Mezzo secolo di patriotismo. Bonfadini Romualdo
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Название: Mezzo secolo di patriotismo

Автор: Bonfadini Romualdo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ garanzia legale di ordine politico trasudava, per così dire, da tutti i pori dell'Amministrazione suprema. Un dì era Melchiorre Gioja che si sfrattava dallo Stato per avere scritto un opuscolo timidamente disapprovatore dei ministri in carica; un'altra volta era un giornalista, il Lattanzi, che si chiudeva – orribile a dirsi – in uno spedale di pazzi, per aver osato rivelare un segreto di governo che sarebbe stato pubblico otto giorni dopo11; una sentenza politica d'inaudita implacabilità colpiva il comune di Crespino e lo poneva per un anno fuori della legge, a discrezione di un brigadiere di gendarmeria, per aver accolto con applausi, durante la guerra, un drappello di nemici giunto ad impadronirsene.

      Che più? il Corpo legislativo, stabilito dal terzo Statuto costituzionale del Regno, avendo voluto discutere un progetto di legge sul Registro, mandato da Parigi, e domandare qualche modificazione alla tariffa, l'imperatore Napoleone prescrisse al Vicerè che riproponesse tal quale il progetto al Corpo legislativo e lo facesse votare senza ulteriore disamina. E malgrado che dalla servilità di quell'assemblea avesse ottenuto quanto voleva, allorchè gli fu presentato il successivo bilancio, in cui era naturalmente impostata la cifra delle spese pel Corpo legislativo, si risparmiò anche la fatica di un decreto di soppressione; si limitò a cancellare, con un tratto di penna, la cifra assegnata a quel capitolo, e del Corpo Legislativo in Italia non si parlò più. Vi sostituì, due anni dopo, un corpo più ossequioso, di funzioni consulenti e d'indole non elettiva, il Senato.

      Di questo miscuglio di beni e di mali aveva la responsabilità ufficiale un giovane di animo generoso e di molta inesperienza politica, Eugenio Beauharnais.

      Assunto a Vicerè d'Italia in un'epoca, in cui pareva che la incredibile grandezza della fortuna napoleonica dovesse vincere ogni legge di tempo, il principe Eugenio s'inchinò coll'affetto d'un figlio e colla devozione d'un discepolo a quella grandezza, e pose ogni zelo nel secondarne gl'intenti, le volontà, il delirio. Persuaso che in quella intelligente tirannia stesse il segreto del governo delle nazioni, ubbidì come Napoleone voleva essere ubbidito, disapprovando talvolta in cuor suo la violenza di quei comandi, cercando spesso addolcirne la pratica esecuzione, assumendone sempre, con molto disinteresse, la diretta responsabilità. Esposto alle facili seduzioni della vita in quegli anni in cui l'austerità non invoglia, ebbe un primo periodo in cui teneva volentieri per sè le soddisfazioni del governo, ne lasciava i pesi e gli affari al suo segretario Méjean. Offese colle prime molte suscettività, come il segretario offendeva dal canto suo molti interessi. Verso gli ultimi anni del regno, divenuto più serio e più pensoso, reagì nobilmente contro quelle prime spensieratezze giovanili, gettandosi nelle cose militari, dove mostrò talenti distinti e raccolse plauso ed onori. Ma neanche lì risparmiò raccolta di avversarj, scoppio di rancori, addensati da rivalità di campo o da misure di disciplina. Nel complesso, non era odiato, ma era impopolare; impersonava diffidenze, pericoli, antipatie che avevano cagioni varie, non tutte e non le più gravi imputabili a lui; nè bastava a rompere questa corrente la dolce influenza della Vice-regina, Amalia di Baviera, a cui le tradizioni dell'epoca attribuiscono concordi lo scettro della gentilezza e della virtù.

      Fra queste gare e queste influenze si veniva peggiorando lo spirito pubblico, a cui era venuta meno la saggia impulsione di Francesco Melzi. Infatti, il Gran Cancelliere, ridotto dal nuovo regime a funzioni di parata piuttosto che a direzione d'affari, perdeva sempre più l'occasione di esercitare sui suoi concittadini quell'influenza salutare che per tanto tempo la sua esperienza e il suo carattere gli avevano mantenuto. Il personale francese del gabinetto di Eugenio era geloso di lui. Più ancora del conte Méjean lo astiava un favorito del principe, Antonio Darnay, nominato, in uggia alla pubblica stima, Direttore generale delle Poste, e che non si peritava di abusare dell'ufficio suo per disuggellare le lettere e sorprendere i segreti dei cittadini.

      Melzi, troppo altiero per scendere ad avversarj così minori di lui, si limitava ad offrire al Vicerè i suoi consigli, sempre assennati, ma non sempre accolti con quella serietà di propositi con cui erano dati. Egli vedeva le condizioni del Regno farsi sempre più gravi e ne avvertiva il pericolo. Fin dal 1811, più di 250 aggressioni a mano armata sulle pubbliche vie, più di cento invasioni nelle case private, con assassinj e ferimenti, dimostravano a che debole filo tenesse la pubblica sicurezza, il sintomo ordinario da cui si può giudicare il pregio di un governo.

      Quando comincia la campagna di Russia, e il principe Eugenio deve partire per l'esercito, conducendo seco il fedele Méjean, le cure dello Stato ricadono forzatamente sulle spalle del Duca di Lodi, la cui corrispondenza col Vicerè e coll'Imperatore diventa più minuta e più frequente. E, quando giungono le prime notizie dell'immane disastro, che piomba nel lutto tante migliaja di famiglie italiane, Melzi non esita ad informare Eugenio della molta concitazione di animi che si manifesta a Milano e dell'avversione che comincia a destare una politica così spensieratamente ed ostinatamente guerriera.

      In cosiffatte circostanze, le preoccupazioni del Vicerè si rivolgevano alla Corona di Ferro, e scriveva a Melzi (il 7 novembre 1813) che “se si dovrà evacuare il territorio e ritirarsi a Torino, incarichi Pino di recarsi a Monza e trasportare in salvo la Corona ferrea.„ Poi, da Verona (il 27 novembre) risponde agli avvisi di Melzi una lettera piena di amarezza, quantunque non priva di alti sentimenti. “Sono abbastanza sicuro del mio carattere per garantire che quelli che non avranno ferito che me non avranno motivo d'accorgersi che io mi sovvenga dei loro torti… Io meritavo meglio di quello che ho ricevuto… mi rimarrà, ne son certo, la stima degli uomini che, come voi, hanno potuto e voluto valutare le mie intenzioni e giudicare le mie azioni. L'opinione di questi mi basta12.„

      Ma il vecchio uomo di Stato non s'illudeva più da assai tempo intorno alla crisi del sistema napoleonico. E invano l'imperatore gli scriveva da Parigi il 18 novembre (1813): “J'ai ici 800,000 hommes en mouvement et, quelque chose qui arrive, les Autrichiens ne resteront point maîtres de l'Italie13.„ Melzi accettava con rispettoso silenzio queste ultime confidenze del genio morente, ma non si lasciava avvolgere in quelle deliranti speranze.

      Sicchè il 1.º febbrajo 1814, il principe Eugenio, che fronteggiava sull'Adige le schiere nemiche, riceveva dal Gran Cancelliere una lettera grave, che conteneva gravi consigli. Lo scongiurava a differire il richiamo dei figli unici nella nuova coscrizione militare “pour calmer la douleur des nombreuses familles qui y sont interessés.„ Gli pareva che importasse “dans l'heure qu'il est„ di allontanare “tout sujet de desagrément autant qu'il est possible, et de ne pas laisser à l'ennemi l'occasion de se concilier l'affection du peuple, en exécutant lui quelques jours après ce que nous aurions pu executer quelques jours avant14.„ Soggiungeva il Melzi: “l'expérience des mois passés nous a prouvé que sur dix hommes qu'on appelle, il y en a six ou huit qui deviennent réfractaires et grossissent la masse des assassins„; tanta era già divenuta la ripugnanza del popolo al servigio militare e tanta già l'impotenza amministrativa a renderlo obbligatorio! Nè alle sole questioni militari si limitavano i suoi consigli, ma sentendo già profondo anche il malcontento finanziario, gli suggeriva di condonare parecchie quote non soddisfatte di un prestito forzato che alcuni mesi prima, dal suo quartier generale di Caldiero, il Vicerè aveva decretato, e che il Melzi affermava “malissimo basato fin dal principio.„ Fu inutile. Stimolato dalle pressioni dell'Imperatore, Eugenio metteva la sua forza nell'obbedirgli, nel racimolare ad ogni costo, per le ultime sue disperate campagne, armi, denari, soldati.

      Gli è in queste circostanze che avviene e si annuncia lo scroscio del sistema napoleonico. Desiderato da molti, previsto da pochi, questo scroscio è cagione per tutti di una incertezza che s'avvicina allo sgomento. S'era così avvezzi a girare intorno a quel sole! Il suo sparire dovette fare su quelle generazioni l'effetto che cagiona una caduta nel vuoto. Eppure l'Europa s'avanzava tutta in armi, accintasi a debellare un uomo; e le nazioni allibite non sapevano a chi confidarsi, tra quella fiumana di principi che, traendosi dietro un milione di soldati, parlavano un linguaggio novo di pace, di nazionalità, e quel colosso che si sprofondava in silenzio, guizzando lampi di gloria, tra le bufere scatenate СКАЧАТЬ



<p>11</p>

Federico Coraccini, Storia dell'Amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese.

<p>12</p>

Archivio Melzi d'Eril.

<p>13</p>

Archivio Melzi.

<p>14</p>

Archivio Melzi.