Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
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Название: Alla conquista di un impero

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ con delle vecchie Tigri di Mompracem e puoi essere certo che ti mangeranno. —

      Salutò i ministri che lo avevano accompagnato e uscì dal palazzo, salutato dalle guardie che vegliavano sulle gradinate e dinanzi al portone.

      A breve distanza stava fermo il suo mail-cart, tirato da due cavalli che Bindar, il sivano, riusciva a mala pena a tenere fermi.

      – Mio fratellino Sandokan è veramente un grand’uomo, – mormorò Yanez. – Che tigre prudente. —

      Si volse verso i malesi che aspettavano i suoi ordini:

      – Disperdetevi, – disse loro – fate tutto ciò che volete e badate di non farvi seguire da nessuno. Non ritornate alla pagoda sotterranea che a notte tarda e fucilate senza misericordia chi cercherà di spiarvi.

      Vi sono dei pericoli.

      – Va bene capitano, – risposero i malesi.

      Salì a cassetta, sedendosi a fianco di Bindar e lanciò i cavalli a corsa sfrenata onde nessuno potesse seguirlo.

      Solamente quando fu sulle rive del Brahmaputra lontano dagli ultimi sobborghi, rallentò il galoppo furioso dei focosi destrieri.

      – Bindar, – disse, – hai udito a parlare tu della tigre nera che ha mangiato i figli del rajah?

      – Sì, sahib – rispose l’indiano.

      – Anch’io ho udito vagamente a parlarne due o tre giorni or sono. Che bestia è?

      – Una bâg che si dice sia tutta nera e che commette delle stragi terribili.

      – Quale luogo frequenta?

      – Le jungle di Kamarpur.

      – Sono lontane?

      – Una ventina di miglia, non di più.

      – Al di là del Brahmaputra?

      – Non è necessario attraversare il fiume.

      – È vero che ha mangiati i figli del rajah?

      – Sì, sahib.

      – Quando?

      – L’anno scorso.

      – E come?

      – Il rajah seccato dai continui reclami dei suoi sudditi, s’era finalmente deciso di porre fine alle stragi che commetteva quella admikanevalla ed aveva incaricato i suoi due figli di dirigere la battuta.

      Erano fanciulli, assolutamente incapaci di condurre a termine una così difficile impresa. Temendo però la collera del padre si erano ben guardati dal rifiutarsi. Non si sa veramente come siano andate le cose; però ti posso dire che due giorni dopo furono trovati i loro corpi, semi-divorati, pendenti da un ramo d’un albero.

      – Si erano imboscati lassù?

      – Dove li avevano messi e legati – disse Bindar.

      – Che cosa vuoi dire?

      – Che sotto la pianta furono trovate delle corde strappate, – rispose l’indiano.

      – E vuoi concludere?

      – Che si sussurra qui, che il rajah avesse approfittato di quella tigre per sbarazzarsi di quei due fanciulli che forse gli davano noia.

      – Per Giove! – esclamò Yanez inorridito.

      – Eh! Sahib! Sindhia è fratello di Bitor, il rajah che regnava prima e che tutti detestavano per le sue infamie.

      – Ah! Ho capito – rispose il portoghese aggrottando la fronte.

      Poi mormorò fra sé:

      – Il greco, la tigre nera che ha mangiato i figli del rajah, l’invito ad andarla ad ammazzare. Che cosa ci sarà sotto tutto ciò? Fortunatamente ho la Tigre della Malesia, Tremal-Naik e Kammamuri sotto mano, tre unità formidabili, come direbbe un marinaio moderno.

      La bâg cadrà, non ne dubito e allora, mio caro Sindhia, non sarà una semplice rappresentazione quella che ne pagherà le spese. Ci vuol ben altro! Una corona per Surama e per me. —

      Lanciò nuovamente i cavalli al galoppo allontanandosi dalla città parecchie miglia e volgendosi di quando in quando per vedere se era seguito da qualche altro mail-cart.

      Quando il sole tramontò fece ritorno, inoltrandosi nei boschi che sorgevano di fronte al tempio sotterraneo.

      – Occupati dei cavalli, – disse all’indiano.

      Sulla soglia della pagoda lo aspettavano, con viva impazienza, Sandokan e Tremal-Naik.

      – Dunque? – chiesero ad una voce.

      – Tutto va bene, – rispose Yanez ridendo. – Il rajah è mio amico. —

      Poi estraendo una sigaretta proseguì:

      – Vi spiacerebbe cacciare domani una tigre pericolosissima?

      – A me lo domandi? – rispose Sandokan.

      – Allora fa’ preparare le tue armi. Prima che il sole spunti ci troveremo al palazzo del rajah.

      – Che cosa dici, Yanez? – chiese Tremal-Naik.

      – Venite, – rispose Yanez. – Vi racconterò tutto. —

      8. La tigre nera

      Erano appena suonate le tre del mattino quando Yanez, seguìto da Sandokan, da Tremal-Naik e dai sei malesi giungeva dinanzi al palazzo reale, per intraprendere la caccia della terribile kala-bâgh ossia la tigre nera.

      Fino dal giorno innanzi avevano noleggiati tre grandi tciopaya, ossia carri indiani tirati da una coppia di zebù, non essendo conveniente che un uomo bianco e per di più inglese, si recasse ad un appuntamento a piedi e senza una scorta numerosa.

      Il maggiordomo della corte aveva preparato ogni cosa per la grande caccia.

      Tre magnifici elefanti, che reggevano sui poderosi dorsi delle comode casse destinate ai cacciatori, prive di cupolette onde non intralciare il fuoco delle carabine e montati ognuno da un mahut, stavano fermi in mezzo alla piazza, circondati da una dozzina di behras, ossia di valletti che tenevano a guinzaglio una cinquantina di bruttissimi cani, di statura bassa, incapaci di tenere testa ad una belva così pericolosa, ma necessari per scovarla.

      Dietro agli elefanti stavano due dozzine di scikari, ossia battitori, armati solamente di picche e quasi nudi, onde essere più lesti a fuggire dopo aver stanata la belva.

      – Siamo pronti, sahib – disse il maggiordomo inchinandosi profondamente dinanzi a Yanez.

      – Ed io essere contentissimo, – rispose il portoghese degnando lo appena d’uno sguardo.

      – Buoni elefanti?

      – Provati e abituati alle grosse cacce, sahib. Scegli quello che meglio ti conviene.

      – Quello, СКАЧАТЬ