Lebenskunst nach Leopardi. Группа авторов
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Читать онлайн книгу Lebenskunst nach Leopardi - Группа авторов страница 18

СКАЧАТЬ dei viventi è necessaria: vivere significa inevitabilmente volere e non poter essere ciò che si vuole, e in questa incapacità sentita e vissuta come continua insufficienza consiste l’infelicità; il suicidio è un dato di fatto: noi vediamo che tra i viventi vi è chi giunge a togliersi la vita spontaneamente. La natura ha in sé la contraddizione: cade il principio di non contraddizione, stanno insieme il vivere e l’infelicità, l’essere e il non-essere. La natura rivela le sue «mostruosità»: rimane per noi incomprensibile come sia possibile che sia bene il male (l’infelicità), che sia meglio non vivere (il non-essere).

      Alle spalle del confronto dialettico tra i due protagonisti del Dialogo vi è questa profonda diversità di vedute. Porfirio conclude il suo discorso nel segno della radicalità della ragione18:

      in fine, noi possiamo conoscere che (eccetto il timor delle cose di un altro mondo) quello che ritiene gli uomini che non abbandonino la vita spontaneamente; e quel che gl’induce ad amarla, e a preferirla alla morte; non è altro che un semplice e un manifestissimo errore, per dir così, di computo e di misura: cioè un errore che si fa nel computare, nel misurare, e nel paragonar tra loro, gli utili o i danni. Il quale errore ha luogo, si potrebbe dire, altrettante volte, quanti sono i momenti nei quali ciascheduno abbraccia la vita, ovvero acconsente a vivere e se ne contenta; o sia col giudizio e colla volontà, o sia col fatto solo. (DPP 565)

      Plotino, invece, rilancia ancora la natura:

      lascia ch’io ti consigli, ed anche sopporta che ti preghi, di porgere orecchie, intorno a questo tuo disegno, piuttosto alla natura che alla ragione. E dico a quella natura primitiva, a quella madre nostra e dell’universo; la quale se bene non ha mostrato di amarci, e se bene ci ha fatti infelici, tuttavia ci è stata assai meno inimica e malefica, che non siamo stati noi coll’ingegno proprio, colla curiosità inaccessibile e smisurata, colle speculazioni, coi discorsi, coi sogni, colle opinioni e dottrine misere: e particolarmente, si è sforzata ella di medicare la nostra infelicità con occultarcene, o con trasfigurarcene, la maggior parte. (DPP 565sq.)

      Nell’ultimo momento del Dialogo, all’esortazione finale in favore della vita da parte di Plotino corrisponde il silenzio di Porfirio. La natura chiama ancora alla vita (Plotino), anche se la ragione ha tirato le somme e ha concluso per il rifiuto della vita (Porfirio). Il Dialogo si chiude con l’ultima parola di Plotino o, si può anche dire, si interrompe quando Porfirio trae le logiche conseguenze del suo ragionamento. L’accorato appello di Plotino è una disperata richiesta di amore e di vita che viene dalla natura, l’atteggiamento di chiusura e silenzio di Porfirio rappresenta il punto di non ritorno della logica infallibile della ragione. È una dialettica inconclusa: Plotino parla ancora con la forza del sentimento, Porfirio si vede costretto a tacere, perché nell’ottica della ragione pura nessuna replica sarebbe ancora possibile. Con le sue ultime parole Plotino implora ancora una volta l’amico a desistere, Porfirio soffre in silenzio la rinuncia di chi sa che la verità comunicata non può essere compresa fino in fondo. Le due anime leopardiane – la spinta per la vita e la coscienza della legittimità del suicidio – vivono qui il momento di massima tensione e al tempo stesso rivelano la loro incolmabile distanza.

      Si può leggere la conclusione del Dialogo – e a questo punto bisogna sospendere il giudizio su quale sia la conclusione leopardiana – limitandosi ad ascoltare l’appassionata perorazione di Plotino, tanto debole sul piano del logos quanto forte su quello del pathos, e a prendere atto del silenzio di Porfirio, nella consapevolezza dell’aporetica coesistenza della speranza irriducibile della vita e della persuasione necessaria della morte. Plotino è la voce del sentimento,19 di una ragione misurata usata per la vita e non contro la vita,20 Porfirio esprime il silenzio di una ragione assoluta che non accetta compromessi con le retoriche della vita. La scelta è tra l’essere uomo secondo natura o mostro secondo ragione (cf. DPP 567), ma è una scelta impossibile, perché l’uomo che con la natura riaccende le illusioni e le speranze necessariamente convive con il mostro che con la ragione le spegne.

      La preghiera finale di Plotino lascia trasparire uno spiraglio di luce al cospetto del silenzio insondabile di Porfirio:

      Ora io ti prego caramente, Porfirio mio, per la memoria degli anni che fin qui è durata l’amicizia nostra, lascia cotesto pensiero; non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni, che ti amano con tutta l’anima; a me, che non ho persona più cara, né compagnia più dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vita, che così, senza altro pensiero di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quell’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora. (DPP 569sq.)

      Plotino apre alla possibilità di un campo di strategie anti-pessimistiche con cui la verità persuasa al suicidio può riscattarsi nell’illusione che ci tiene attaccati alla vita: il richiamo all’amicizia come condizione necessaria per la costituzione della comunità degli uomini; la disponibilità a soffrire insieme, a confortarsi reciprocamente, a tenersi compagnia e a darsi soccorso per affrontare le sfide che la vita presenta; la disposizione ad attendere la morte con serenità e giudizio e con la speranza del conforto dei propri cari e del ricordo dei posteri come incentivi ad agire, a difendersi, a continuare a lottare.

      Porfirio è vero sapiente perché ha imparato a morire, ma è vero sapiente anche chi si sforza di recitare la parte avuta in sorte, di resistere alle insidie e ai colpi della Fortuna, per quanto impari siano le forze in gioco. Rifiutare la vita con ponderata e saggia decisione, ma anche affrontarla con distacco nella lucida consapevolezza del suo scarso valore, per quanto possano sembrare posizioni agli antipodi, pure richiedono lo stesso coraggio. Scriverà Leopardi nello Zibaldone: «il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti, senza eccezione. Terribile ed awful è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire» (Zib. 4391). Il peso dell’angoscia di chi è persuaso a morire (Porfirio) e la leggerezza di chi vive la vita pur non tenendola in gran conto (Plotino) insistono nello stesso dramma.

      Bibliografia

      Leopardi, Giacomo: Prose scelte di Giacomo Leopardi per le persone colte e per le scuole. A cura di Manfredi Porena. Milano: Hoepli 1921.

      —: Canti. Introduzione, commenti e note di Fernando Bandini. Milano: Garzanti 1975.

      —: Poesie e prose. A cura di Rolando Damiani e Mario Andrea Rigoni con un saggio di Cesare Galimberti. 2 vol. Milano: Mondadori 1987–1988.

      —: Zibaldone. Edizione commentata e revisione del testo critico a cura di Rolando Damiani. 3 vol. Milano: Mondadori 1997.

      —: Operette morali. A cura di Laura Melosi. Milano: Rizzoli 2008.

      Michelstaedter, Carlo: Poesie. A cura di Sergio Campailla. Milano: Adelphi 1987.

      Campailla, Sergio: La vocazione di Tristano. Storia interiore delle Operette morali. Bologna: Pàtron 1977.

      Capitano, Luigi: Leopardi. L’alba del nichilismo. Napoli / Salerno: Orthotes Editrice 2016.

      Severino, Emanuele: Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: СКАЧАТЬ