Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
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Название: Alla conquista di un impero

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ glanis.

      Balena, squalo, o siluro, l’avversario era terribile, poiché quei pesci che si trovano solamente nei grossi fiumi, sono d’una voracità incredibile e non esitano ad assalire l’uomo e anche a divorarselo.

      Sono brutti mostri che misurano dai due ai tre metri, col corpo molto allungato che li fa rassomigliare un po’ alle anguille, che come abbiamo detto hanno una bocca larghissima e poderosamente armata, guernita ai lati di sei peli lunghissimi, che pare siano destinati ad attirare i pesci.

      Forti e audaci, costituiscono un vero pericolo anche per gli esseri umani. Che un ragazzo si bagni ed il siluro abbandonerà subito la melma, dove abitualmente si riposa, per assalirlo e divorarlo talvolta intero.

      Nemmeno gli animali sono risparmiati. Che sopravvenga una piena ed ecco lo squalo d’acqua dolce dare la caccia alle bestie che avranno trovato rifugio sulle piante e a gran colpi di coda farle cadere nella sua terribile bocca.

      Yanez, che aveva conosciuto quei pericolosi abitanti dei fiumi nei grandi corsi del Borneo, si era subito posto in guardia per non perdere qualche braccio, o ricevere qualche tremendo colpo di coda.

      Il siluro dopo aver mostrata la sua testa, coperta da una viscida pelle di colore verdastro, erasi subito rituffato ma non aveva tardato a ricomparire, muovendo contro il portoghese.

      Essendo però tali squali piuttosto lenti nelle loro mosse, Yanez aveva avuto il tempo di lasciarsi calare a picco per evitare l’attacco.

      Il siluro non aveva tardato a seguirlo. Aveva però di fronte un avversario degno di lui. Si era appena immerso che il portoghese lo assalì piantandogli il kriss fra le pinne pettorali.

      Fatto il colpo, Yanez chiuse le gambe lasciandosi portare dalla corrente per parecchi metri, tenendosi sempre sott’acqua; poi con due bracciate rimontò a galla e con non poca sorpresa, urtò contro un corpo duro che lo obbligò ad immergersi di nuovo.

      – Un altro squalo d’acqua dolce? – si era chiesto. – Ed io che ho lasciato il mio pugnale nel petto dell’altro!… —

      Si spinse più innanzi rattenendo il respiro, poi risalì ancora. Tornò a urtare, non già colla testa, bensì con una spalla e finì per emergere.

      – Ah! Diavolo! – esclamò. – Che cos’è questo? Una lampada, per Giove! Che odore! —

      Quattro o cinque uccellacci, che avevano le penne nere e becchi immensi, si erano alzati volandosene via.

      – I marabù! – aveva esclamato Yanez. – Allora qui vi è un cadavere! —

      Solo in quel momento si era accorto di aver presso di sé una tavola lunga un paio di metri e larga uno, ad una delle cui estremità bruciava una piccola lampada d’argilla.

      – Questo è un feretro abbandonato alla corrente, – mormorò. – Che incontro poco allegro! Dopo tutto mi aiuterà a reggermi a galla. —

      Allungò le mani e s’aggrappò a quella strana bara che la corrente trasportava. Uno sternuto vigoroso lo colse.

      – Ah! Per Giove! Vi è un morto! Dannati indiani! Col loro sacro Gange cominciano ad annoiarmi. —

      Infatti, steso su quella funebre tavola, destinata a raggiungere il Gange, si trovava il cadavere di un vecchio indiano, quasi nudo, con una lunga barba bianca, ridotto però in uno stato orribile.

      I marabù gli avevano strappati gli occhi, divorata la lingua, squarciato il ventre per divorargli gl’intestini e da quelle ferite usciva un odore nauseante che rivoltava lo stomaco.

      – Puoi andare a finire nel Gange anche senza questa tavola che è più necessaria a me che a te – disse Yanez. – E poi il tuo profumo non mi piace affatto. Va’ e buon viaggio! —

      Con una spinta vigorosa gettò il cadavere in acqua assieme alla lampadina e si issò sulla tavola.

      – Cerchiamo ora di orientarci, – mormorò. – Gli altri penseranno a mettersi in salvo come potranno.

      Già, di Sandokan, di Tremal-Naik e dei miei uomini sono sicuro. —

      Si,guardò intorno e gli parve di riconoscere la riva destra.

      – È là che devo sbarcare, – disse.

      Si gettò bocconi sulla tavola e servendosi delle mani come di remi, guidò il galleggiante funebre attraverso il fiume.

      La corrente non era forte, avendo quasi tutti i corsi d’acqua dell’India pochissima pendenza, sicché gli riuscì facile raggiungere la riva.

      Abbandonò la tavola e prese terra. In quel luogo non vi erano che delle risaie: capanne, nemmeno una.

      – Rimontando verso levante giungerò al tempio sotterraneo, – mormorò. – Non deve essere molto lontano.

      Affrettiamoci, o desterò una pericolosa curiosità io, uomo bianco, senza giacca e senza stivali e con un bagaglio sulle spalle. —

      Si mise rapidamente in marcia, seguendo sempre la riva, che era fiancheggiata da grossi alberi fra i cui rami cominciavano già a volteggiare delle singalika, quelle magrissime scimmie che sono così numerose in India, alte quasi un metro, con una specie di barba, che dà a loro uno strano aspetto e che sono lo spavento dei poveri contadini, ai quali distruggono senza misericordia i raccolti.

      Yanez, che vedeva, non senza inquietudine, approssimarsi l’alba, affrettava il passo. Aveva già oltrepassata l’isola su cui sorgeva la pagoda di Karia, non doveva quindi essere molto lontano dal tempio sotterraneo.

      Di quando in quando s’arrestava un momento sperando di scorgere la bangle e non vedeva invece altro che delle lunghe file di grotteschi uccellacci, d’aspetto decrepito, semi-spelati, col becco lunghissimo e robusto.

      Erano i marabù che attendevano pazientemente il passaggio di qualche cadavere, umano o animale, poco importava, per dargli addosso ed in quattro e quattro otto farlo scomparire nei loro mai pieni stomachi.

      Il sole dardeggiava i suoi primi raggi sulle acque del Brahmaputra, quando Yanez giunse dinanzi al tempio sotterraneo, sulla cui porta vegliava un uomo, che aveva l’aspetto d’un fakiro.

      – Ah! Signor Yanez! – esclamò quell’uomo alzandosi.

      – Kammamuri! – aveva esclamato il portoghese.

      – Nella pelle d’un biscnub, signore, – rispose il maharatto ridendo – che non ha però rinunciato né alle ricchezze, né ai piaceri della vita, né ai beni di questo mondo come i miei correligionari.

      – Sono tornati?

      – Il signor Sandokan ed il mio padrone? Vi aspettano a colazione da una buona mezz’ora.

      – E gli altri?

      – Vi sono tutti. Sono giunti su una bangle.

      – Ed il ministro?

      – È sempre al sicuro, ma ho paura che quel povero diavolo muoia di spavento.

      – I tuoi compatriotti hanno la pelle troppo dura per andarsene così presto in grembo a Siva o a Brahma. —

      S’aprì il passo fra i cespugli che nascondevano l’entrata e si cacciò nei СКАЧАТЬ