L'Ombra Del Campanile. Stefano Vignaroli
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Название: L'Ombra Del Campanile

Автор: Stefano Vignaroli

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Историческая литература

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isbn: 9788873044765

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СКАЧАТЬ Il suo cavallo, colpito in pieno petto, rovinò senza vita sopra di lui. Cercò, senza riuscirci, di sgusciare via dalla massa del pesante animale, ma le forze lo stavano abbandonando. Guglielmo, accortosi del figlio atterrato, si girò verso di lui, distraendosi dalla tenzone e girando le spalle al nemico per andarlo a soccorrere. Vide le palpebre di Andrea abbassarsi, lo chiamò, ma non ebbe risposta. Capì che il suo cadetto stava ormai perdendo i sensi, forse stava per morire. Proprio in quel momento una lunga lama lo trapassò, penetrando da dietro la schiena, facendosi strada tra le costole, squarciando il cuore e fuoriuscendo dal petto, accompagnata da un potente fiotto di sangue. Guglielmo sbarrò gli occhi che, nel momento del trapasso, stavano ancora fissando il prode figliolo agonizzante.

      Avuto facilmente ragione di quel piccolo manipolo di uomini, spagnoli e guasconi dilagarono per le strade della città. Alcuni risalirono Via delle Botteghe fino alla Porta della Rocca, sorprendendo i militi a guardia, uccidendoli e aprendo la porta. Altri scesero verso valle per aprire Porta Valle e Porta Cicerchia e favorire così l’ingresso in città dell’esercito anconetano, che da giorni non aspettava altro che quel momento. Seppur colti di sorpresa, gli abitanti cercarono di organizzare una difesa nell’interno del centro abitato, spronati da alcuni nobili, in particolare da Fiorano Santoni, che radunò subito uno squadrone di genti che, incatenate le strade come predisposto dal Capitano del Popolo, s’approntò a combattere il nemico tra le vie, i vicoli e le piazze. Ma quest’ultimo, forte dell’apporto degli anconetani, era troppo numeroso e gli Jesini, avviliti dalle grida e dal pianto delle donne e dei fanciulli, abbandonarono la difesa.

      Soprattutto i mercenari al soldo di Francesco Maria Della Rovere erano assetati di razzia e gli abitanti, considerando che non avevano potuto salvare la patria, cercarono almeno di mettere in salvo i loro beni, ma anche in questo non ebbero successo: i gentiluomini ricchi vennero fatti prigionieri e le loro donne, che avevano cercato scampo, con i gioielli, nelle chiese, si videro raggiunte dagli spagnoli anche all’interno dei luoghi sacri, dove essi non disdegnarono di spogliarle di quanto di prezioso avevano addosso e di stuprarle. A un certo punto, una donna, tale Eleonora Carotti, dal portamento altero e maschio, riuscì a sferrare uno schiaffo a un guascone che le stava ponendo le mani nel seno per toglierle i gioielli che vi aveva nascosto e al contempo approfittare per palpeggiarla.

      Si ritrovò tra lui e un altro gruppo di soldati spagnoli. Se il guascone schiaffeggiato era rimasto di stucco, senza reagire, gli altri non si erano persi certo d’animo, avevano atterrato la donzella, l’avevano spogliata dei suoi abiti e, assicuratisi che era una donna a tutti gli effetti, l’avevano violentata uno dopo l’altro, tenendole un coltello piantato alla gola. L’ultimo soldato, raggiunto il suo malsano piacere, affondò il coltello, sgozzandola senza pietà.

      Il saccheggio di Jesi durò otto giorni, molti palazzi furono incendiati, alcuni con gli abitanti all’interno, legati perché bruciassero vivi dentro la loro abitazione, colpevoli del fatto che i saccheggiatori non avevano trovato abbastanza denaro o preziosi da portare via. Non ci fu alcun rispetto neppure per le cose sacre, né per i religiosi, e molti sacerdoti vennero torturati e martoriati, affinché confessassero in quali luoghi segreti avevano nascosto gli ornamenti delle chiese. Il saccheggio si estese a tutto il contado e nessun luogo, di città e campagna, venne risparmiato.

      Palazzo Baldeschi, che era rimasto sbarrato per tutto il tempo, l’ottavo giorno aprì le porte al Granduca Francesco Maria della Rovere e al Duca Berengario di Montacuto, che venivano accolti a colloquio dal Cardinale. Quest’ultimo si era infatti arrogato il diritto di trattare la resa con gli avversari, non essendo più presente in città autorità civile o ecclesiale più alta in grado di lui.

      Dopo che i servi ebbero offerto vino di visciola e dolcetti a base di uva sultanina, a un cenno del Cardinale, si ritirarono chiudendo i tre uomini da soli nello studio.

      «Avete superato ogni limite. Gli accordi erano che non avreste trovato ostacoli e avreste dovuto uccidere il Franciolini e il figlio, impadronendovi della città. Una facile conquista, invece per giorni e giorni avete seminato terrore, distruzione e morte», tuonò il Cardinale rivolto ai due Duchi.

      «Nessun esercito che si rispetti, soprattutto se costituito da mercenari, rinuncia al bottino di guerra», replicò pacatamente il Della Rovere, concentrando il suo sguardo sull’unghia del dito mignolo della mano destra, forse rammaricandosi del fatto che durante i combattimenti questa si era spezzata. «Noi abbiamo mantenuto la parola data. Ora Voi mantenete la vostra, e ci ritireremo in buon ordine, lasciandovi Signore indiscusso di questa città.»

      «E sia!», continuò il Baldeschi, ingoiando il rospo, e comunque soddisfatto in cuor suo di come era andata l’operazione. Se parecchi concittadini ci avevano lasciato la vita, peggio per loro, non era poi un grosso problema. «Come promesso, intercederò presso il Santo Padre affinché a Voi, Granduca Della Rovere, vengano restituite terre e titolo. Potrete ritirarvi a Urbino ed essere rispettato per sempre dai vostri sudditi. Per quanto riguarda Ancona, caro Duca, entro un mese farò versare nelle casse della vostra città diecimila fiorini d’oro, che serviranno ad ampliare e fortificare il porto, ma dovrà essere garantito lo scalo commerciale ai mercanti della città di Jesi. E ora, ritirate i vostri eserciti.»

      Francesco Maria Della Rovere diede finalmente l’ordine alle sue truppe di abbandonare la città. Gli invasori se ne andarono con una carovana di ben mille bestie cariche di ogni ben di Dio, oltre che di un largo bottino di denari, preziosi e pezzi d’artiglieria. Dal canto suo, il Montacuto, non fidandosi appieno della parola del Cardinale, ritirò il grosso dell’esercito, ma lasciò una guarnigione a Jesi, che se ne sarebbe andata solo dopo che la città sconfitta avesse versato quanto pattuito.

      In quei giorni, Artemio Baldeschi era stato troppo concentrato sul corso degli eventi, per badare a quanto stessero facendo sua sorella e sua nipote, e non si era neanche accorto che la ragazza, da quel famoso giovedì sera, era scomparsa. Dell’assenza si erano ben rese conto le due serve, la bionda e la mora, Mira e Pinuccia, che aspettavano la sicura sfuriata del Cardinale nel momento in cui l’avesse alla fine notata. Le due ancelle sapevano bene che, da quella sera, Lucia era rinchiusa nella dimora dei Franciolini, intenta a curare Andrea, ferito gravemente nello scontro con il nemico, e sapevano bene che se lo zio della ragazza lo fosse venuto a sapere si sarebbe infuriato ancor di più.

      La sera della festa, Lucia, finitasi di vestire, era uscita sul balcone del palazzo che si affacciava sulla piazza sottostante e che dominava la stessa, per osservare il corteo del nobile Franciolini che arrivava sul lato opposto, da Via delle Botteghe. Era l’imbrunire e sembrava che tutto andasse bene, che tutto fosse tranquillo, e la brutta sensazione che aveva provato poco prima era già svanita. Ma all’improvviso, da Via del Fortino, erano cominciati a sbucare uomini armati, via via sempre più numerosi, che avevano ingaggiato subito battaglia con gli uomini del corteo al seguito del Capitano del Popolo. Aveva visto il suo amato Andrea colpito dalle frecce, e aveva visto Guglielmo colpito a morte alle spalle. Quel vigliacco con un’enorme spada aveva approfittato di un suo momento di distrazione, per aver visto il figlio ferito, per colpirlo da dietro. Lucia non poteva assistere impotente a quell’orrore, doveva correre in aiuto di Andrea, che oltre le frecce, era oppresso dal peso del suo cavallo che gli era rovinato addosso, forse senza vita. Si precipitò giù per le scale e guadagnò l’androne; stava per aprire il portone d’ingresso quando si rese conto che i combattimenti ormai imperversavano in tutta la piazza e che non era il caso di uscire da lì. Entrò nelle stalle e individuò la porticina laterale di servizio, quella utilizzata dagli stallieri, che dava sul vicolo. La porta di legno era sprangata con un catenaccio dall’interno, le fu facile aprirla e ritrovarsi in una viuzza buia e puzzolente, a pochi metri di distanza dall’antica cisterna romana. Pochi passi e sarebbe stata in Piazza, dal lato della chiesa di San Floriano. Per non farsi notare dalla ressa di combattenti, e attraversare la piazza indenne, doveva utilizzare uno stratagemma. Giusto qualche giorno prima, la nonna le aveva insegnato una specie di incantesimo di invisibilità. Non che questo la rendesse proprio invisibile СКАЧАТЬ