Название: L'Ombra Del Campanile
Автор: Stefano Vignaroli
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Жанр: Историческая литература
isbn: 9788873044765
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«Se è uno stregone anche lui, perché combatte i suoi simili?», aveva chiesto un giorno Lucia alla nonna.
«Perché è dalla loro sconfitta che lui riesce ad aumentare i suoi poteri. Non girargli mai le spalle, non ti fidare mai di lui, se scoprisse che sei una creatura dai poteri forti, anche se sei sua nipote non esiterebbe a condannarti al rogo, e guardarti bruciare, mentre anche i tuoi poteri si trasferiscono a lui. Quando sei in sua presenza, non pensare, lui legge i tuoi pensieri, anche i più nascosti, e in più impedisce a te di leggere i suoi.»
Ed era vero! In quel momento Lucia stava sperimentando che non riusciva in alcun modo a penetrare nella sua mente, era come se non avesse pensieri, eppure ne doveva avere.
«Dovrei sapere se mi piace, conoscerlo e capire se posso innamorarmi di lui.»
«Innamorarsi, che parolona! Nelle famiglie nobili come la nostra ci si sposa in base a un contratto. La famiglia trova un buon partito per la ragazza e lei onorerà il marito che le è stato scelto. Ma voglio venirti incontro. Io e il Capitano del Popolo, Guglielmo dei Franciolini, organizzeremo una festa in cui avrete modo di conoscervi, tu e Andrea. E ora vai, ti farò sapere quando si terrà la festa.»
Senza ribattere, Lucia si era già alzata dalla sedia e stava per congedarsi, quando il Cardinale le rivolse ancora la parola.
«Ah, dimenticavo», disse, quasi fosse una cosa a cui non dava affatto importanza. «Mi hanno riferito che qualche giorno fa hai soccorso una tua compagna alla quale si erano incendiati gli abiti. Brava, noi Baldeschi dobbiamo distinguerci in questa città e far vedere che aiutiamo gli altri in ogni circostanza.»
In quel momento Lucia ebbe la percezione della mente dello zio che stava perlustrando gli angoli più remoti del suo cervello. Non riusciva ancora a imporsi di non pensare, ma cercò di ricordare la scena nel suo pensiero in maniera diversa da come era accaduta nella realtà. Ecco, Elisabetta si era avvicinata al falò che il Mastro tintore aveva acceso davanti alla sua bottega all’inizio della discesa del Fortino, per mettere a bollire il pentolone dell’acqua in cui avrebbe immerso i tessuti da tingere con i suoi colori sgargianti. Un lembo del saio della ragazzina era stato lambito dalle fiamme, che erano salite in un lampo ed erano giunte a bruciarle i capelli. Per fortuna, all’improvviso si era messo a piovere e Lucia, che passava di lì per caso aveva osservato la sua pelle arrossata e aveva tirato fuori dalla bisaccia un vasetto di unguento a base di Aloe e semi di lino, un rimedio naturale per le scottature che preparava la nonna.
«Brava, sono fiero di te!», ripeté il Cardinale.
Lucia uscì dalla stanza, sperando in cuor suo di aver buggerato lo zio, anche se non poteva esserne sicura.
Se sa davvero che sono una strega e ho poteri che lui potrebbe invidiarmi, che cosa farà? Mi terrà sotto controllo finché non sarà sicuro delle mie capacità per poi sbattermi senza pietà su un rogo e guardarmi morire tra le fiamme? Ma allora perché propormi un marito? Mah, forse questo è un gioco politico. Far sposare sua nipote con il figlio del Capitano del Popolo aumenterà ancora di più il suo potere temporale su questa città, in cui ancora troppi abitanti si proclamano ghibellini. Non mi stupirei che lo zio voglia accentrare su di sé sia il potere religioso che quello politico. Stai in guardia, Lucia, e non ti far abbindolare né dallo zio, né da questo giovane Andrea.
Avrebbe voluto saperne di più sul conto di Andrea, ancor prima di conoscerlo alla festa ufficiale. Chissà quando avrebbe avuto luogo questo evento? Se lo zio si era esposto, c’era da stare sicuri che non avrebbe tardato tanto a organizzarlo.
Immersa nei suoi pensieri, attraversò il lungo corridoio che la riportava verso l’ala del palazzo in cui abitava. In fondo al corridoio scese la scalinata, ritrovandosi a piano terra, nell’androne in corrispondenza del portone di ingresso. Avrebbe dovuto risalire la scala di fronte a lei per raggiungere i suoi appartamenti. Alla sua destra, attraverso una porta di legno, si poteva accedere alle stalle. Morocco, il suo stallone preferito, percepì la sua presenza e nitrì per salutare la ragazza, che fu tentata di spingere la porta quel tanto che bastava per infilarsi dentro e andare a elargire una carezza al nero destriero. Ma la sua attenzione fu attratta da un’altra porticina in legno, che conduceva ai sotterranei del palazzo. Di solito quella porta era sprangata, ma quel giorno era stranamente socchiusa. La nonna l’aveva avvertita più di una volta di non avventurarsi nei sotterranei. Laggiù era un labirinto, in cui era facile perdersi, rappresentato dalle strade e dalle stanze delle antiche costruzioni dell’epoca romana. Infatti tutti gli edifici più recenti poggiavano le loro fondamenta sulle antiche costruzioni romane. La curiosità di Lucia era troppo forte. Pensava che se quegli anfratti, quelli che ora erano cunicoli, gallerie e cantine, fossero stati un tempo abitati, gli spiriti degli antichi abitanti avrebbero potuto parlare con lei, raccontarle delle storie, confidarle le loro paure e i loro sentimenti. In fin dei conti il Palazzo Baldeschi sorgeva proprio in corrispondenza di quella che al tempo dei romani era l’acropoli, il foro, il centro commerciale e politico della città. Lì c’erano i templi, lì c’erano le Terme, poco più in là, dove adesso sorgeva il nuovissimo Palazzo del Governo, c’era un enorme anfiteatro; più vicino, in prossimità delle mura occidentali della città, la grande cisterna per l’approvvigionamento idrico.
Là sotto sarà buio pesto, pensò Lucia. Avrò bisogno di una fonte di luce.
Entrò nella stalla e fece due moine a Morocco, che reclamò la carota che la ragazza era solita portargli in dono. Lucia la tirò fuori dalle tasche e l’animale fu lesto a prelevarla con le labbra dalle sue mani. Carezzò il cavallo sul dorso del naso, cercando con lo sguardo una lanterna. La vide, la sganciò dal chiodo a cui era attaccata, controllò che fosse carica di olio, poi concentrò il suo sguardo sullo stoppino, che nel giro di pochi istanti prese fuoco. Regolò la fiamma al minimo, uscì dalla stalla e si avventurò giù per le sconnesse scale che si dirigevano verso le viscere della terra. Anche se la Terra era uno degli elementi su cui aveva il controllo, in quel momento ne aveva un po’ timore. Sembrava quasi che quella scala non dovesse finire mai, tanto era lunga. Ma forse era solo l’impressione di Lucia. Finalmente abbandonò con il piede l’ultimo gradino.
L’umidità era forte lì sotto, alla ragazza si stava ghiacciando il sudore addosso, e il fiato le si condensava in piccole nuvolette di vapore. Alzò la fiamma della lanterna. C’erano diversi corridoi, delimitati da antichi muri di pietre e rozzi mattoni. Uno, lunghissimo, si perdeva nel buio avanti a sé. La nonna le aveva detto che c’era un lungo passaggio che poteva essere utilizzato durante gli assedi, per oltrepassare le linee nemiche e procurare provviste per il popolo assediato e armi per i difensori della città. Tale passaggio fuoriusciva addirittura presso la residenza di campagna della famiglia Baldeschi, all’inizio della strada per Monsano, un centro situato a qualche lega di distanza da Jesi, e da sempre storico alleato della nostra città. Alla sua destra, un cunicolo sarebbe di certo arrivato in breve ai sotterranei della cattedrale, forse addirittura alla cripta che accoglieva le reliquie del Santo Settimio. Il cunicolo alla sua sinistra l’avrebbe potuta condurre alla base della chiesa di San Floriano, СКАЧАТЬ