di guano. Conosco quel pirata che disonora gli onesti marinai…Avanti señor: mi avete parlato di un barile e di un documento: che cosa volevate dire?

      – Che mio padre, dopo quattro anni, ha dato sue notizie. – rispose don Pedro.

      – Quali? – gridò il capitano.

      – Abbiate la compiacenza di ascoltarmi, don Josè Ulloa, – disse il giovane.

      – Sono a vostra disposizione, señor, – rispose il comandante dell’Andalusia ricaricando e riaccendendo la pipa. – Ho tempo da perdere finché vorrete. Questo racconto, che riguarda uno dei miei migliori amici e che forse chiarirà un mistero che ha suo tempo ha molto impressionato tutti i marinai cileni, mi interessa straordinariamente.

      – Quindici o venti giorni or sono, il capitano Ramirez che tornava da Canton con un carico di arruolati cinesi…

      – I suoi schiavi, che quel miserabile si diverte a tormentare, – lo interruppe il comandante dell’Andalusia con disprezzo profondo. – Vi prego continuate, don Pedro de Belgrano.

      – …incontrava nei paraggi dell’isola Lifu, una delle maggiori della Caledonia, un barilotto galleggiante sul mare.

      – E che cosa conteneva?

      – Un documento scritto in doppio originale, in inglese ed in spagnolo, e due pezzi di scorza d’albero sui quali ci sono dei segni misteriosi che invano ho cercato di decifrare.

      – Avete quella corteccia?

      – Sì, capitano.

      – Fatemela vedere, prima di tutto. Conosco la Nuova Caledonia. Brutta isola, dove non si può fare una passeggiata o una partita di caccia, senza correre il rischio di venire mangiati.

      Don Pedro si frugò in una delle ampie tasche del soprabito ed estrasse un involto.

      – Ecco, capitano, – disse – esaminate pure questa corteccia; poi continuerò il mio racconto.

      Aprì la carta che avvolgeva il talismano e mise davanti al capitano un pezzo di corteccia biancastra che portava incisi e coloriti in rosso tre figure che rassomigliavano a dei grossi piccioni.

      – I notù! – esclamò il capitano. – Sebbene malamente incisi li riconosco benissimo.

      – Che cosa sono? – chiesero ad una voce don Pedro e Mina con una certa ansietà.

      – Ecco, – rispose il capitano – i notù che io ho già cacciato sulle coste della Nuova Caledonia, sono dei bellissimi colombi e posso dire anche molto buoni, grossi quanto una delle nostre galline, con le penne color bronzo, che vivono di preferenza nel più fitto dei boschi, sicché e molto difficile distinguerli. Il loro grido è così forte che rassomiglia al muggito di un bufalo. Quello che vi posso dire, ragazzi miei, è che sono tenuti in molta considerazione dai canaki della Nuova Caledonia, non saprei se per la bellezza delle loro penne, se per la delicatezza delle loro carni o per qualche altro motivo a me ignoto.

      – E questa corteccia? – chiese don Pedro.

      – È un pezzo di niaulis, СКАЧАТЬ