Il tesoro della montagna azzurra. Emilio Salgari
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Название: Il tesoro della montagna azzurra

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ John, facendosi a sua volta avanti. – Poiché voi non potete darci da mangiare, lasciate che ci procuriamo noi dei viveri come possiamo.

      – Anche tu, John, vorresti diventare un antropofago?

      – Siamo nel paese dei cannibali, capitano! – gridò Emanuel.

      – Decidetevi, comandante, – disse Hermos. – Siamo impazienti di decidere.

      – Con una estrazione a sorte?

      – Si potrebbe farne anche a meno, – rispose il pilota, con un cinico sorriso. – Prenderemo intanto uno di quelli che sono stati la causa di questo disastro. Senza la loro presenza a bordo dell’Andalusia, noi non ci troveremmo in queste condizioni. Comincino essi a fornirci i mezzi necessari per vivere. Se le loro carni non basteranno, verrà la nostra volta e non ci lamenteremo.

      – Mi spiegherai meglio queste oscure parole, – disse il capitano alzando minacciosamente la destra.

      – Badate, capitano, che qui noi siamo tutti d’accordo, – rispose il pilota facendo un passo indietro e cacciando una mano dentro la larga fascia di lana rossa che gli cingeva i fianchi e che probabilmente nascondeva il coltello.

      – Spiegati meglio, miserabile! – tuonò don Josè.

      – Si diceva dunque che qui ci sono delle persone che non hanno mai fatto parte dell’equipaggio dell’Andalusia e che per avidità d’oro ci hanno condotti alla rovina.

      Don Pedro e Mina che stavano dietro il capitano, avevano mandato un grido d’angoscia; poi il primo si era scagliato verso il miserabile, chiedendogli:

      – Sono io, dunque, che tu vorresti immolare alla tua fame, è vero?

      – No, l’equipaggio preferirebbe vostra…

      Il pilota non poté finire la frase. La destra del capitano era caduta sul viso del furfante con tale violenza che parve lo schianto di un albero. L’uomo girò due volte su stesso come una trottola, poi stramazzò a terra, sputando, insieme ad una boccata di sangue anche alcuni denti. Un urlo di furore si alzò fra l’equipaggio. I coltelli da manovra fino allora nascosti nelle fasce o sotto le casacche, scintillarono sinistramente ai raggi del sole. Nello stesso momento Reton balzava fuori dalla tenda portando quattro carabine e gridando:

      – A voi capitano! A voi, don Pedro! Prendete, señorita! Sparate senza misericordia su queste canaglie!

      Don Josè aveva afferrato la carabina che il bravo mastro gli porgeva e l’aveva puntata risolutamente contro i ribelli gridando con accento terribile:

      – Indietro e giù le mani, o faccio fuoco!

      L’alta statura del comandante, la collera intensa che traspariva dal suo viso, l’autorità non ancora del tutto perduta e forse più di tutto l’accento imperioso, avevano trattenuto i ribelli. E poi non avevano davanti soltanto un uomo. Anche Pedro, Mina e il bosmano avevano caricate precipitosamente le carabine, dirigendo le canne verso il gruppo.

      – Mi avete inteso? – gridò don Josè, vedendo che i marinai non si decidevano a lasciare le armi.

      Il pilota, dopo aver proferito alcune bestemmie, si era alzato facendo scattare, con un colpo secco, la navaja che teneva nascosta nella fascia, una splendida arma spagnola lunga quasi due piedi.

      – Non cedete, camerati! – aveva gridato a sua volta.

      Don Josè gli appoggiò la canna della carabina sul petto:

      – Se pronunci una sola parola, sei morto! – esclamò.

      I marinai, credendo che gli assaliti si preparassero a sparare, erano indietreggiati, urtandosi confusamente. Reton si era lanciato verso di loro, impugnando il fucile per la canna e facendolo roteare come una mazza urlando:

      – Via di qui, canaglie!

      I marinai che erano in coda si erano già sbandati, scappando a destra e a sinistra. A un tratto echeggiò un urlo acuto, straziante:

      – Aiuto!

      A babordo della zattera si era udito un tonfo. Qualcuno nella fretta di fuggire era inciampato contro qualche gomena o contro un altro ostacolo e doveva essere caduto in mare. Quel grido giungeva a buon punto, poiché don Josè stava per premere il grilletto e fulminare il pilota. Tutti si erano precipitati verso il margine della zattera scordando subito la fame e lasciando sfumare le loro idee bellicose. Perfino Hermos, troppo contento di essere sfuggito a una morte certa, era accorso seguito da don Josè, da don Pedro e da Mina. Un uomo era caduto in acqua e si teneva disperatamente aggrappato all’orlo della zattera, gemendo e urlando spaventosamente. Attorno a lui la spuma che rimbalzava contro le travi e i barili si tingeva di rosso. Il disgraziato aveva gli occhi dilatati da un terrore impossibile a descriversi e il viso orribilmente sconvolto. Reton, che era giunto per primo, afferrò il marinaio per le braccia e lo trasse sulla zattera. Un urlo di orrore era sfuggito da tutti i petti. Reton stesso lo aveva lasciato cadere, indietreggiando terrorizzato.

      – Quest’uomo è spacciato! – aveva gridato il pilota. – Gli accordo mezz’ora di vita.

      Forse quella generosità era anche troppa, poiché il povero naufrago aveva perso le gambe, tagliate quasi rasente il ventre da un colpo di denti, dallo squalo che da tanti giorni si teneva nascosto sotto la zattera, aspettando pazientemente la sua preda.

      VII. PESCI VELENOSI

      Il marinaio, appena lasciato cadere, aveva allargate le braccia come per cercare di aggrapparsi a qualche cosa, mandando dei gemiti. Dai due tronconi delle cosce, qua e là sbrindellati dai terribili denti dello squalo, sfuggivano, con rapide pulsazioni, due getti di sangue spumoso che si spandevano sulle tavole della zattera. Don Josè, fattosi largo fra i marinai, che stavano immobili, come istupiditi, si era curvato sul disgraziato, dicendo con voce commossa:

      – Mio povero Escobedo… coraggio!

      Il marinaio lo fissò in viso con due occhi già velati dalla morte: poi, alzando una mano, disse con voce fioca:

      – Prima… o dopo … ma non così… soffro… soffro troppo… uccidetemi… per pietà…

      – Vediamo prima, si può forse ancora salvarti. Ho visto altri uomini sopravvivere a queste ferite.

      – Uccidetemi… capitano… sono un uomo finito, – continuava a gemere il disgraziato. – Non tentate nulla… finitemi…

      – Un pezzo di vela, – disse il capitano. – cerchiamo prima di tutto di arrestare il sangue.

      – Non fate altro che prolungare l’agonia di Escobedo, – osservò il pilota, che lanciava sguardi bramosi sul moribondo.

      – Non importa, – rispose don Josè. – Io debbo tentare tutto.

      – Sì, per strapparci anche quella carne, – mormorò ferocemente Hermos. – Invoca la morte: uccidetelo e avremo il nostro pasto.

      Il capitano, aiutato da Reton e da Pedro, avvolse le spaventose ferite, non con la speranza di strappare alla morte il disgraziato, ma per fermare il sangue e farlo soffrire meno. Sapeva già che era ormai irrimediabilmente condannato. Aveva però appena finita la fasciatura quando Escobedo mandò un urlo così spaventoso da far indietreggiare i marinai che lo avevano circondato.

      – Dategli СКАЧАТЬ