Название: Il tesoro della montagna azzurra
Автор: Emilio Salgari
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
isbn:
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– Obbedite o faccio fuoco contro chi mi rifiuta obbedienza.
– Sarete costretto a ucciderci tutti, signore, perché nessuno vi obbedisce più, – disse il pilota. – Nella sventura si diventa tutti eguali.
– È una ribellione?
– Chiamatela come volete, a noi non importa. Qui ormai non regna che la fame.
– Gettate in acqua quel cadavere! – ripeté il capitano, alzando la carabina. – Io sono sempre il comandante dell’Andalusia e mi farò rispettare a colpi di fucile, se sarà necessario.
I marinai invece di obbedire, si schierarono davanti alla salma del povero Escobedo, per impedire che il bosmano e don Pedro, i quali si erano già fatti avanti, eseguissero l’ordine.
– Sgombrate! – urlò il capitano.
– Rayo de dios! Finiamola con quest’uomo che ci impedisce di sfamarci! – gridò Hermos, levando la navaja e balzando in avanti. – Sotto camerati!
Don Josè aveva puntato rapidamente il fucile. Uno sparo rintronò e il capo dei ribelli stramazzò sulla tolda, con il cranio fracassato dalle due palle incatenate. Un urlo di orrore e di rabbia si era alzato fra i marinai, poi seguì un profondo silenzio. Tutti sembravano paralizzati dallo stupore.
– Dio mi perdoni! – esclamò don Josè. – Quell’uomo lo ha voluto.
I ribelli si ritiravano davanti a lui, atterriti dall’atto audace, stringendo furiosamente i coltelli e le scuri, che a nulla valevano contro le armi da fuoco. In quel momento si udì un forte scricchiolio, poi si udì il bosmano gridare:
– Il vento! Il vento! Alla vela, camerati! La terra dei Canaki sta davanti a noi!
A quel grido, i ribelli si guardarono l’un l’altro con un certo stupore, poi si gettarono come un sol uomo verso l’albero, issando rapidamente la vela. Sembrava d’un tratto avessero dimenticata la fame, la morte del loro capo improvvisato e ogni idea di vendetta. Solo Emanuel era rimasto immobile, mordendosi le labbra a sangue. Il vento, una fresca brezza che spirava da levante, si era alzato increspando fortemente la superficie dell’oceano. Il bosmano e don Josè erano accorsi al timone, dopo aver fatto segno a Mina e a don Pedro di seguirli, nel timore di qualche altra brutta sorpresa. Ormai non si fidavano più dei loro marinai, anche se privati del loro capo e istigatore. La zattera si era messa a correre, ballonzolando pesantemente sulle piccole ondate che si formavano, lasciandosi a poppa una larga scia spumeggiante. La fiducia rinasceva in tutti i cuori. Se quella brezza durava era la salvezza, poiché nessuno dubitava che la terra dei Kanaki si trovasse ormai a una distanza relativamente breve.
– Questo vento ha salvata la situazione e impedito un massacro, – disse il bosmano a don Josè. – Sia dunque benedetto!
– Temo tuttavia che questa calma sia passeggera. Se non troveremo nulla da mangiare i nostri uomini torneranno alla carica.
– Il loro capo è morto, – osservò don Pedro.
– Non tarderanno a nominarne un altro. È quel John ora che mi dà da pensare.
– Abbatteremo anche lui, – disse il bosmano.
– Uccidere mi ripugna. Quegli uomini fino a ieri sono stati i miei bravi marinai. Mi pesa già di avere sulla coscienza un omicidio.
– E se tardavate un po’, capitano, quel furfante vi squarciava il ventre con un buon colpo di navaja.
– Non dico di no, Reton, sarei però stato più lieto se l’avessi risparmiato… State in guardia, amici, perché se prima di questa sera non scopriremo le coste della Nuova Caledonia, avremo un’altra ribellione.
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