Название: En torno a la economía mediterránea medieval
Автор: AAVV
Издательство: Bookwire
Жанр: Документальная литература
isbn: 9788491346647
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Ma vi erano anche debe ser altre forme di imporre le proprie mode. Angela Orlandi ha trovato un documento molto interessante che è una specie di estratto-conto, del 1558, relativo alla realizzazione di una bambola. Siamo ancora nell’ambito della famiglia Botti di via dei Serragli. La bambola venne chiesta a Matteo dal fratello Iacopo che abitava a Siviglia per la figlia. Per costruire il giocattolo si fece ricorso a un falegname, Antonio Particini, che il Vasari definì «raro maestro di legname» che «merita somma lode»; la pittura del viso, «di colore incarnato», fu affidata a Gian Iacopo Mattoncini, discepolo di Lorenzo di Credi. Al vestito poi fu dedicata una particolare attenzione: il sarto utilizzò raso giallo e damasco verde avendo cura che la fattura fosse alla moda, uno stile probabilmente ispirato agli abiti indossati da Eleonora di Toledo, la moglie di Cosimo I. A tutto ciò si aggiungano i decori in seta che concorsero a farne un oggetto assai prezioso il cui costo equivaleva a circa tre mesi di stipendio di un ufficiale della zecca.13
La bambola non fu soltanto un giocattolo, fu custodita a Siviglia nell’abitazione del mercante insieme ad altre suppellettili e oggetti di arredo di cui si aveva il piacere di circondarsi. Tra questi vi era anche una «nostra Donna con figliolo in braccio e Giuseppo» che anni prima, nel 1535, Francesco, il fratello di Iacopo, aveva ordinato al Vasari per portarla in Spagna.14 Tutto veniva orgogliosamente esibito ai tanti ospiti di rango che arricchivano gli indispensabili rapporti sociali nella opulenta Siviglia.
Le riflessioni fatte lasciano immaginare la presenza a Firenze di artefici e mercanti diversamente specializzati ma similmente dotati di cultura che non era solo estetica. Essi producevano e usavano una moltitudine di manufatti di alta qualità che riuscivano a imporre nel mondo.
Come è accaduto tutto questo?
Non basta evocare il ruolo della produzione dei beni di lusso.15 È vero che essa fu fondamentale nel compensare la crisi del commercio di pannilani e nell’accrescere il ruolo di Firenze nei traffici internazionali. L’attenzione quasi esclusiva sul ruolo dei beni particolarmente ricchi ha finito per appannare una visione più complessa e articolata della società e della economia del tempo. La realtà cittadina era assai diversificata e al suo interno accanto ai beni di lusso vi erano beni poveri ma, esattamente come gli altri, espressione di una colta sensibilità. Ricchi di qualità intrinseche erano destinati alla domanda che stava emergendo proprio all’interno di quel ceto medio che tendeva a dare maggiore spazio al consumo di beni superflui.
Si potrebbero fare molti esempi: alla fine del Trecento poteva capitare di incontrare, nelle piazze e nei mercati, l’ambulante che vendeva immagini sacre, dipinte su carta, oggetti quasi certamente dotati di valori estetici non inferiori a quelli di un orpello preparato per un prestigioso soffitto. Proprio nell’ambito dei consumi devoti a Firenze operava una famiglia di lunghissima tradizione, i Benintendi Falimmagini che tra il XIV e il XVI secolo facevano figure di cera a misura d’uomo che rappresentavano persone graziate per uno scampato pericolo. Secondo il Vasari la ceroplastica si era raffinata nel tempo grazie alla osmosi fra le varie arti. Insomma possiamo prendere i «boti», gli ex-voto, come ulteriore testimonianza della crescita dei consumi medi e medio-bassi.16 Ancora, per proseguire con qualche ulteriore esempio, si pensi allo sviluppo della domanda dei tessuti di cotone alla perugina o alla diffusione di eleganti oggetti dal basso valore intrinseco ma di implicita citazione colta.
Così come è insufficiente spiegare il successo del made in Florence riferendosi alla sola produzione di lusso, è anche insufficiente evocare soltanto il ruolo della cultura delle élites. Sembra quasi ovvio richiamare l’attenzione sul fatto che Umanesimo e Rinascimento ebbero una influenza forte e positiva, ma è altrettanto vero che anch’essi furono il frutto di una realtà economica e sociale dinamica e innovativa. Almeno quel terzo della popolazione sopra citato era partecipe di questa vita culturale e lo era a modo suo, apportando elementi di innovazione basati su un pragmatismo e un gusto che si stava evolvendo. Si deve pensare la città di quegli anni come un crogiuolo di individui che appartenevano a classi diverse e al cui interno la contaminazione tra diversi modelli di vita era forte.17 La contaminazione, quell’inesausto conflitto della imitazione, era un elemento che rompeva gli schemi della tradizione medievale; per fare un elementare esempio, anche le abitudini al parziale riuso di abiti concorrevano a mettere in discussione certi conformismi. «Poca vertù, ma fogge ed atti assai!» lamentava Franco Sacchetti18 nel rimpiangere la vita tranquilla e sostanzialmente immobile dei tempi passati. Come ho accennato, ciò era chiaramente visibile nei piccoli manufatti del quotidiano, come in certe suppellettili d’osso o di legno anziché di avorio, realizzate dal medesimo artigiano. Questo fenomeno di contaminazione era ancora più visibile nei modelli alimentari; essi cambiavano nella tipologia dei prodotti, nelle tecniche di preparazione e perfino in alcuni servizi, come quelli del cuoco di osteria che preparava cibo da asporto per persone appartenenti ai ceti più diversi.19 Nel Seicento Giulio Cesare Croce avrebbe rielaborato una versione medievale delle vicende di Bertoldo confermandone la funzione didattica. L’astuto contadino sarebbe morto per non poter mangiar rape e fagioli, perché non gli era stato possibile mantenere comportamenti consoni al suo stato; Firenze due secoli prima stava mettendo in discussione queste regole.
Altro elemento che deve essere maggiormente valutato riguarda ciò che oggi definiremmo valorizzazione del capitale umano. Molti ragazzi giovanissimi ambivano a entrare in bottega: era il modo per muoversi nella scala sociale; prima però si andava a scuola fino a 10-12 anni. Dal Catasto del 1480 emerge che nella Firenze di 50-55.000 abitanti, ben 1.031 ragazzi nell’età tra 10 e 13 anni andavano a scuola.20 Tra di loro vi era chi, dopo la scuola di grammatica, seguitava nella bottega d’abaco, molto diffusa in Toscana sin dai tempi di Leonardo Fibonacci. In essa si insegnava la matematica applicata all’economia. I maestri erano quasi sempre noti studiosi i quali sottolineavano che la formazione offerta sarebbe stata «sufficiens ad standum in apotecis artificis».21 Gli scolari imparavano cose anche complesse: non solo le operazioni di base, le frazioni, l’uso dei numeri arabi, i pesi e le misure; studiavano il calcolo del tasso d’interesse e le rateizzazioni, la tenuta di un libro di entrate e uscite e tutti i principali problemi monetari, perfino il tema dell’alligazione.
Insomma, la comunità cittadina tentava di offrire un livello di formazione che non avremmo immaginato e che non si interrompeva con la scuola ma continuava in bottega, con la molta cura e severità che ho riscontrato in tanti scambi epistolari tra direttori di imprese del tempo.
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