Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ queste modificazioni: Ch'egli non avrebbe inclinato ad accettar l'impresa, se non se gli fosse conceduto interamente il Regno di Sicilia, con tutta la terra di quà dal Faro insino alli confini dello Stato della Chiesa; siccome lo possederono i Re normanni e svevi: di manierachè, eccettuatane la città di Benevento, con tutti i suoi distretti e pertinenze, niente dell'altre terre sarebbe rimasto alla Sede Appostolica se non il censo, ch'egli avrebbe pagato ogni anno di diecemila once d'oro[84].

      E perchè premeva ad Urbano di non differir di vantaggio quest'affare; poichè in altra maniera non si sarebbe potuto scacciar Manfredi dal Regno; fu contento di moderare secondo il volere di Carlo le condizioni suddette; onde conchiuso il trattato in cotal modo, scrisse anche al Re Lodovico, che desse ajuto a Carlo suo fratello, significandogli per altra lettera, che i denari che fosse per somministrargli, si sarebbon presi per titolo di prestanza, con animo di restituirgli. Il Re Luigi non potè resistere a tanti impulsi, e di mala voglia fu alla perfine costretto a dar il consenso che suo fratello accettasse l'invito. Questa memoranda deliberazione, siccome fu cagione della fatal ruina della casa di Svevia, così ancora non può negarsi, ciò che da' savj politici fu ponderato, che portasse insieme la cagione non pur di tanti travagli e desolazioni della casa stessa d'Angiò, ma anche tante spese e tante inutili spedizioni alla Corona di Francia la quale per lo corso di più secoli si vide impegnata perciò a sostener molte dispendiose guerre, le quali riuscitele sempre con infelice successo, le han portato dispendii ed incomodi gravissimi; essendo cosa, e per gli antichi e nuovi esempi pur troppo nota, che cominciandosi da Gregorio M. tutti i Papi suoi successori, ancorchè invitassero molti Principi alla conquista, ebbero poi quegli stessi invitati per sospetti, quando gli vedevano prosperati, e a maggior fortuna arrivati; onde ne invitavano altri per discacciar i primi, per la qual cagione il nostro Reame fu miseramente afflitto, e reso teatro d'aspre e di crudeli guerre.

      Ma mentre il Legato Appostolico era di ritorno in Italia, portando la novella della venuta di Carlo, ecco che Urbano dimorando in Perugia, se ne muore in quest'anno 1264 ciò che impedì per allora il passaggio di Carlo in Italia.

      CAPITOLO II

      Spedizione di Clemente IV e conquiste di Carlo d'Angiò, da lui investito del Regno di Puglia e di Sicilia

      Re Manfredi intesa la morte di Papa Urbano ne prese grandissimo piacere, sperando esser in tutto fuor di pericolo, non meno per le discordie che a quei tempi soleano sorgere tra' Cardinali per l'elezione, onde nasceva lunga vacazione della Sede Appostolica, che per la speranza avea che fosse eletto alcun Italiano, il quale non avesse interesse co' Franzesi, e che avesse abborrimento d'introdur gente oltramontana in Italia; ma restò di gran lunga ingannato, perocchè i Cardinali, che si trovavano averlo offeso e dubitavano, che egli ne avesse presa vendetta, studiaronsi di creare un Papa d'animo e di valore simile al morto: e di comune consenso a febbrajo del nuovo anno 1265 crearono Papa il Cardinal di Narbona. Costui non solo era di nazione franzese, ma vassallo di Carlo[85]: ebbe già moglie e figliuoli; e fu uno de' primi Giureconsulti della Francia: fu poi, morta sua moglie, fatto Vescovo di Pois, indi di Narbona, ed appresso Cardinale, ed ora si trovava Legato in Inghilterra. Tosto che seppe l'elezione, partissi di Francia, ed in abito sconosciuto di mendicante, secondo il Platina, o di mercatante, come vuol Collenuccio, venne a Perugia, ove da' Cardinali con somma riverenza ricevuto, fu adorato Pontefice e chiamato Clemente IV; indi con molto onore a Viterbo 'l condussero.

      La prima cosa, che e' trattò nel principio del suo Ponteficato, spinto da natural affezione che la Nazion franzese suol portare a' suoi Principi, fu la conclusione di seguitare quanto per Papa Urbano suo predecessore era stato cominciato a trattare con Carlo d'Angiò, per mezzo dell'Arcivescovo di Cosenza.

      (Clemente IV successore d'Urbano, rivocò prima l'investitura data ad Edmondo; e la Bolla di questa rivocazione è rapportata da Lunig[86]; e da poi nell'istesso anno 1265 investì del Regno Carlo d'Angiò, e la Bolla di questa investitura con tutti i suoi patti e gravami, si legge pure presso Lunig[87], siccome anche il giuramento dato da Carlo nel 1266 a Viterbo, pag. 979).

      E perchè trovò il Collegio tutto nel medesimo proposito, mandò subito con gran celerità l'Arcivescovo a sollecitare la venuta di Carlo. Confermò ancora il Cardinal Simone di S. Cecilia Legato in Francia, dal suo predecessore eletto; e gli scrisse che assolvesse tutti i Crocesignati Franzesi per Terra Santa, commutando loro il voto nella conquista di Sicilia, come si raccoglie da un'epistola di Clemente stesso riferita da Agostino Inveges[88]. Scrisse ancora al S. Re Lodovico, che desse aiuto a Carlo suo fratello; ed essendosi renduto certo, che così il Conte di Provenza, come il Re suo fratello erano disposti per l'impresa, commise al Cardinal di Tours, che accordasse i patti, co' quali egli voleva, che si fosse data l'investitura; ed ancorchè non potesse alterar niente di ciò ch'erasi convenuto con Urbano sopra le modificazioni già fatte, nulladimanco, ora che vide Carlo impegnato, volle di gravi e pesanti condizioni obbligarlo nell'istesso tempo che gli dava l'investitura.

      Aveva Urbano, come si è detto, tentato in questa nuova investitura che s'offeriva al Conte di Provenza, ricavarne per la Sede Appostolica gran profitto, proccurando allora con ogni industria, che la provincia di Terra di Lavoro con Napoli e l'isole adiacenti, non altrimente che Benevento, fosse eccettuata e si aggiudicasse alla Chiesa; ma Carlo non volle sentir parola: poichè finalmente non se gli concedeva un Regno, la cui possessione fosse vacante, ma dovea egli colle sue forze discacciarne il possessore Manfredi, ed il Papa non vi metteva altro che benedizioni ed indulgenze ed un poco di carta per l'investitura; poichè le sue forze erano così deboli, che non poteva nemmeno mantenersi in Roma. Clemente per tanto, non potendo appropriar a se quella provincia, proccurò almeno gravare l'investitura di tanti patti e condizioni, che veramente rese il nuovo Re ligio, spogliandolo di molte prerogative, delle quali prima eran adorni i predecessori Re normanni e svevi.

      I Capitoli stipolati e giurati da Carlo, nel modo che il Papa gli avea cercati, secondo che vengono rapportati dal Summonte, da Rainaldo[89] e da Inveges, sono i seguenti.

      I. Fu da Clemente investito Carlo Conte di Provenza del Regno di Sicilia ultra e citra, cioè di quell'isola e di tutta la terra, ch'è di quà dal Faro insino a' confini dello Stato della romana Chiesa, eccetto la città di Benevento con tutto il suo territorio e pertinenze: e ne fu investito pro se, descendentibus masculis, et foeminis: sed masculis extantibus, foeminae non succedant; et inter masculos, primogenitus regnet. Quibus omnibus deficientibus, vel in aliquo contrafacientibus, Regnum ipsum revertatur ad Ecclesiam Romanam[90].

      II. Che non possa in conto alcuno dividere il Regno.

      III. Che debba prestar il giuramento di fedeltà e di ligio omaggio alla Chiesa romana.

      IV. Atterriti i romani Pontefici di ciò che aveano passato co' Svevi, che furono insieme Imperadori e Re di Sicilia, in più capitoli volle convenir Clemente, che Carlo non aspirasse affatto, o proccurasse farsi eleggere o ungere in Re ed Imperador romano, ovvero Re de' Teutonici, o pure Signore di Lombardia, o di Toscana, o della maggior parte di quelle Province, e se vi fosse eletto, e fra quattro mesi non rinunziasse, s'intenda decaduto dal Regno.

      V. Che non aspiri ad occupar l'Imperio romano, il Regno de' Teutonici, ovvero la Toscana e la Lombardia.

      VI. Che se accaderà, stante le contese ch'allora ardevano per l'elezione dell'Imperadore d'Occidente, che fosse eletto Carlo, debba alle mani del romano Pontefice emancipar il suo figliuolo, che dovrebbe succedergli, ed al medesimo rinunciar il Regno, niente presso di se ritenendosene.

      VII. Che il Re maggiore d'anni 18 possa per se amministrare il Regno, ma essendo minore di quest'età, non possa amministrarlo; ma debbasi porre СКАЧАТЬ



<p>84</p>

Le carte di queste condizioni e modificazioni vengono rapportate dal Tutini de' Contestab. del Regno, fol. 70, 71.

<p>85</p>

Costanzo lib. 1.

<p>86</p>

Cod. Ital. Diplom. Tom. 2 pag. 942.

<p>87</p>

Ibid. pag. 964.

<p>88</p>

Inveges Annal. di Palerm. tom. 3.

<p>89</p>

Rainald. ann. 1265.

<p>90</p>

V. Rainaldo ad ann. 1265 il quale adduce convenzioni più diffuse intorno al regolamento della successione del Regno.