L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: L'assedio di Firenze

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066069841

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СКАЧАТЬ nuda di capelli, di corona e di pensiero, ridendo scriveva: «Qui dentro giace sepolto l'intelletto di Carlo V imperatore!»

      Però da questo tempo a quello in cui si era ristretto a parlamento con Clemente VII ci correranno trent'anni: adesso egli gode meditando che ne' suoi regni non tramonta mai il sole: — anela portare il mondo sul pugno come dal paggio si costuma il falcone; due soli potenti intende che abbiano a temere i mortali nel creato! lui in terra, Dio nel cielo.

      Clemente papa, scuoti la polvere del tuo sepolcro, rompi la lapide e mòstrati qual eri allora e quali disegni concepivi: mòstrati insomma quale apparrai nella valle di Giosafatte. Ricusi forse svegliarti dal tuo sonno di marmo? Dirai che al cospetto dell'Eterno soltanto vuoi comparire il giorno del giudizio? Esci: la storia apparecchia il giudizio di Dio e rimuove dalle tombe degl'iniqui la mala erba dell'oblio, onde vi cada intera la maledizione delle schiatte succedentisi nei secoli. Vorrai forse minacciare me de' tuoi fulmini? Ben altri fulmini che non furono i tuoi stanno spenti a Sant'Elena. I nostri pargoli adesso getterebbero via le tue scomuniche come trastulli vieti, — i giullari non vorrebbero rammentarle neanche come facezie. — O san Pietro glorioso, sarebbe il mondo diventato tutto luterano? Mi pare che strilli dal fondo del suo avello cotesto snaturato figliuolo di Firenze. — No, no, confórtati, papa Clemente; te, Lutero, Calvino, quanti vi hanno preceduto, quanti vi hanno seguito, mitre, corone, porpore, cappucci, Numa, le leggi delle XII tavole, sant'Ignazio da Loiola, Leopoldo I, san Domenico, e tutto quello che fu, il Destino ripose dentro immanissima urna, e l'agita, l'agita, finchè la sorte o la ragione non venga ad estrarne l'arcano della umana felicità. — Esci dunque, Clemente. Ecco, secondo il costume dei papi e dei re, tu vesti un manto vermiglio. A quanti oppressori vissero di sangue talentò mai sempre il colore rosso, — certo perchè non vi si distinguesse sopra quel sangue! O sciagurati! Dio discerne il sangue del popolo dal sangue della porpora. La tua barba diventò bianca per gli anni, il tuo volto rugoso, le pupille ti tremano sotto le ciglia come alla lepre, il corpo hai irrequieto, ogni rumore ti mette spavento. Nessuno ti sta alle spalle; chiudesti di tua mano le porte, e non pertanto ti volgi improvviso dubitando che sopraggiunga Alarcone[64], il quale, prigioniero fuggitivo, ti riconduca in castello Santo Angiolo; o il più fiero Giorgio Frandesperg, che adempiendo al suo giuramento ti getti al collo il capestro d'oro[65]. La fama di prudente, conseguìta in tanti anni di ministro di Leone X, ti sei divorato in un giorno di papa[66]; su la cima delle umane grandezze la vertigine ti ha preso; la tua mente è sabbia dove il pensiero fabbrica, la paura rovina. Tu giaci sull'orlo dell'avello, ma i tuoi concetti non appartengono alla pace eterna; se innalzi un braccio, lo fai per percuotere; se stendi una mano, lo fai per rapire. Nel naufragio del tuo pensiero rimase a galla solo un'idea, e tu la vieni afferrata come la tavola di salute. — Tu ami il tuo bastardo, e tu pure, Clemente, sei tale[67]: papa Lione ti concesse la dispensa, sicchè tu potesti arrampicarti per tutta la scala della gerarchia ecclesiastica; però in faccia al mondo non v'ha cosa che valga a salvarti dall'onta degl'illegittimi natali; — il tuo bastardo è camuso, ha i capelli crespi, le labbra tumide, brutto di corpo, di anima più brutto.... Beatissimo Padre, ti saresti per avventura mescolato in amore con una schiava africana[68]? Ah! quantunque illegittimo figlio di Giuliano dei Medici, io mi aspettava da te gusto migliore pel bello; — pure sei padre e lo ami. Dura condizione dei potenti, che, buoni sieno o tristi i loro affetti, tornino del pari perversi ai propri simili! Stravolto adesso da cotesto amore, che cosa gl'importa il giusto e l'onesto? Ad ogni costo egli vuole deporre una corona su quel capo di moro. Se lo poteva, avrebbe lui convertito la tiara di pontefice in diadema da re; non riuscendogli, si volse altrove a lacerare il manto d'Italia per girargliene un brano sopra la spalle; gli si offerse la patria libera, bella e innocente, o se pure delitto alcuno era in lei, colpevole di avergli dato la vita. — Non importa: quand'anche del metallo della croce che soprasta la cupola del duomo di Firenze, quando anche dei merli del Palazzo Vecchio, — quando delle ossa de' suoi concittadini dovesse formargli la corona, basta ch'ei sia coronato! Fra brevi anni di lui rimarrà un pugno di polvere; — i presenti lo malediranno e i futuri; — che importa? Lo esecrino, purchè lo temano; diventi polvere, perchè coronata.

      «Gloria in excelsis Deo, et in terra pax!» riprese Carlo V, come continuando un discorso interrotto, e si alzò accostandosi al fuoco. «La pace è fatta. Vi pare egli che quanto promisi all'arcivescovo di Capua in Barcellona vi confermi adesso, Beatissimo Padre? Sebbene nella impresa di vostra casa occorrano i gigli di Francia[69], i Medici domineranno Fiorenza.»

      «Ma fin qui io non veggo....», interruppe il pontefice, e poi si rimase esitante a librare se il concetto che stava per esprimere potesse riuscire di troppo sgradito all'imperatore; — pure essendogli forza aprire manifestamente l'animo suo, con voce un poco più dimessa soggiunse: «Ma fin qui io non veggo che promesse di promesse, mentre per me si devono di presente adempiere le condizioni del trattato.»

      «L'esperienza lunga che avete, Beatissimo Padre, degli umani negozii vi farà di leggieri comprendere non derivare da mala volontà l'inadempimento momentaneo delle mie promesse; ciò avviene perchè di natura loro riguardano a tempo successivo. Onde preporre la vostra famiglia alla suprema autorità di Fiorenza, bisogna adoperarvi le armi; onde restituire alla Chiesa Ravenna, Ferrara e gli altri Stati perduti, bisogna ancora adoperarvi le armi; perchè il ducato di Milano prenda il sale dai vostri dominii, fa di mestieri che il tempo gliene apparecchi la necessità.»

      «Sì, ma finalmente le guarentigie non guastano nulla.... e l'arcivescovo di Capua ve ne dovrebbe avere toccato a Barcellona...., e la Maestà Vostra dava il suo imperiale consenso....»

       «Non basta forse a papa Clemente la promessa di Carlo imperatore?»

      «Promesse! trattati!» replicò il pontefice con maggiore stizza di quello di cui altri lo avrebbe creduto capace e che non avrebbe voluto egli stesso, alzandosi in piedi; ed accennando sdegnoso varie carte spiegate sopra la tavola. «Ecco, nel 1525, prima della battaglia di Pavia, mi dichiarai neutrale tra la Maestà Vostra e il Cristianissimo; padre comune dei fedeli, mi parea, ed era il partito da praticarsi migliore tra due principi cristiani dei quali non mi era riuscito prevenire le sanguinose contese; la battaglia avvenuta, Lanoia vostro stipula meco questo trattato di pace, riceve centocinquantamila fiorini d'oro, — e la Maestà Vostra nè ratifica il trattato nè restituisce il danaro; nel 27, Lanoia vostro mi sottoscrive quest'altro trattato, col quale si obbliga allontanare il contestabile di Borbone da Roma quando io gli paghi ottantamila fiorini; — ritirato il danaro, il Borbone non pure si accosta a Roma, ma con barbarie inaudita la manda a sacco.... ora lascio giudicare a voi se le promesse e i trattati mi affidino.»

      E qui i suoi negli occhi di Carlo V fissava, il quale imperturbato se ne sta con le spalle volte al camino e con una mano si liscia il mento, — forse per nascondere un sorriso sottilissimo che suo malgrado gli scomponeva i peli dei labbri. Poichè rimasero per uno spazio di tempo in silenzio, Carlo con lente parole riprese:

      «Santità, appunto perchè ricusai ratificare i trattati, mal vi dolete di fede rotta. Il vicerè di Napoli Lanoia, i limiti del suo mandato eccedendo, non poteva obbligarmi; — dove per me fossero stati approvati i patti illegalmente conclusi da lui, ora non vi dorreste voi di averli veduti inadempiti. Col sacco di Roma io rigetto lontana da me l'accusa. Borbone il fece, e Borbone certo ne pagò la pena cadendo ucciso sotto le mura della sacra città. Qual cuore fosse il mio alla notizia, pensatelo voi, Beatissimo Padre. Per tutti i miei regni ordinai pubbliche preghiere per ottenere dal cielo la vostra liberazione...»

      «Ma poichè stava in potere della Vostra Maestà, meglio delle preghiere, a mio parere, valeva un ordine a don Ferdinando d'Alarcon mio carceriere di liberare il vicario di Cristo e...»

      «Orsù! riconduciamo la consulta al suo primo punto, dacchè, in modo diverso procedendo, noi verremmo a smarrire del tutto la dritta via. Intende la Beatitudine Vostra abbattere la libertà di Fiorenza, me commette all'impresa e da me chiede sicurezza. Santo Padre, vi sareste per avventura dimenticato essere io l'imperatore Carlo V? Ad assoluto signore domandate voi guarentigia per abbattere repubbliche? Già troppo le nostre contese hanno fatto crescere le petulanze dei popoli; ed io vi СКАЧАТЬ