Il trono dei draghi. Морган Райс
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Читать онлайн книгу Il trono dei draghi - Морган Райс страница 3

СКАЧАТЬ Nessuno irruppe nella stanza però, nessuno gridò né lanciò un allarme.

      Lenore guardò giù verso terra. C’erano il tetto basso del piano sottostante e, oltre esso, il campo aperto al di là della locanda, con un cortile che conduceva alle stalle. C’erano dei cadaveri distesi lì adesso, trascinati a formare un mucchio come fossero meri rifiuti, qualcosa che non aveva alcuna importanza per il Taciturno che aveva commesso l’omicidio. Lenore poteva adesso vedere parte del gruppo di aguzzini non più vestiti da contadini, ma con pelli scure e un’armatura dalle lamine smussate che li faceva apparire pronti a combattere contro un valoroso esercito nemico.

      Uno, una donna, era in piedi davanti a quattro domestiche di Lenore; ne indicò due e ordinò loro di correre. Erano troppo lontane perché riuscisse a riconoscerle. Poi, la donna alzò una piccola balestra che non superava la sua mano in grandezza.

      “No,” sussurrò inorridita Lenore fra sé e sé quando scagliò il primo dardo. Colpì la prima domestica a metà schiena, facendola cadere e rotolare nel fango. Si alzò strillando, guardando indietro verso quella donna che l’aveva colpita…

      Quello non significava altro che la seconda freccia l’avrebbe colta in pieno petto.

      Anche Lenore voleva gridare, mentre il cuore le si spezzava alla vista di una ragazza innocente, che aveva reputato quasi un’amica, che veniva massacrata senza alcun motivo. Non lo fece però, perché altrimenti sarebbe finita; non ci sarebbe stata nessuna via d’uscita. Si concentrò dunque su quella che stava ancora correndo, consapevole che almeno una delle due sarebbe stata libera.

      Lenore aspettò, finché non vide che i Taciturni si stavano dirigendo tutti in direzioni diverse, più attenti al prepararsi per partire che a lei. Quando arrivò il momento giusto, si fece coraggio e uscì dalla finestra. Si accucciò sul tetto della sezione sporgente del piano inferiore, sperando contro ogni speranza che avrebbe retto il suo peso.

      Accovacciata, si mosse verso il bordo del tetto, per controllare che non vi fosse nessuno sotto, e fece un respiro profondo quando realizzò quanto era alto. Poteva farcela; doveva farcela. Dondolò attaccata al bordo del tetto, restando appesa con le mani per un momento; poi fece un respiro profondo e si lanciò.

      Colpì forte il terreno e rilasciò il respiro che aveva trattenuto con un sibilo; fu positivo però, perché le impedì di gridare abbastanza forte da essere sentita. Rotolò sulle ginocchia, in attesa che la testa le smettesse di girare, e si costrinse ad alzarsi di nuovo in piedi. Ci riuscì e si avviò verso la zona d’ombra dell’edificio attiguo.

      Non tentò di raggiungere le stalle questa volta: erano contornate da troppi Taciturni e non aveva alcuna speranza di sottrarre loro un cavallo senza essere scoperta. Al contrario, sapeva che la scelta migliore era allontanarsi dalla locanda a piedi, nascondendosi fra alberi e cespugli sul ciglio della strada e sperando che uno dei suoi fratelli arrivasse con la schiera d’uomini che avrebbero dovuto proteggerla sin dall’inizio…

      Perché non l’avevano raggiunta? Perché non erano stati lì, pronti a salvarla? Vars aveva ricevuto il compito di proteggerla, mentre Rodry le aveva promesso che le avrebbe fatto da guardia per un pezzo di strada durante il raccolto nuziale; eppure nessuno dei due c’era stato quando aveva avuto bisogno di loro. Adesso era sola e avrebbe dovuto filarsela dal villaggio, sperando con tutta se stessa che sarebbe riuscita a passare inosservata.

      Camminò e ce l’aveva quasi fatta; non era lontana adesso. Qualche altra decina di passi e sarebbe stata fuori dal villaggio. Una volta raggiunto il campo aperto al di là, di sicuro neanche i Taciturni avrebbero potuto trovarla.

      Quel pensiero bastò a spronarla a procedere. Lenore strisciava dall’ombra di un edificio a quella del successivo. C’era quasi, era quasi fatta.

      Un appezzamento di campo aperto giaceva davanti a lei e gelò quando ne raggiunse il confine, fermandosi per guardare a destra e a sinistra. Non vedeva nessuno, ma era consapevole di quanta poca importanza avesse la vista con persone di quel genere. Tuttavia, se fosse rimasta lì e non avesse fatto niente…

      Corse più veloce che poteva, ignorando quanto le doleva il corpo a ogni passo e sfrecciando verso la salvezza oltre al campo aperto. Dietro di sé, udì un grido dalla locanda e capì che Eoris e Syrelle erano entrati nella stanza dove l’avevano lasciata e avevano scoperto che non c’era più. Il pensiero di loro che la inseguivano bastò a farla muovere più in fretta, precipitandosi verso la vegetazione accanto alla strada, verso un nascondiglio, verso la salvezza.

      “Laggiù!” gridò una voce, e capì che l’avevano individuata. Continuò a correre, non sapendo cos’altro fare, con la sola consapevolezza che se si fosse fermata, sarebbe ricaduta nelle loro grinfie.

      Non riusciva a procedere più veloce, ma almeno adesso era fra gli alberi e i cespugli che costeggiavano la strada; aveva il respiro affannato mentre si muoveva, spostandosi a destra e a sinistra nel tentativo di confondere i suoi inseguitori.

      Udì dei passi alle sue spalle e schivò un albero, senza osare guardarsi indietro. Un altro arbusto giaceva davanti a lei e sapeva che, se solo fosse riuscita a eluderlo, avrebbe trovato una vegetazione più fitta oltre a esso. Poteva seminarli da lì in poi forse, ma prima doveva scegliere. Destra o sinistra… destra o sinistra…

      Scelse la sinistra e comprese subito di aver sbagliato, poiché venne afferrata da un paio di mani forti, che la sbatterono a terra di peso, pressandola con forza e togliendole il respiro. Provò a dimenarsi, ma ormai sapeva di poter fare davvero poco. Quelle mani piegarono le sue davanti a lei, legandole sul posto per poi tirarla su.

      Era davanti a Ethir, l’uomo che l’aveva sorpresa nelle stalle; il primo che aveva… La sollevò senza sforzo, mettendola di nuovo in piedi.

      “Ti pentirai amaramente di essere fuggita, Principessa,” disse con quella sua voce pacata. “Ci assicureremo che te ne pentirai.”

      “Vi prego,” lo implorò Lenore, ma non fece alcuna differenza. Ethir la trascinò verso i cavalli, il viaggio a sud e ogni momento d’orrore che la attendevano al di là dei ponti che conducevano fuori dal regno.

      CAPITOLO SECONDO

      Re Godwin III del Regno del Nord sedeva sul suo trono davanti a un mare di cortigiani e si sforzava di mantenere la calma. Dopo tutto ciò che era successo, dopo che sua figlia Nerra era stata costretta ad andarsene, odiava restare lì seduto, a fingere che andasse tutto bene. Desiderava alzarsi dal suo trono e andare a cercarla, ma sapeva di non poterlo fare.

      Al contrario, doveva rimanere lì a intrattenere la corte, costretto in quella grande sala che portava ancora i resti del banchetto precedente, non del tutto eliminati. La sala era ampia e costruita in pietra, con striscioni alla parete ritraenti i ponti che segnavano il Nord. Erano stati disposti dei grandi tappeti quadrati, ciascuno riservato a un diverso rango della nobiltà o a una particolare famiglia nobile.

      Lui doveva stare lì, in piedi davanti a quella platea, e doveva farlo da solo, perché Aethe non si sarebbe messa di fronte ai cortigiani che avevano preteso l’esilio di Nerra. In quel momento, Godwin avrebbe preferito essere in pressoché qualsiasi altro posto del mondo: il regno di Ravin, il terzo continente di Sarras, ovunque.

      Come poteva fingere che andasse tutto bene quando Nerra era stata esiliata e la sua figlia minore, Erin, pareva essere scappata per diventare un cavaliere? Godwin sapeva di avere un aspetto arruffato, la sua barba ingrigita non era curata in modo impeccabile, la sua veste da Re era macchiata; tutto perché da giorni riusciva a stento a chiudere occhio. Poteva vedere il Duca Viris e la sua combriccola scansionarlo con un divertimento evidente. Se il figlio di quell’uomo non fosse stato il promesso sposo di sua figlia…

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