Название: Gli amori
Автор: Federico De Roberto
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066071165
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UN'INTENZIONE DELLA DUFFREDI
Contessa mia,
Sia lodato il sommo Iddio! Finalmente ci siamo posti d'accordo! Ella approva pienamente la condotta della signora di cui le narrai nell'ultima mia lettera la curiosa avventura e riconosce che quel capitano, degno soltanto di compassione se avesse atteso al suo mestiere guerresco — ma non avrebbe potuto sceglierne, in verità, uno più adatto alla nativa mitezza dell'indole sua? — fu degno dello schiaffo somministratogli dalla donna troppo idealmente amata.
Ella conviene espressamente con me sul significato di quel fatto; anzi — sia onore al suo spirito — istituisce in proposito alcuni paragoni molto, come si dice, calzanti: «La castità del vostro capitano,» (perchè mio, poi?) «somiglia al nobile disdegno della volpe per l'uva alla quale non poteva arrivare. S'intende,» ella soggiunge, «che non c'è merito se non c'è sforzo, e quando si parla di resistenza agli istinti, la prima cosa è che gl'istinti operino; come quando voi volete fare un intingolo di lepre dovete cominciare col prendere una lepre.»
Bene! Benissimo! Mi consenta tuttavia di farle osservare che la quistione era un'altra e che, per colpa [pg!50] senza alcun dubbio mia, ora essa mi pare vicina a fuorviare. Il punto dal quale partimmo è questo: le realità dell'amore, alle donne che danno a intendere di non apprezzarle, sono infatti così indifferenti come esse dicono? Che, nonostante l'innegabile loro calma, esse esagerino un poco nelle dichiarazioni d'indifferenza, io ho tentato di provarle; ora questo appunto ella negava. Forse, anzi certamente neppur ora si arrenderà. Ella già dice che l'avventura del capitano non prova niente, già mi butta il suo guanto sfidandomi a una più luminosa dimostrazione; ed io mi precipito a raccogliere il morbido e odoroso involucro della sua bella mano. Se vinco, me lo lascia come trofeo?
Diciamo dunque — o meglio dico io soltanto, per ora — che queste benedette realità non sono poi tanto disprezzate nel fatto quanto a parole. Certo, il primo patto che quasi tutte le amate pongono ai loro amanti è di contentarsi... delle sole parole. Questa è una cosa tutta istintiva; è la naturale riluttanza della femmina a cedere; riluttanza notabile in tutta la scala animale. Nella prima fase, adunque, la resistenza è proprio sincera. È sincera fino all'ultimo? Non si può credere, perchè ha pur da arrivare un momento nel quale il secondo istinto, l'istinto di cedere, fa udire finalmente la sua voce e, se proprio non reprime e soffoca quell'altro, viene certamente in contrasto con esso. Allora le dichiarazioni di repugnanza non sono mentite? Nelle femmine animali che non pensano, o almeno non parlano, non c'è ipocrisia: finchè l'istinto della resistenza ha il sopravvento, esse resistono, graffiano, mordono, fuggono; quando il secondo predomina, si sottopongono al maschio. Nelle donne, cioè in esseri dotati di coscienza, noi dobbiamo a priori ammettere che debba necessariamente prodursi una contraddizione, un contrasto, il sentimento d'un intimo dissidio. La donna che, obbedendo al primo moto di repulsione, ha messo come patto di non dover pagare di persona, deve necessariamente pentirsi d'avere avuto troppa fretta quando il secondo moto, l'impulso al consenso, si manifesta.
[pg!51] Noi possiamo qui trovare fra parentesi, amica mia, un'altra prova di ciò che io ho ripetutamente asserito e che ella ha costantemente negato: cioè la miglior qualità dell'amore maschile. Gli uomini, come maschi, obbediscono sempre a un istinto solo: quello della conquista. Essi sono coerenti, logici, sinceri; vedono la donna, la desiderano; desiderandola, fanno di tutto per ottenerla. Tutti i loro atti sono direttamente rivolti a uno scopo nettamente definito: la loro volontà è ferma, la loro costanza strenua. Le donne invece, dibattendosi fra la repulsione e l'inclinazione, disvogliono e vogliono, dicono una cosa e ne pensano un'altra, si ritraggono mentre starebbero per cedere, cedono quando stanno per ritrarsi, non sanno che cosa sentano veramente, tengono una condotta ambigua, e dicono parole false. E l'insistenza degli uomini non è soltanto lodevole ma provvidenziale; giacchè grazie ad essa le incoscienti creature escono finalmente dall'ambiguità e, cedendo nonostante le prime dichiarazioni di repugnanza, se la cavano col fingere, all'ultimo, una vergogna e un rimorso poco sinceri.
Ma supponiamo un caso che si sarà dato realmente chi sa quante volte, supponiamo che la supplice resistenza della donna abbia persuaso l'uomo a desistere ed a tralasciare il suo atteggiamento aggressivo. Se quest'uomo si sarà persuaso, per far piacere all'amata, di non chiederle più nulla, che cosa dovrà provare costei quando sarà disposta ad accordare ciò che non le è più chiesto? Dovrà ella stessa istigare il suo rassegnato compagno? Le precedenti dichiarazioni non glielo consentono: chiedendo ora ciò che prima rifiutava, costei temerà giustamente d'essere mal giudicata. Dovrà dunque a sua volta comprimere, come ha voluto che lo comprimesse l'uomo, il suo desiderio? Non cercherà un modo d'uscire da questo imbarazzo per non prolungare l'attesa troppo penosa?... Il fatto ch'io voglio narrarle si riferisce appunto a questa situazione. Dico fatto perchè ho preso l'abitudine di dire così; ma ella troverà qui narrata un'idea, un'intenzione, l'indizio d'uno stato d'animo, più che un vero e proprio avvenimento.
[pg!52] Ella conosce la protagonista, ed io glie ne dico subito il nome. E' Donna Teresa Uzeda Duffredi di Casaura. La vita di questa donna fu per me altra volta argomento d'un lungo studio, che le dispiacque un po' meno degli odierni ragionamenti sull'amore, ma che pur le dispiacque. Con la benevola indulgenza che mi ha sempre — almeno prima d'ora — accordata, ella volle trovare parole troppo lusinghiere per l'arte con la quale trattai quel soggetto, ma si dolse che, fra centinaia e centinaia di soggetti, io pensassi di scegliere proprio quell'uno. Pure concedendo che quella donna non meritasse la severità con la quale il mondo la giudicò, ella avrebbe preferito ch'io mi fossi esercitato intorno a un argomento più nobile. Ormai il fatto è fatto, e procurerò di contentarla meglio un'altra volta. Non starò neppure a difendere qui Donna Teresa e non dirò che fosse vittima inconsapevole dell'eterna illusione e che non volle e non meritò il suo triste destino. Certo fu una disgraziata. L'eredità del vizio, gli esempii che le furono troppo presto e nella stessa famiglia posti dinanzi, la disgrazia d'un marito incapace di darle soccorso, anzi quasi intento a precipitarla nel baratro, spiegano com'ella dovesse fatalmente precipitarvi. Non cadde una sola volta, è vero. Ma l'incapacità dei disinganni a salvarci dal persistente allettamento delle illusioni e la logica inesorabile delle situazioni false dovevano produrre questo effetto, immancabilmente. Se io m'indugiai a studiare quella vita che a lei non parve degno soggetto di storia, ciò fu appunto per rendermi e per rendere altrui ragione di questa fatale persistenza dell'illusione a dispetto degli ammaestramenti dell'esperienza. Tutti i romanzi ci narrano la storia di qualche colpa, e l'adulterio è il tema eterno delle opere d'arte. Ora l'arte che s'interessa ad una colpa, scusandola e dimostrandone la fatalità, non ci aveva ancora interessati a tutta una vita di colpe altrettanto fatali quanto la prima. I romanzieri, dopo aver narrato l'adulterio, lasciano l'adultera in asso, non ci dicono che cosa è poi accaduto di lei e talvolta la fanno più comodamente morire. Nella realtà [pg!53] la morte viene raramente a sciogliere le false situazioni; e se qualche rarissima volta le adultere riscattano nella restante lor vita l'unica colpa, quasi sempre fatalmente trascorrono di errore in errore. Madame Bovary, alla quale taluno volle immeritevolmente paragonare Teresa Duffredi, ebbe dopo il primo un secondo amante. Quante non sono le donne che ne hanno avuto tanti che non saprebbero neppure esse noverarli? Perchè mai, dunque, l'arte non avrebbe da studiare una di queste vite tanto avventurose? Certamente molte, e se vuole dirò anche la quasi totalità di simili donne, sono incapaci d'ogni più fugace sentimento, e le meccaniche loro cadute, potendo forse interessare gli scienziati delle cliniche, non hanno nulla che attiri l'attenzione dell'artista; alcune tuttavia, e siano pure pochissime, obbediscono a qualche sentimento, comprendono il rimorso, non cadono senza qualche lotta, invidiano quelle che restarono pure, sono insomma degne di studio. La Duffredi ebbe, da ventisei a quarant'anni, cinque amanti, mettendo nel conto quell'Aldobrandi che, per adoperare la frase del giocondissimo Armand Silvestre, le diede soltanto qualche idea sui tributi indiretti.... Alcuni pensano che cinque amanti siano troppi. Che cosa direbbero costoro se io dicessi che sono pochi e che un artista più abile di me imprenderà un giorno a scrivere la storia d'una di quelle СКАЧАТЬ