Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ la sua figliuola, o sorella in matrimonio. IV Per compra di qualche luogo, che servisse per servizio del Re, o del suo esercito. Merita ancora riflessione ciò, che si stabilisce per li Prelati delle Chiese, a' quali anche si prescrivono alcuni casi, ne' quali possano legittimamente cercar gli adjutorj da' loro vassalli: I Per la loro consecrazione. II Quando dal Papa saranno chiamati ad intervenire in qualche Concilio. III Per servizio dell'esercito del Re, se essi saranno in quello. IV Se saranno chiamati dal Re; ove è da notare, che in questi tempi non cadea dubbio alcuno, se i Principi potessero chiamare i Prelati, nè questi facevano difficoltà d'ubbidire alle chiamate, come si cominciò a pretendere negli ultimi tempi; se bene nel Regno i nostri Principi sempre si siano mantenuti in questo possesso, con discacciar i renitenti dal Regno nel caso non ubbidissero. V Se il Re per suo servigio gli mandava altrove, siccome indifferentemente soleva fare, impiegandogli sovente negli affari della Corona; e per ultimo se l'occasione portasse, che il Re dovesse ospiziare nelle loro terre. In tutti questi casi si permette a' Prelati poter riscuotere da' loro vassalli gli adjutorj, ma si soggiunge nella medesima Costituzione, che debbano farlo moderatamente.

      Quell'altra, che si legge sotto il titolo de novis edificiis, se bene in alcune edizioni portasse in fronte il nome di Ruggiero, ed in altre quello di Guglielmo, è chiaro però, che non sia nè dell'uno, nè dell'altro. L'Autore della medesima fu Federico II come è manifesto da quelle parole, ab obitu divae memoriae Regis Gulielmi consobrini nostri, intendendo Federico di Guglielmo II, che fu suo fratello consobrino, come nato da Guglielmo I, fratello di Costanza madre di Federico.

      La vigesima è sotto il titolo de servis, et ancillis fugitivis. Proibisce per quella Guglielmo, ritenere i servi fuggitivi; ed ordina nel caso sian presi, che immantenente si restituischino a' padroni, se si sapranno: se saranno ignoti, impone che debbano consegnarsi a' Baglivi, i quali tosto dovranno trasmettergli alla sua Gran Corte e facendo altrimenti, s'impone pena ai trasgressori, anche agli stessi Baglivi, della perdita di tutte le loro sostanze da applicarsi al Fisco: ma Federico nella Costituzione de Mancipiis, dà un anno di tempo a' padroni di ricuperargli, da poi alla Gran Corte saranno trasmessi.

      L'ultima è quella che si legge sotto il titolo de pecunia inventa in rebus alienis. Se l'altre leggi di Guglielmo sinora annoverate mostrano l'avidità, che ebbe questo Principe di cumular denari, e d'imporre tante pene pecuniarie, onde s'arricchisse il suo erario, maggiormente lo rende manifesto questa, che siamo ora a notare. Guglielmo sin dall'anno 1161 avea stabilita legge, che chi trovasse un tesoro, lo trovava per lo Re[53]. In questa, ora ordina che chiunque ritrovasse oro, argento, pietre preziose ed altre simili cose, che non siano sue, debba immantenente portarle a' Giustizieri, o Baglivi del luogo, ove saranno trovate, i quali tosto debbano trasmetterle alla sua Gran Corte, altrimente come ladro sarà punito. Dichiarando ancora generalmente, che tutto ciò che nel suo Regno sarà trovato, del quale non apparisca il padrone, al suo Fisco spezialmente s'appartenga. Vuol che alla sua pietà si debba ciò che soggiunge, cioè che se fra lo spazio d'un anno taluno proverà esserne di quelle il vero padrone, debbansi a lui restituire, ma quello trascorso, stabilmente al Fisco s'ascrivano. Federico II, nella seguente Costituzione approva la legge, e questo solo aggiunge, che le robe trovate s'abbiano a conservare da' Giustizieri e Baglivi delle regioni, ove si trovarono, non già trasportarsi nella Gran Corte, non parendogli giusto, che i padroni di quelle per giustificare e provare esser loro, e per ricuperarle, da lontani luoghi abbiano con molto loro dispendio e travaglio da ricorrere alla Gran Corte da essi remota.

      Queste sono le leggi del Re Guglielmo I, che a Federico piacque ritenere, e che volle unire colle sue e con quelle di Ruggiero suo Avo; poichè l'altra, che si legge sotto il titolo de adulteriis coercendis, dove, quando non vi sia violenza, si commette a' Giudici ecclesiastici la cognizione dell'adulterio, a cui uniformossi l'Imperadrice Costanza per una sua carta rapportata dall'Ughello, non è, nè di Ruggiero, nè di questo Guglielmo: ella è di Guglielmo II, suo figliuolo, come si vedrà chiaro quando delle leggi di questo Principe farem parola.

      Fassi ancora da alcuni Guglielmo autore della Gran Corte, e ch'egli fosse stato il primo a stabilir questo Tribunale; nè può dubitarsi, che nell'anno 1162 uno de' Giudici di questa Gran Corte fosse stato Carlo di Tocco Commentatore delle nostre leggi longobarde. Ma siccome ciò è vero, così non potrà negarsi, che la Gran Corte a' tempi di Guglielmo era quella eretta in Palermo, ove tenea collocata la sua sede regia, non già quella, che a' tempi di Federico II, e più di Carlo I d'Angiò, veggiamo stabilita in Napoli. In tempo di Guglielmo, Napoli non era riputata più di qualunque altra città del nostro Reame, anzi Salerno, e (prima d'averla egli così mal menata) Bari sopra le altre estolsero il capo. E se bene alcuni rapportano, che questo Principe di due famosi castelli avesse munita Napoli, cioè di quello di Capuana contro gli aggressori di terra e dell'altro dell'Uovo, per que' di mare, ancorchè altri ne facessero pure autore Federico: niun però potrà negare, che questa città da Federico II, cominciasse pian piano a farsi capo e metropoli di tutte l'altre, così per l'Università degli studi, che v'introdusse, come per li Tribunali della Gran Corte e della Zecca, chiamato poi della Camera Summaria; e che non prima de' tempi di Carlo I di Angiò fosse sede regia, ove si riportavano tutti gli affari del Regno, e che finalmente la resero capo e metropoli di tutte le altre, come si vedrà chiaro nel corso di quest'Istoria. Ne' tempi di quest'ultimi Re normanni, non vi era in queste nostre province città, che potesse dirsi capo sopra tutte l'altre. Ciascuna provincia teneva i suoi Giustizieri, Camerari ed altri particolari Ufficiali, nè l'una s'impacciava degli affari dell'altra. Nè in questi tempi il numero delle medesime era moltiplicato in dodici, come fu fatto da poi (se debbiamo prestar fede al Surgente)[54] nei tempi di Federico; ma le nostre regioni erano divise secondo i Giustizieri, che si mandavano a reggerle, onde presero il nome di Giustizierati e poi di province, governandosi da' Presidi, come s'intenderà meglio ne' libri che seguiranno di questa Istoria.

FINE DEL LIBRO DUODECIMO

      LIBRO DECIMOTERZO

      La morte di Guglielmo I, e l'innalzamento al Trono di Guglielmo II suo figliuolo fece mutar tantosto in tranquillità lo stato delle cose del Regno; poichè l'avvenenza del fanciullo e la sua benignità trasse di modo a se l'amore e la benevolenza di tutti, che ancor quelli, ch'erano stati acerbi nemici del padre, fecero proponimento di essergli fedelissimi, dicendo bastare con la morte del vecchio Re essersi tolto di mezzo l'autor di tutti i mali, nè doversi all'innocente fanciullo imputar la colpa della tirannia del padre. Intanto la Reina Margherita sua madre, fatti convocar tutti i Prelati e Baroni del Regno, lo fece solennemente coronare nel Duomo di Palermo da Romoaldo Arcivescovo di Salerno: alla qual celebrità, oltre i Prelati ed i Baroni, fuvvi innumerabil concorso del Popolo della città, che accompagnollo, finita l'incoronazione, insino al palagio reale con molti segni d'amore e d'allegrezza. E la Reina, la quale per la tenera età del figliuolo, che appena dodici anni compiva e non era atto a governare il Regno, avea di quello presa la cura, volendo, come saggia, accrescere l'amor dei Popoli verso di lui, fece porre in libertà tutti i prigioni, e rivocò dal bando quelli, che v'erano stati mandati dal Re Guglielmo, richiamando Tancredi Conte di Lecce, e togliendo parimente via molte gravezze imposte da lui, scrisse a tutti i Maestri Camerarj della Puglia e Terra di Lavoro, che per l'avvenire non esigessero più quell'insopportabile peso, chiamato redemptionis, che avea ridotte all'ultima disperazione quelle province[55]. Restituì i Baronaggi a cui erano stati tolti, e ne concedè molti altri di nuovo a diverse persone, donando ancora con larga mano molti beni a varie Chiese.

      Ma l'aver ella voluto, contro quel che suo marito avea disposto nel suo testamento, innalzar soverchio Gaito Pietro, e farlo superiore nel Governo a Matteo Notajo, ed all'Eletto di Siracusa, dandogli tutto il Governo nelle mani, cagionò nuovi disturbi nel palazzo reale; poichè gli altri Cortigiani invidiosi della sua grandezza, presa baldanza dalla fanciullezza del Re, e poco stimando il non fermo imperio della donna, cominciarono di nuovo a porre in rivoltura la Casa del Re, consigliere della quale fu Gentile Vescovo d'Agrigento, il quale, resosi carissimo all'arcivescovo di Reggio, cominciò a tender insidie all'Eletto di Siracusa, ed a corrompere insieme Matteo Notajo; e portarono la cosa in tale sconvolgimento, che obbligarono СКАЧАТЬ



<p>53</p>

. Bardi tom. 3. Cron. fol. 333.

<p>54</p>

. Surg. Neap. Illustr. cap. 24 n. 2.

<p>55</p>

. Ug. Falcan.