Il tesoro della montagna azzurra. Emilio Salgari
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Название: Il tesoro della montagna azzurra

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ Quella doga è un segnale affidato alle onde e probabilmente non sarà stato il solo. Chissà quanti ne sono stati gettati dal traditore, a nostra insaputa con la speranza che qualcuno venga raccolto dall’equipaggio dell’Esmeralda… Tu Reton, hai mai veduto di questi sugheri a bordo dell’Andalusia?

      – Mai, – rispose il bosmano. – Solo i pescatori ne usano e noi avevamo ben altro da fare che prendere pesci.

      – Ah! – esclamò in quel momento don Pedro che continuava ad osservare la doga. – Ci sono dei segni anche sui margini.

      – Quali segni?

      – Sette punti e quattro lineette, più cinque numeri: un due, un dieci e un ventiquattro.

      – Dei segni convenzionali che avranno il loro significato, – disse il capitano, dopo averli osservati. – Canaglie!

      – Voi dunque credete, capitano, che questo sughero sia stato lanciato per segnalare qualche cosa a quel bandito di Ramirez? – chiese il bosmano.

      – Solo quel furfante possiede una copia del talismano che ci permetterà di farci consegnare dai krahoa il tesoro raccolto da don Belgrano.

      – È vero! – esclamò don Pedro. – E come dovremo regolarci ora?

      – Non ci rimane che di raddoppiare la sorveglianza per sorprendere quel traditore, – disse il capitano.

      – Ah, se potessi mettergli le mani addosso! – borbottò Reton, digrignando i denti. – Che bella colazione per il pescecane che si nasconde sotto la zattera!

      A un tratto si batté la fronte, poi disse:

      – Tò… Una sera ho visto Emanuel gettare un pezzo di sughero, per attirare i pesci, come mi disse.

      – Vorresti incolpare quel ragazzo? – chiese il capitano, alzando le spalle. – Tu hai la mania di vedere sempre un nemico in quel povero diavolo. Chi ha gettato questo non può essere che un marinaio e molto furbo. Conserviamo il segreto e non dite nulla a nessuno. Non bisogna insospettire il traditore.

      – E occhi aperti, aggiunse il bosmano. – Invece di quattro farò otto ore di guardia notturna.

      Uscirono tutti insieme, simulando un’aria tranquilla e si spinsero verso prora per osservare l’orizzonte. Quasi tutti i marinai vi si erano già radunati, spingendo lontano, su quella sterminata pianura liquida, di un bell’azzurro profondo costellato di scintillii d’oro, il loro sguardo acutissimo. Nulla: sempre nulla. L’orizzonte era purissimo, senza la più piccola nube e senza il profilo di una montagna. Una calma immensa regnava sul Pacifico.

      – Si direbbe che siamo maledetti – disse il capitano, dopo aver guardato in tutte le direzioni. – Anche il vento congiura contro di noi. A questa calma preferirei la tempesta, qualunque cosa dovesse succedere.

      Alla notte il capitano, don Pedro e il bosmano raddoppiarono la sorveglianza ma non notarono nulla di insolito. I marinai, stanchi, affamati e assetati, poiché il previdente capitano continuava a diminuire le razioni, non avevano lasciati i loro posti, anzi non avevano smesso di russare, essendosi tutti rifiutati di fare i loro turni, giudicandoli inutili. Nessuno aveva fiducia nell’incontro di una nave, trovandosi la zattera in zone non frequentate da velieri. Altri due giorni trascorsero ancora e senza cibo. Inutilmente tutti avevano cercato di pescare e invano il capitano aveva sparato alcuni colpi contro un gigantesco albatros che era passato sopra la zattera a una tale altezza però da non poterlo colpire. Irritati da tanti patimenti, i marinai cominciarono a diventare pericolosi. Non obbedivano più né agli ordini del capitano, né a quelli del bosmano. Una sorda collera si era già da qualche tempo manifestata, specialmente contro don Pedro e sua sorella, che ritenevano responsabili di tutte le loro disgrazie. Senza quel maledetto tesoro, forse l’Andalusia non sarebbe naufragata e avrebbe ancora navigato pacificamente lungo le coste occidentali dell’America. Don Josè, che li teneva d’occhio, non aveva tardato ad accorgersi della loro irritazione e ne aveva avvertito Reton.

      – Se non tocchiamo terra al più presto o non troviamo il modo di rinnovare le provviste, non so che cosa accadrà, – disse. – Io tremo per Mina e per suo fratello. Ho già notato che alcuni marinai ieri sera fissavano con sguardo di ardente bramosia la ragazza.

      – Vivaddio! – rispose il bosmano. – Chi la tocca è un uomo morto, parola di Reton! Avete avvertito don Pedro?

      – Me ne sono ben guardato.

      – Avete fatto bene. I fucili e le munizioni sono sempre sotto la tenda?

      – Sì, Reton.

      – Badate che non li rubino.

      – Non chiudo occhio di notte.

      – Ne abbiamo nove, se non sbaglio. Se ne gettassimo almeno cinque in mare?

      – Ci avevo già pensato, ma non possiamo privarci delle armi che possono esserci necessarie sulla terra dei Kanaki, esito ad assumermi una tale responsabilità.

      – Questo è vero. Potrebbe essere una imprudenza terribile e nondimeno, un giorno o l’altro, se le cose non cambiano, saremo costretti a sbarazzarci dei fucili in più. La fame e i patimenti possono rendere feroci questi uomini.

      – E spingerli a rinnovare i mostruosi banchetti di carne umana dei naufraghi della Medusa, – aggiunse il capitano con un sospiro.

      I timori di don Josè, poiché la notte stessa, fra le dieci e le undici, sette marinai, fra i quali si trovava anche Emanuel, si raccolsero a prora della zattera e fingendo di pescare intavolarono a voce bassa una terribili discussione. Il mozzo, malgrado la sua giovane età, godeva di un certo ascendente su alcuni componenti dell’equipaggio che erano stati amici di suo padre, un bravo e coraggioso pilota.

      – Bisogna decidersi, – disse Emanuel, con voce insinuante. – Non dobbiamo lasciarci morire di fame, quando qui c’è carne in abbondanza. La terra può essere ancora molto lontana, amici, pensateci.

      – Ciò che tu proponi, ragazzo, è molto grave, – rispose John il pescatore. – Noi non siamo dei Kanaki.

      – E allora lasciati morire, – osservò un altro. – Io per mio conto sono deciso a tutto, pur di poter saziare questa tremenda fame che da tre giorni mi tormenta.

      – Morire prima o dopo è tutt’uno, – soggiunse un altro. – Se la sorte designerà me per prima vittima, non mi lamenterò, ve lo giuro.

      – Ma che sorte! – esclamò Emanuel. – Non dobbiamo affatto sacrificarci. Di chi è la colpa di tutte le nostre disgrazie? Nostra, no di certo. Senza quei due giovani che si sono messi in testa di andare a raccogliere un tesoro, noi non ci troveremo in così tristi condizioni. Mangiamo dunque loro.

      A quell’atroce proposta, fatta da quel giovane, che fino allora sembrava che avesse nutrito una profonda simpatia, se non verso don Pedro, almeno verso Mina, i marinai si erano guardati l’un l’altro con terrore, lasciando cadere le canne da pesca.

      – John, – disse uno di loro, volgendosi verso il pescatore – mettiti di guardia e avvertici se il capitano o Reton si avvicinano. L’affare è grave e non deve essere conosciuto dagli altri, quantunque io sia certo che approveranno pienamente le nostre decisioni. La fame li deciderà.

      L’americano si allontanò di alcuni passi, sdraiandosi fra due barili. Il capitano e Reton, seduti presso il timone, parlavano sommessamente e sembrava СКАЧАТЬ