L'Ombra Del Campanile. Stefano Vignaroli
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Название: L'Ombra Del Campanile

Автор: Stefano Vignaroli

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Историческая литература

Серия:

isbn: 9788873044765

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СКАЧАТЬ recitò la formula e iniziò ad attraversare la piazza, tenendosi sempre rasente ai muri, prima del convento, poi della chiesa di San Floriano, poi di quelli di un palazzo di recente costruzione, poi di Palazzo Ghislieri, giungendo all’angolo dove sia Via del Fortino che Via delle Botteghe sbucavano nella piazza. Se fosse giunta fin lì grazie all’incantesimo di invisibilità o perché nessuno si era curato di lei in quanto indaffarato nella battaglia, non le era dato saperlo. Fatto sta che era giunta accanto al suo amore agonizzante. Ben quattro frecce l’avevano colpito, due alla gamba destra, una alla spalla sinistra, l’ultima trapassava da parte a parte il braccio destro all’altezza del muscolo bicipite. Aveva perso parecchio sangue, ed era in stato di semi-incoscienza, la gamba sinistra schiacciata contro il selciato dal peso del tronco del cavallo. Lucia si concentrò sulla bestia morta, ordinando con la mente la sua parziale levitazione. Il cambiamento di posizione dell’animale fu quasi impercettibile, ma bastò a far sì che, iniziando a tirare Andrea afferrandolo sotto le ascelle, la ragazza riuscisse a liberarlo da quell’infelice posizione. Gli occhi del giovane, come per incanto, ripresero luce, fissando quelli della ragazza per un attimo che lei ritenne sublime, poi si ribaltarono all’indietro, mentre Andrea perdeva del tutto conoscenza. Lucia non disperò, appoggiò due dita sulla doccia giugulare del suo amato e poté avvertire una sia pur fievole pulsazione.

      Non tutto è perduto, pensò. Ancora la vita non lo ha abbandonato! Ma devo agire in fretta se voglio portarlo in salvo.

      Confidando nei suoi poteri, ma anche e soprattutto nella forza della disperazione e nel profondo amore che già per la seconda volta le avevano ispirato gli occhi di lui, caricò il suo corpo inerte sulle sue spalle, rendendosi conto che non stava neanche facendo uno sforzo sovrumano. Estese l’incantesimo di invisibilità al suo giovane amore e si diresse giù per la Costa dei Longobardi, per raggiungere Palazzo Franciolini. Nessuno degli uomini che stavano combattendo per strada li degnò di uno sguardo, continuando a incrociare le armi e battersi come se Lucia, con il suo pesante fardello, neanche esistesse. Quando fu dinanzi al portone della dimora di Andrea, adagiò in terra il suo corpo esanime e si soffermò ancora una volta su quella piastrella decorata che tanto l’aveva incuriosita, quella rappresentante un pentacolo a sette punte. Ma non era il momento di lasciarsi prendere dalle distrazioni. Afferrò il batacchio attaccato al portone e iniziò a bussare con quanta forza ancora aveva. Uno dei servi di casa Franciolini, un moro muscoloso con un turbante in testa, che il Capitano del Popolo aveva acquistato come schiavo in un suo viaggio a Barcellona, aprì il portone giusto di uno spiraglio, per assicurarsi che non fossero i nemici a bussare alla porta. Quando si rese conto della situazione, in un batter d’occhio, fece entrare la ragazza e trascinò dentro il giovane padrone.

      «Per Allah e per Maometto, sia benedetto il loro nome, possa essere io perdonato per averli nominati. Che ne è del Capitano?»

      «Il Capitano è morto e se, anziché perder tempo a invocare le tue divinità, non farai quello che ti dico, la stessa fine sarà riservata anche al tuo giovane padrone!»

      «Non sembra che ci sia molto da fare per lui. Fra qualche istante la sua anima lo lascerà per ricongiungersi a quella dei suoi avi, e di suo padre, che Allah lo abbia in gloria.»

      «Non era musulmano, quindi Allah non lo avrà in gloria. Possiamo fare ancora qualcosa per lui. Portalo in camera e adagialo sul suo letto, poi segui le mie istruzioni e lasciaci soli.»

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      CAPITOLO 3

      

      

      Alì fece esattamente ciò che Lucia gli aveva ordinato. Nella dispensa aveva trovato tutte le erbe che occorrevano alla ragazza, compresa la corteccia di salice, di cui non aveva ben chiara la funzione. In cucina non si sarebbe mai utilizzata, eppure i suoi padroni ne tenevano una buona scorta in vasetti sigillati con cura. Solo allora, il servitore moro si era accorto che la dispensa era più un’erboristeria che non un deposito di cose mangerecce. C’erano anche quelle, sì, ma molte delle erbe contenute nei vasetti sapeva bene fossero utilizzate da ebrei e fattucchiere a scopi contrari agli insegnamenti sia della sua religione, che di quella cattolica. In fin dei conti, il Dio cristiano e quello musulmano si assomigliavano molto e, se un uomo era destinato a morire, il proprio Dio lo avrebbe preso comunque in gloria e sarebbe stato felice accanto a lui. Non si poteva pretendere di salvare la vita a chi era già destinato a raggiungere il proprio Padre Onnipotente nel regno dei cieli. Questo pensava Alì, mentre attraversava la Piazza del Palio e risaliva a grandi falcate la Costa dei Pastori, guardandosi bene di non imbattersi nei tafferugli che si erano estesi fin lì. Si fermò davanti al portone indicatogli, quello sulla cui testata era riportata la scritta “Hic est Gallus Chirurgus”.

      Un altro stregone!, rimuginò Alì tra sé e sé. Si fa chiamare chirurgo, ma so bene che è il fratello di Lodomilla Ruggieri, la strega arsa viva in Piazza della Morte qualche anno fa. Se non presto attenzione e non cerco di allontanarmi da questa gente, finirò anch’io i miei giorni su una catasta ardente. E anche i miei padroni ci sono dentro fino al collo, lo capisco solo ora che razza di eretici ho servito per anni!

      Poi realizzò nella sua mente che, appartenendo a un’altra religione, l’Inquisizione non avrebbe potuto processarlo, e si decise a bussare. Un uomo alto, robusto, dai possenti bicipiti, i capelli lunghi raccolti dietro la nuca in una coda e la barba non rasata da qualche giorno, lo squadrò da cima a piedi. Anche Alì era robusto: al suo paese di origine, nell’alta valle del Nilo, era un campione di lotta libera, non c’era nessuno che riuscisse a batterlo, e l’uomo che aveva di fronte non era armato, per cui affrontò il suo sguardo e gli disse ciò che aveva da riferirgli.

      «Capisco, prendo i miei attrezzi e ti seguo. Aspettami qui, Palazzo Franciolini è a poca distanza, ma preferisco fare il tragitto in tua compagnia. In due potremmo affrontare meglio eventuali facinorosi.»

      Gallo sparì per pochi istanti all’interno della sua dimora e riapparve con una pesante borsa in pelle di vitello, che conteneva gli attrezzi del mestiere e che, a giudicare dall’aspetto, dovevano essere ben pesanti. Attraversarono la piazza passando accanto a gente che combatteva aspramente. Il chirurgo riconobbe un suo amico in uno jesino che veniva abbattuto a colpi di spada e fece per precipitarsi a soccorrerlo. Ma Alì fu lesto a tirarlo per un braccio e farlo desistere dall’intento. Non era proprio il caso di farsi notare e impegnarsi in una battaglia che aveva preso ormai una brutta piega per gli abitanti della città. Era più urgente soccorrere il suo giovane padrone. Alì e Gallo si infilarono nel portone di Palazzo Franciolini, che il moro provvide a sprangare dall’interno. Non avrebbe voluto più mettere il naso fuori da lì neanche per tutto l’oro del mondo, finché i combattimenti non si fossero placati, non sapendo che di lì a poco gli sarebbe stata imposta un’uscita per una commissione ancor più pericolosa di quella appena portata a termine.

      Alì osservò Gallo estrarre con delicatezza tre frecce dal corpo di Andrea, mentre Lucia, al suo fianco, era pronta a tamponare il sangue che fuoriusciva non appena l’arma acuminata veniva estratta, utilizzando panni freschi di bucato e applicando l’impiastro a base di erbe che essa stessa aveva preparato in cucina. L’ultima freccia, quella che attraversava il braccio del giovane da parte a parte non voleva saperne di uscire, per quanto Gallo tirasse con decisione.

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