Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Alla conquista di un impero - Emilio Salgari страница 21

Название: Alla conquista di un impero

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ che un malese penava a frenare.

      Yanez salì al posto del cocchiere, Sandokan e Tremal-Naik di dietro e la leggera vettura partì rapida come il vento, avviandosi verso le parti centrali della città.

      I mail-cart vanno sempre a corsa sfrenata come le troike russe e tanto peggio per chi non è lesto a evitarle.

      Attraversano le pianure come uragani, salgono le più aspre montagne, le discendono con eguale velocità, specialmente quelle adibite al servizio della posta. Sono guidate da un solo indiano, munito d’una frusta a manico corto, che non lascia un momento in riposo, perché non deve arrestarsi per nessun motivo.

      Quelle corse però non sono scevre di pericoli. Avendo quelle vetture le ruote alte e la cassa senza molle, subiscono dei trabalzi terribili e se uno volesse parlare correrebbe il rischio di troncarsi, coi propri denti, la lingua. Yanez, come abbiamo detto, aveva lanciato quella specie di birroccio a gran corsa, facendo scoppiettare fortemente la frusta per avvertire i passanti a tenersi in guardia.

      I tre cavalli, che balzavano come se avessero le ali alle zampe, divoravano lo spazio come saette, nitrendo rumorosamente.

      Bastarono dieci minuti perché il mail-cart si trovasse nelle vie centrali di Gauhati.

      Yanez ed i suoi compagni notarono subito un’animazione insolita: gruppi di persone si formavano qua e là discutendo animatamente, con larghi gesti e anche sulle porte dei negozi era un bisbigliare incessante fra i proprietari ed i loro avventori.

      Si leggeva sul viso di tutta quella gente impresso un vero sgomento.

      Yanez, che aveva frenati i cavalli onde non storpiare qualche passante, si era voltato verso i suoi due amici strizzando loro l’occhio.

      – La terribile notizia si è già sparsa, – rispose la Tigre della Malesia, sorridendo. – Dove ci conduci?

      – Da Surama per ora.

      – E poi?

      – Vorrei vedere quel maledetto favorito del rajah, se mi si presentasse l’occasione.

      – Uhm! Sai che il principe non vuol vedere nessun inglese alla sua corte.

      – Eppure dovrà ricevermi e con grandi onori, – disse Yanez.

      – Ed in quale maniera?

      – Non ho forse la pietra in mia mano?

      – Che diventi un talismano?

      – Fors’anche di più, mio caro Sandokan. Oh! Che cosa c’è? —

      Due indiani s’avanzavano fra la folla, l’uno lanciando di quando in quando delle note rumorose che ricavava da una lunghissima tromba di rame e l’altro che scuoteva furiosamente una gautha, ossia uno di quei campanelli di bronzo ornati con una testa che ha due ali e che vengono adoperati nelle cerimonie religiose per convocare i fedeli.

      Li seguiva un soldato del rajah, con ampi calzoni bianchi, la casacca rossa con alamari gialli e che portava una bandiera bianca con nel mezzo dipinto un elefante a due teste.

      – Questi sono araldi del principe, – disse Tremal-Naik. – Che cosa annunceranno?

      – Io lo indovino di già, – disse Yanez, fermando la vettura. – È una cosa che riguarda noi. —

      I tre araldi, dopo aver assordato i vicini che si erano radunati in gran numero attorno a loro, si erano pure fermati ed il soldato che doveva avere dei polmoni di ferro, si era messo a urlare:

      «S. M. il principe Sindhia, signore dell’Assam, avverte il suo fedele popolo che offrirà onori e ricchezze a chi saprà dare indicazioni sui miserabili che hanno rubata la pietra di Salagraman dalla pagoda di Karia. Ho parlato per la bocca del potentissimo rajah».

      – Onori e ricchezze, – mormorò Yanez. – A me basteranno i primi per ora. Il resto verrà più tardi, te lo assicuro, mio caro Sindhia.

      Quelle però saranno per la mia futura moglie. —

      Lasciò passare i banditori che avevano ripresa la loro musica infernale e lanciò i cavalli a piccolo trotto, percorrendo successivamente parecchie vie molto larghe, cosa piuttosto rara nelle città indiane che hanno stradicciuole tortuose come quelle delle città arabe e anche poco pulite.

      – Ci siamo, – disse ad un tratto, fermando con uno strappo violento i tre ardenti corsieri.

      Si era fermato dinanzi ad una casa di bella apparenza, che sorgeva, come un gran dado bianco, fra otto o dieci colossali tara che l’ombreggiavano da tutte le parti.

      Solo a vederla si capiva che era un’abitazione veramente signorile, essendo perfettamente isolata ed avendo porticati, logge e terrazze per poter dormire all’aperto durante i grandi calori.

      Tutte le abitazioni dei ricchi indù sono bellissime e tenute anche con molta cura. Devono avere cortili, giardini, cisterne d’acqua e fontane non solo nelle stanze bensì anche all’entrata e grandi ventole mosse a mano dai servi onde regni una continua frescura.

      Devono anche avere intorno delle piccole kas khanays ossia casette di paglia o piuttosto di radici odorose, costruite nel mezzo d’un tratto di terra erbosa e sempre in prossimità d’una tank ossia fontana onde la servitù possa comodamente lavarsi.

      Udendo il fracasso prodotto dai tre cavalli, due uomini vestiti come gl’indiani che però dalla tinta della loro pelle e dai tratti del viso, duri e angolosi si riconoscevano anche di primo acchito per malesi, erano subito usciti dalla casa salutando con un goffo inchino Yanez ed i suoi due compagni.

      – Surama? – chiese brevemente il portoghese saltando a terra.

      – È nella sala azzurra, capitano Yanez, – rispose uno dei due malesi.

      – Occupatevi dei cavalli.

      – Sì, capitano. —

      Salì i quattro gradini seguito da Tremal-Naik e da Sandokan e attraversato un corridoio si trovò in un vasto cortile, circondato da eleganti porticati sorretti da esili colonne.

      Nel mezzo, da una grande coppa di pietra, zampillava altissimo un getto d’acqua.

      Yanez passò sotto il porticato di destra e si fermò dinanzi ad una porta dove stavano raggruppate delle ragazze indiane.

      – Avvertite la padrona, – disse loro.

      Una giovane aprì invece senz’altro la porta, dicendo:

      – Entra, sahib: ti aspetta. —

      Yanez ed i suoi compagni si trovarono in un elegantissimo salotto che aveva le pareti tappezzate di seta azzurra ed il pavimento coperto da un sottile materasso che si estendeva fino ai quattro angoli.

      Tutto all’intorno vi erano dei divanetti di seta, con ricami d’oro e d’argento di squisita fattura, e larghi guanciali di raso fiorato appoggiati contro le pareti onde i visitatori potessero sdraiarvisi comodamente.

      All’altezza d’un metro, s’aprivano nelle muraglie parecchie nicchie dove si vedevano dei vasi cinesi pieni di fiori che esalavano acuti profumi.

      Mobili nessuno, eccettuato uno sgabello collocato proprio nel mezzo della stanza su cui stavano dei bicchieri СКАЧАТЬ