L'Illusione. Federico De Roberto
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Название: L'Illusione

Автор: Federico De Roberto

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069858

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СКАЧАТЬ alzava con un'oppressione fisica, una nausea, un disgusto per tutte le cose, per le volgarità dell'esistenza a cui doveva sottostare e che l'eguagliavano alla folla da cui si sentiva tanto diversa. Rifiutava i cibi, avrebbe voluto nutrirsi d'aria, finiva per procurarsi qualcuno dei soliti attacchi nervosi. Più degli eroi di quei libri, ella amava le eroine: la solidarietà del sesso l'induceva ad attaccarsi alle donne; e poi, non erano esse le arbitre dei destini umani? E le lunghe descrizioni, le pagine piene di narrazione fitta l'infastidivano: ella ne saltava molte, per arrivare ai colloquii d'amore, alle scene dolci e tremende, alle catastrofi improvvise, che la lasciavano sbalordita, con la fronte scottante. Che lacrime le costavano quei libri! Di quale amore cocente e struggente ne amava i personaggi! Ella le vedeva tutte, quelle grandi amate di cui si narravano le storie fortunose: i loro nomi le risuonavano continuamente all'orecchio: Andreina, Matilde, Emma, Cecilia. Il suo proprio nome era bello, ma ne pensava degli altri, invidiava le sue conoscenze che ne avevano di più belli, romantici: Giulia, Eleonora, Enrichetta; avrebbe voluto chiamarsi Marcella, Lidia, Remigia; o portare dei nomi stranieri: Edith, Olga, Nadina. Ed un progetto certe volte le passava per il capo: poichè la sua sorellina era morta, non avrebbero potuto chiamar lei Laura? Sarebbe stato quasi un modo di farla rivivere.

      Scriveva ogni due giorni al nonno, gli riferiva i suoi progressi, gli mandava dei lavorini fatti apposta per lui. Adesso aveva anche il maestro di canto, e superate le prime lezioni noiose cominciava ad imparare il repertorio in voga. V'erano le serenate e le barcarole piene di sospiri flebili e di lacrime cocenti al tremolare della luna sulla laguna; i notturni in cui gli amanti traditi si querelavano nell'abbandono, o prorompevano in accenti di vendetta, o si rassegnavano, continuando ad amare in silenzio, costanti e senza speranza; in cui delle povere pazze vagavano pei cimiteri, a mezzanotte, cercando un nome sopra un freddo marmo; ma v'erano sopratutto le romanze che esaltavano la bellezza sovrana della donna, la sua potenza, il suo fascino. Se le lacrime d'una fanciulla cadevano fra le rose, erano goccie di rugiada; se cadevano in mare diventavano perle; ma un angelo le raccoglieva nel cavo della mano e quel nèttare lo dissetava. Un amante voleva essere l'aura che sfiorava il biondo crine della Bella, il fiore che ella sfogliava, la stella che ella mirava; un altro s'inebbriava al ricordo delle voluttà; tutti avrebbero data la vita per un bacio, per un pensiero. E la musica aveva delle successioni di note che somigliavano a singhiozzi, a grida represse, che imprimevano come un moto di culla; degli accordi gravi, pieni d'angoscia e di mistero; degli arpeggi che sollevavano da terra, che esprimevano l'estasi. Ella sentiva il cuore salirle alla gola, le ciglia inumidirsi. Voleva provare tutto questo nella vita, aspettava una grande passione. Non era così bella da ispirarla? E si guardava allo specchio trovando che rispondeva al tipo ricorrente nei libri. Si guardava le unghie per vedere se erano tagliate a mandorla; il viso era d'un ovale perfetto, la bocca piccola, porporina, i denti di perla, tranne quel canino annerito, che un giorno o l'altro si sarebbe fatto strappare. Le guancie rosee le parevano da fanciulla borghese; ma i capelli non compensavano quel difetto? Lunghi fino ai fianchi, folti, odorosi, oro fuso. Il tipo bruno non aveva però anch'esso la sua seduzione? «Bruna come la notte, come ala di corvo...» Nella sua qualità di siciliana, ella avrebbe dovuto essere piuttosto bruna... Siciliana? Viveva in Sicilia; ma era fiorentina! E mentalmente faceva l'enumerazione di tutti i paragoni del biondo: come l'oro, come un raggio di sole, come le spiche del grano, come l'uva matura... Ella aveva la piena coscienza della propria bellezza; però, tratto tratto l'antica disperazione tornava a prenderla: la sua statura era sempre bassa, a diciassette anni ne mostrava appena quindici; qualcuna delle sue amiche non la prendeva sul serio, la trattava quasi da bambina! Fino a vent'anni, non sarebbe cresciuta? Aveva tempo di rifarsi! Ne domandava al dottore, con l'ossessione di restar nana, lei che non ammetteva se non i personaggi slanciati. Così dava un bel da fare al calzolaio, non trovando mai i tacchi abbastanza lunghi, e la pettinatrice doveva risolvere ogni giorno il problema d'una acconciatura che fosse alta, ma non troppo. Però, gli artifizii riparavano male al difetto, e un giorno le salirono le fiamme al viso, quando Giulia Viscari le disse il sopprannome datole da Enrico Sartana.

      — Come mi chiama?

      — La pupa... dice che non gli fai l'effetto d'una donna, ma d'una bambola...

      Questo Sartana era il figliuolo del duca di Castrovecchio, ed aveva per suo conto il titolo di barone di Lerma. Ella lo aveva visto qualche volta da lontano, trovandolo simpatico; da quel momento, un odio le si scatenò nell'animo contro di lui. Lo aveva soprannominato subito San Giorgio cavaliere, con un tono d'ammirazione derisoria per la sua bellezza fade di biondo ricciuto cogli occhi cilestri.

      — Il cavalier San Giorgio che atterra il Dragone!... — ripeteva, quando lo vedeva passare a cavallo, caracollando. — O Dio, non svenite, solo a mirarlo?... È fatale!...

      — Sei spietata!

      — Non lo posso soffrire!... Se glie lo riferirete, mi fate un piacere!

      Ella se lo vide improvvisamente dinanzi, la sera che sua zia la condusse dagli Alì, dove si ballava: una felicità lungamente aspettata, il suo primo ingresso in un vero salone, dove tutti i giovanotti si contendevano l'onore di ballare con lei. Fu sul punto di dirgli che aveva tutto impegnato e di voltargli le spalle: ma egli era così grazioso, così elegante, che non si fidò. E con una disinvoltura di cui ella non aveva idea e che si lasciava mille miglia indietro i balbettamenti timidi degli altri, egli cominciò a parlarle, a farla ridere a proposito di tutti i tipi comici che si trovavano in quella società.

       — Ti sei lasciata addomesticare? — le chiese Giulia Viscari in un angolo.

      — O Dio, come resistergli?

      Però la sua ironia cominciava a non essere più sincera. Adesso non le riusciva di reprimere un leggiero sussulto, quando lo incontrava. Egli la cercava, tornava a ballare con lei, a darle il contagio del suo riso argentino, pieno d'una simpatia irresistibile, a guardarla con quegli occhi azzurri che dicevano: «Non è vero che siete una bambola; mi piacete!» Una domenica, uscendo di chiesa, la zia si fermò con una signora: era la duchessa di Castrovecchio, sua madre. Il giovedì seguente, venne a far loro visita.

      Ella comprese subito che era stata mandata dal figliuolo. Una gioia immensa le aveva allargato il cuore: il vago sospetto prendeva consistenza: egli era innamorato di lei! Nella voluttà del trionfo, ella beveva l'aria avidamente, si chiedeva: «È vero?» e si rispondeva: «È vero, è vero!» vedendo che egli non lasciava sfuggire un'occasione d'avvicinarla, che si trovava in casa quando andavano con la zia a restituire le visite a sua madre, che la seguiva sino per le strade. E dei feroci propositi di vendetta, alla Montecristo, l'animavano: voleva civettare con lui, fargli perdere la testa, lasciarlo struggere d'amore come i Reuzzi delle fiabe!... E lei? era sicura di non volergli bene anche lei?... Non lo trovava simpatico, elegante, spiritoso?.. Allora? Non importava, bisognava farlo soffrire. E spiegava con lui tutta la sua civetteria, si voltava a guardarlo profilando tutto il busto ed il viso, sollevando una spalla, stringendo le braccia ai fianchi, per mostrare tutte le linee del corpo; allungava talvolta un piede che egli divorava cogli occhi, ma che lei ritirava repentinamente dopo un poco, fingendo d'accorgersi a un tratto di quegli sguardi indiscreti; quando aveva vicina Giulia od Enrichetta, passava un braccio attorno alla vita dell'amica, le parlava all'orecchio, la baciava in viso, per tormentarlo con lo spettacolo di quelle carezze; al ballo, lasciava cadere un guanto, il fazzoletto, un fiore, qualche cosa tutta piena di lei, osservando di sbieco l'espressione appassionata con cui egli se ne impossessava per rendergliela. I loro incontri si venivano moltiplicando: riunioni in cui si faceva della musica e che poi finivano in saltate generali, feste in tutte le forme, dal principe d'Alì, dal marchese Carìbici; balli in maschera, veglioni al teatro. Tanti giovanotti ora le stavano intorno: ella sentiva la reputazione di bellezza, di eleganza, di spirito che la circondava; e nell'atmosfera calda e profumata dei saloni viveva come nell'ambiente vitale. Adesso lo studio noioso, pedantesco, era smesso del tutto: restavano la musica e la lettura: la musica che le assicurava dei trionfi quando, senza farsi troppo pregare, si metteva al piano e con una disinvoltura da concertista teneva tutta la sala intenta; la lettura che alimentava continuamente il lavoro della fantasia. Ella si ripeteva incessantemente: СКАЧАТЬ