Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4. Giannone Pietro
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - Giannone Pietro страница 17

СКАЧАТЬ sostenere la guerra contro i Lombardi nell'istesso tempo, che avea per suoi nemici il Papa ed il Re Guglielmo, si dispose, esortato anche da' suoi Baroni, che si protestavano non volerlo più seguire, se non si riconciliava col Pontefice, di chiedere schiettamente, e senza fraude alcuna la pace ad Alessandro; e poichè i maneggi di questa pace, e l'andata del Papa in Vinegia, variamente sono stati narrati da' moderni Scrittori, i quali avendo di molte favole riempiute le loro istorie, diedero anche la spinta a' dipintori di prendersi queste licenze; però seguitando le orme de' più diligenti Scrittori, e sopra tutto degli accuratissimi Capecelatro ed Agostino Inveges, i quali con più diligenza degli altri rintracciarono questi successi dagli Autori contemporanei, e spezialmente dall'Istoria di Romualdo Arcivescovo di Salerno, il quale a tutto personalmente intervenne come Ambasciadore del Re Guglielmo, non dovrò aver rincrescimento di partitamente narrargli, quali realmente avvennero, giacchè non saranno riputati estranei e lontani dal nostro istituto, anzi a quello molto proprj e confacenti.

      Disposto pertanto Federico d'unirsi con Alessandro, inviò ad Alagna, ove dimorava, suoi Ambasciadori a chiedergli la pace: questi furono il Vescovo di Maddeburg, l'Arcivescovo di Magonza, l'Eletto di Vormazia, e 'l Protonotario dell'Imperio, uomini tutti quattro di grandissima stima e più volte adoperati da lui in simili affari. Questi avendo esposto le loro commessioni al Papa, dopo vari trattati, che durarono quindici giorni continui, finalmente diedero qualche sesto alle differenze tra il Papa, ed il loro Signore; ma premendo assai più per la pace d'Italia, che si accomodassero gli affari de' Milanesi e delle altre città di Lombardia, il quali non era convenevole, che si trattassero in loro assenza; e considerandosi ancora, che non potevasi dar perfetto compimento ad una sicura pace senza la persona dell'Imperadore e de' Deputati di quelle città, che v'aveano da intervenire; fu perciò conchiuso, che il Papa passasse tantosto in Lombardia, per abboccarsi con Federico, e che perciò si dasse libero il passaggio e salvocondotto da ciascuna delle parti di potere chiunque volesse liberamente andare ove dovea ragunarsi tal Assemblea e dimorarvi e partirsi a suo piacere. A tal effetto inviò il Papa il Cardinal Ubaldo Vescovo d'Ostia, Rinaldo Abate di Monte Cassino Cardinal di S. Marcellino, e Pietro del lignaggio de' Conti di Marsi a ricevere il giuramento di serbar tal sicurezza da Cesare e dagli altri Collegati, e ad eleggere il luogo, ove s'avea a far l'abboccamento; e fu stabilito di consentimento di ambe le parti, che fosse la città di Bologna. Inviò anche il Papa suoi messi al Re Guglielmo a significargli, che avesse mandati alcuni de' suoi Baroni per assistere a tal bisogno in nome di lui; perciocchè non intendeva conchiudere pace alcuna con l'Imperadore, ove non fosse compreso anch'egli, che così costantemente avea sempre favoreggiati gli affari della Chiesa[68]; la quale ambasciata udita dal Re, v'inviò di presente Romualdo Arcivescovo di Salerno, autore di questa relazione, e Ruggiero Conte d'Andria Gran Contestabile; acciocchè intervenissero in suo nome a tutto quello, che fosse stato mestiere. E dopo questo partì il Pontefice d'Alagna, e per la via di Campagna venne a Benevento e di là passò a Siponto ed a Vesti, ove s'imbarcò su le galee fattegli apprestare dal Re Guglielmo con molti Cardinali, che girono in sua compagnia, e con i suddetti Ambasciadori navigò felicemente a Vinegia, ove a grand'onore ricevuto, albergò nel monastero di S. Niccolò del Lito, e nel seguente giorno fu dal Doge e dal Patriarca e da numeroso stuolo di Vescovi con gran concorso di Popolo condotto nella chiesa di S. Marco, e di là se ne passò al palagio del Patriarca, ch'era stato apprestato con gran pompa per suo alloggiamento.

      L'Imperador Federico intesa la venuta del Pontefice a Vinegia inviò colà il Vescovo di Maddeburg, l'Eletto di Vormazia, e 'l suo Protonotario a chiedergli, che gli fosse a grado di stabilire altro luogo per l'appuntato abboccamento, avendo la città di Bologna sospetta, per esser colà entro molti suoi nemici. Alla qual dimanda rispose Alessandro, ch'essendosi quel luogo statuito non solo da lui, ma da' comuni Ambasciadori e da tutti i Collegati lombardi, non poteva senza il voler di ciascuno d'essi cambiarlo in altro; ma che non perciò s'impedirebbe la comune concordia; onde prestamente fece convocar i Deputati di tutte le parti a Ferrara e gitovi anch'egli ragunò una Assemblea entro la chiesa maggiore di quella città dedicata a S. Giorgio, ove convennero tutti, ed egli ragionò lungamente sopra gli affari della pace. Ed essendo sopraggiunti sette Legati da parte di Cesare, si deputarono dal Pontefice altri sette Cardinali; e per la Lega de' Lombardi furon destinati il Vescovo di Turino, e quelli di Bergamo e di Como, l'Eletto d'Asti, Gerardo Pesce milanese, Goezzo Giudice da Verona ed Alberto Gammaro bresciano, i quali dopo vari contrasti, intervenendovi parimente gli Ambasciadori del Re Guglielmo, di comun consentimento statuirono che l'abboccamento si facesse a Vinegia.

      Il Pontefice prestamente spedì Ugone da Bologna e Ranieri Cardinali con alcuni altri Lombardi al Doge ed al Popolo vinegiano (essendo a questi tempi la potestà pubblica presso i Nobili ed il Popolo insieme, non come oggi ne' soli Nobili ristretta[69]) a chieder loro, che avesser data sicuranza che potesse egli, e tutti gli altri, ch'eran seco per lo detto trattato di pace entrar nella loro città e dimorarvi, ed uscirne a lor talento senza ricever noia alcuna, aggiungendo che non consentissero, che Cesare contro il voler del Papa vi potesse venire; ed avendo i Vinegiani senza molto riflettere a quest'ultima dimanda conceduto ad Alessandro quel che chiedeva, si partì egli immantenente da Ferrara ed a Vinegia ritornò. Si diede quivi per tanto principio a' negoziati della pace, ma riuscendo per le molte difficoltà e differenze insorte, malagevole a potersi conchiudere, perchè non andasse a vuoto tutto ciò, che fin allora erasi adoperato, pensò Alessandro, che almeno dovesse conchiudersi una triegua, che durasse sei anni con i Lombardi, e quindici col Re di Sicilia; nel che essendo venuti gli altri, s'attendeva solo il consenso di Cesare per istabilirla; e gito il Cancelliere all'Imperadore con tal proposta, prima si sdegnò; ma da poi acconsentì con condizione, che il Papa restituisse all'Imperio lo Stato della Contessa Matilde; ma questa proposta non fu accettata da Alessandro; onde dilungandosi l'affare, perchè l'Imperadore era a Pomposa, luogo di piacere presso Ravenna, e vi voleva molto tempo ad andare e ritornare i messi, che gli s'inviavano per gli affari, che occorrevano in tal bisogno si contentò Alessandro per agevolare il trattato a richiesta del Cancelliere e degli altri Deputati di Cesare ch'esso venisse insino a Chiozza luogo quindici sole miglia lungi da Vinegia e che di là non passasse avanti senza espressa sua licenza. Ma venuto che vi fu Federico, ne girono alcuni de' popolani di Vinegia a ritrovarlo, e dirgli che non indugiasse ad entrare nella città, perchè colla sua presenza avrebbero sicuramente fatta la pace in suo vantaggio, ed essi avrebbero adoperato ogni sforzo per farlo entrare.

      Aveva mandato in questo mentre Alessandro a Chiozza suoi Legati a dire a Cesare, che se egli era risoluto di far triegua per sei anni con i Lombardi e per quindici col Re Guglielmo, il giurasse nelle lor mani, perchè poscia con la sua benedizione sarebbe potuto entrar nella città. Ma Federico a cui eran piaciute l'offerte de' popolani, ed aspettava, che l'avesser recate ad effetto, simulando essergli nuovo il trattato, e consumando il tempo in varie consulte, trasportava di giorno in giorno la risposta; onde sospettando i Cardinali che l'Imperadore macchinasse qualche inganno, erano entrati in gran confusione, nè sapean che farsi: ed i popolani di Vinegia volendo porre in opera la promessa fatta a Federico, si ragunarono insieme nella chiesa di S. Marco, e tumultuando contro il Doge, gridavano ch'era cosa molto biasimevole, che Cesare dimorasse travagliato dal calor della stagione, da' pulci e dalle zanzare senza potere entrare in Vinegia, la qual ingiuria riserbando egli nel suo animo, l'avria poscia sfogata a più opportuno tempo contro di loro e contro i lor figliuoli; perlocchè volevano, che invitatovi dalla Repubblica, e di voler di tutti loro v'entrasse di presente: le quali cose avendo con molta baldanza significate al Doge, fu da lui risposto, che s'era giurato al Pontefice di non far entrare l'Imperadore senza sua licenza: ma nulla giovandogli presso il Popolo tumultuante questa scusa, alla fine bisognò cedere, e mandare alcuni de' medesimi a dire al Papa, ch'era loro intendimento di far entrare Cesare in Vinegia, i quali ritrovandolo che dormiva, senza voler soprastare menomo tempo, irreverentemente lo svegliarono ed espostagli con arroganza l'ambasciata, a gran pena si contennero per le parole del Pontefice d'indugiare fino al vegnente giorno a farlo venire.

      Sparsasi di repente per la città la novella di tal fatto, temendo i Lombardi e gli altri, ch'erano ivi per lo trattato della pace, che se Federico entrasse contro il voler del Papa, non gli facesse prigioni, avendo già sospetta la corta fede de' Vinegiani, sgombrarono tantosto via, e ne girono a Trivigi. Ma gli СКАЧАТЬ



<p>68</p>

. Romual. Arciv. di Saler. Nequaquam cum Imperatore sine Rege Will. pacem facere.

<p>69</p>

. Vedi lo Squittinio della libertà Veneta di M. Velsero.