Lebenskunst nach Leopardi. Группа авторов
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СКАЧАТЬ Tiedemann-Bartels. Frankfurt a.M.: Suhrkamp 1972.

      Blasucci, Luigi: «I registri della prosa: ‹Zibaldone›, ‹Operette›, ‹Pensieri›», in: id.: Lo stormire del vento tra le piante. Testi e percorsi leopardiani. Venezia: Marsilio 2003 (Testi e studi leopardiani, 4), 101–123.

      De Sanctis, Francesco: Opere. Vol 13. Leopardi. A cura di Carlo Muscetta / Antonia Perna. Torino: Einaudi 1960.

      Dotti, Ugo: Il savio e il ribelle. Manzoni e Leopardi. Roma: Editori Riuniti 1986.

      Galimberti, Cesare: Cose che non sono cose. Saggi su Leopardi. Venezia: Marsilio 2001 (Testi e studi leopardiani, 2).

      Guarracino, Vincenzo: Guida alla lettura di Leopardi. Milano: Mondadori 1998.

      Luporini, Cesare: Decifrare Leopardi. Napoli: Macchiaroli 1998.

      Rigoni, Mario Andrea: Il Pensiero di Leopardi. Prefazione di Emil M. Cioran. Milano: Bompiani 1997.

      Savoca, Giuseppe: Giacomo Leopardi. Roma: Marzorati / Editalia 1992.

      Severino, Emanuele: Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età tecnica: Leopardi. Milano: Rizzoli 1990.

      Leopardi persuasore di vita?

      Leopardi als Lebensbejaher?

      Antonio Panico

      I due personaggi del Dialogo di Plotino e di Porfirio intrattengono un’intensa discussione intorno alla legittimità del suicidio. Porfirio, la mente affetta dalla verissima pazzia della ragione, manifesta l’intenzione di uccidersi, nella nichilistica consapevolezza della vanità delle cose. Plotino, l’uomo del sentimento, si sforza di convincere l’amico a mettere da parte il suo proposito, appellandosi a quella natura originaria che ci attacca alla vita e ci spinge all’amicizia e al conforto reciproco. Il Dialogo si svolge intrecciando la logica stringente delle argomentazioni di Porfirio (che richiama l’antico Egesia persuasore di morte) e le rassicuranti ragioni del cuore espresse da Plotino (che ancora crede nel «sogno di Platone»), in una tensione drammatica che non lascia spazio – nella lettura che proponiamo – ad alcuna conclusione definitiva, che resta così sospesa tra il silenzio insondabile di Porfirio, che sembra sottintendere la rinuncia a continuare qualsiasi discorso, e l’ultima parola di Plotino, che nonostante tutto incoraggia ancora a vivere. È in gioco l’indagine dello stesso Leopardi, sono chiamati in causa i diversi momenti e le faticose acquisizioni del suo ragionare, che si intersecano e si condizionano sul piano dialettico, alla ricerca di una sintesi che – a nostro avviso – non si lascia intravedere. Si confrontano le sue due anime tormentate, l’uomo secondo natura e il mostro secondo ragione, la spinta irriducibile della speranza e la persuasione necessaria della morte come unica via d’uscita, in un dialogo impossibile che rivela la contraddittoria e irrisolvibile coesistenza di due sguardi sul mondo che, di fronte alla Natura matrigna e nel deserto del senso, pure richiedono lo stesso coraggio.

      Die beiden Figuren des Dialogs zwischen Plotin und seinem Schüler Porphyrios führen eine intensive Diskussion über die Legitimität des Selbstmords. Porphyrios, dessen Verstand vom wahrhaftigsten Wahnsinn [Zib. 104] der Vernunft befallen ist, bezeugt – im nihilistischen Bewusstsein der Nichtigkeit des Seins – die Absicht, sich das Leben zu nehmen. Plotin, der Gefühlsmensch, bemüht sich, den Freund zu überzeugen, von seinem Plan abzulassen, indem er sich auf jene ursprüngliche Natur beruft, die uns am Leben hängen lässt und uns zur Freundschaft und zum gegenseitigen Trost drängt. Der Dialog entwickelt sich, indem er die stringente Logik der Argumente des Porphyrios (der an den antiken Hegesias als Bejaher des Todes erinnert) und die beruhigenden und emotionalen Gründe Plotins (der noch an den ‹platonischen Traum› glaubt), auf eine dramatische Weise verflicht, die – gemäß der hier vorgeschlagenen Lektüre – keinen Raum lässt für eine irgendwie geartete, endgültige conclusio. So entsteht eine Spannung, die in der Schwebe bleibt zwischen dem unergründlichen Schweigen des Porphyrios, das den Verzicht auf jegliche Fortsetzung des Gesprächs nahezulegen scheint, und dem letztem Wort Plotins, der trotz allem immer noch dazu ermutigt weiterzuleben. Hier geht Leopardis eigene Auseinandersetzung mit dem Thema ein; in Frage gestellt werden die unterschiedlichen Phasen und die mühsam errungenen Resultate seines Nachdenkens, die sich überschneiden und dialektisch bedingen, auf der Suche nach einer Synthese, die sich – unserer Meinung nach – nicht erkennen lässt. Es stehen seine beiden gequälten Seelen einander gegenüber, der naturgemäße Mensch und das vernunftgemäße Ungeheuer, der unbeugsame Drang der Hoffnung und die notwendige Überzeugung, dass der Tod der einzige Ausweg sei, in einem unmöglichen Dialog, der die widersprüchliche und unauflösbare Koexistenz zweier Sichtweisen auf die Welt enthüllt, die in Anbetracht der ‹stiefmütterlichen Natur› und der Wüste des Sinns, doch denselben Mut erfordern.

      Parole chiave: natura, ragione, vita, suicidio, illusione

      Schlagwörter: Natur, Vernunft, Leben, Suizid, Illusion

      Il coraggio di sopportare

      tutto il peso del dolore,

      il coraggio di navigare

      verso il nostro libero mare,

      il coraggio di non sostare

      nella cura dell’avvenire,

      il coraggio di non languire

      per godere le cose care.

      (Carlo Michelstaedter, I figli del mare, vv. 150–1571)

      Nel ragionare intorno alle Strategie anti-pessimistiche nell’opera di Giacomo Leopardi, questo lavoro intende soffermarsi in particolare sul Dialogo di Plotino e di Porfirio del 18272. Una lettura in chiave positiva di questa operetta, che avrebbe come sbocco ideale la Ginestra3, rappresenta un argomento significativo in favore dell’anti-pessimismo di Leopardi, che nella fase matura del suo pensiero, alla visione tragica della nullità delle cose – risultato ultimo della sua filosofia –, si sforzerebbe di opporre le ragioni dell’«amicizia» richiamata da Plotino, nel suo inno alla vita nelle battute finali del Dialogo, e il motivo della «social catena» degli uomini, invocata dalla «nobil natura» della Ginestra4. Il fiore del deserto diviene così il simbolo di un’umanità che cerca riscatto sulle ceneri prodotte dalla forza annichilente del Vesuvio, volto terribile della Natura che, come aveva già scoperto l’Islandese, mostra di non avere nessuna cura per gli uomini5.

      Rileggendo il Dialogo di Plotino e di Porfirio ci siamo via via convinti della necessità di una maggiore cautela interpretativa e dell’esigenza di adottare un punto di vista problematizzante. In quest’ottica proviamo qui a considerare il Dialogo, interrogandoci su pessimismo e anti-pessimismo in Leopardi, senza dare per scontata alcuna presa di posizione definitiva. In questa sede, dunque, ci proponiamo di prendere in esame il Dialogo – dedicato, com’è noto, al suicidio, questione presente in Leopardi già a partire dal Frammento sul suicidio6 e che, come si evince dai Disegni letterari7, sarebbe stata sviluppata in una progettata operetta intitolata Egesia pisatánato, per poi essere ampiamente trattata in tutto il complesso percorso dello Zibaldone8 – alla luce di interrogativi che, a nostro avviso, non hanno una facile soluzione.

      Nel Dialogo Leopardi mette in forma letteraria la sua riflessione filosofica sul suicidio – quale emerge in particolare nello Zibaldone –, facendo confrontare dialetticamente due punti di vista antitetici: СКАЧАТЬ