L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 17

Название: L'assedio di Firenze

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066069841

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      ... tutto affannato in suono di pianto supplicava il Commissario... Cap. II, pag. 50.

      Il capitano Ferruccio, a cotesto spettacolo doloroso, diventò pallido come la morte: grondava sudore; all'improvviso traendo l'Altoviti davanti una immagine riposta in certo tabernacolo sopra le mura dei quartieri, parlò:

      «Iacopo, giuratemi per questa immagine benedetta che voi non renderete la cittadella, se prima non ne venga l'ordine dai Dieci. Dal tenere questa fortezza forse dipende la salute della patria...; della vergogna non parlo...»

      L'Altoviti levò gli occhi e conobbe rappresentare la immagine san Donato, protettore degli Aretini.

      «Qui nel mio petto, Francesco, io serbo miglior santo che non è costui», e si accennava il cuore. «I due ultimi bariloni di polvere saranno adoperati a mandar all'aria la fortezza e me...»

      «Sta bene, addio!»

      E profferite le parole, il Ferruccio si caccia giù per le scale; alcuni gii tengono dietro senza ch'ei se ne accorga: scende in città e se ne corre rapidissimo all'albergo. Siccome in quel punto ei non teneva ufficio pubblico, non si era ridotto ad abitare i quartieri. Certo ospite antico della sua famiglia lo aveva accolto in casa; se ciò non fosse stato, nella fuga dei Fiorentini d'Arezzo gli avrebbero condotto via la cavalcatura. Irrompe nella scuderia; il buon destriero turco, nel sentire appressarsi il suo signore, si commove tutto e nitrisce; egli, dato di piglio agli arnesi, comincia ad adattarglieli intorno al corpo con incredibile ardore; siccome accade in quella furia, ora gli cascano di mano, ora l'uno scambia con l'altro e, invece di affrettarsi, ritarda; il cavallo freme irrequieto, squassa la testa, percuote il terreno, impaziente di lanciarsi.

      «Sta, sta, Zizim; non è un giorno di esultanza questo; se tu potessi vedere il cuore del tuo padrone come geme contristato, ne avresti pietà; tra poco ti converrà far prova di quanto sei veloce; ingegnati di correre, di volare, ma comunque tu voli, non ti risparmierò i fianchi; te li sentirai pungere; il tuo bel candore sarà contaminato di sangue... Per Dio! non ti addestrava a tal prova; nè tu vi ti aspettavi... ed io nemmeno. Avevamo disposto a morire insieme in un giorno di battaglia...; ora..., prima che venga la stagione dell'onore, il vituperio ci affoga. Corri non per acquisto di gloria... ma per fuggire vergogna...; nonpertanto, sia per procurarle decoro, sia per salvarla dall'obbrobrio..., sempre ben muore il cittadino per la sua patria... or sei sellato... va'!

      Gli balza in groppa, tira la spada e con la voce e con gli sproni lo spinge: il buon corsiero, compresa la voglia del suo signore, corre, vola, divora la via; par che non tocchi la terra, e par saetta scoccata dall'arco. Il cavaliere trascorre rapido tanto che gli oggetti gli fuggono vertiginosi, sformati; dinanzi gli occhi; l'aria rotta violentemente su i labbri non gli concede articolare parola... eppure urla in maniera spaventevole: giunge dove una turba di popolo adunata dintorno alla bandiera imperiale esultava baccante di allegrezza; il buon cavallo la fende come fiumana; l'onda della plebe si frange clamorosa e volta le spalle sopraffatta dal terrore; giace la bandiera deserta, e già tra i gridi discordi si ode mormorare; «Viva Marzocco!»

      Poichè fu la paura un poca quieta, si domandarono le genti chi le avesse sbarattate, chi fosse, come si chiamasse; non seppero dirlo: alcuni affermarono con giuramento essere comparso uno spirito infernale che non aveva forma di cosa conosciuta; per furia, per rumore e per luce terribile; solo una chioma tesa per ventilargli dietro per l'aria a guisa di cometa, di augurio funesto: altri invece sostennero avere veduto un volto di angiolo, un cavaliere celeste, certamente san Giorgio.

      Il cavallo, dell'impeto rovinoso punto rallentando, arriva alla porta; In cotesto istante una mano di cittadini, recati sassi e travi, tentava sbarrarla. Ferruccio, rinforzando la voce, tale manda fuori un urlo che anch'essi atterriti si danno alla fuga; irrompe pei campi; tende lo sguardo e, lontano lontano, riconosce il codardo Commissario.

      Dai fianchi del cavallo sgorga un nuovo spruzzo di sangue; di più non può correre, nondimeno sente più e più sempre trafiggersi. Ecco raggiunge le milizie disperse, le passa, le ha passate.

      Dietro al cavaliere si leva un rumore: «È il Ferruccio! Anche il Ferruccio si salva!» Ei non lo intende, o non lo bada... continua a precipitare dietro le tracce del Commissario. La strada svolta e rasentando una macchia si curva, sicchè all'improvviso costui gli scomparisce dagli occhi. Il Commissario di troppo ha precorso; difficilmente gli riuscirà raggiungerlo: tutto è perduto!

      Antonfrancesco Albizzi, senza cappuccio, con le vesti scomposte, pallido, lo sguardo fisso, tolto fuori di sè, rabbiosamente spronava, quando ad un tratto gli balza indietro il cavallo, forte squassato pel morso, e una voce minacciosa gli grida:

      «Fermatevi!»

      «Per la Madonna santissima della Impruneta», tutto affannato in suono di pianto supplicava il Commissario, «non mi ammazzate! Non vi mettete l'omicidio sull'anima! Sono un povero marraiuolo... un fante di stalla...; a buona guerra non mi potete toccare un capello..., vorreste dire ch'io sono un nemico preso con le armi alla mano?... Frugatemi in nome di Dio...; io non ho armi... Le vesti... le vesti non mi appartengono. Lasciatemi andare, e ve le darò... mi basta andarmene in farsetto... con i fiorini che troverete in tasca... un riscatto da principe in verità..., ma lasciatemi... lasciatemi per tutti i santi del paradiso...»

      Per quanto s'ingegnasse o dicesse, il cavallo non poteva avanzare, una mano di ferro lo teneva fermo al terreno.

      Vico Machiavelli, quantunque avesse sotto peggior cavallo del Ferruccio, avendo notato più quieto come tirando diritto dentro la macchia si venisse ad acquistare considerabile spazio di cammino, vi si era messo alla ventura, e, trovatala sgombra, potè riuscire ad arrestare il Commissario.

      Quando il Ferruccio ansante ebbe trascorsa la curva descritta dalla macchia ed ormai immaginava il Commissario lontano, con somma sua maraviglia se lo trovò di subito davanti, e, preoccupato com'era, dall'Albizzi in fuori, non gli venne fatto di vedere null'altro:

      «Commissario!... Commissario!...» prese a favellare il Ferruccio, così come l'anelito glielo concedeva; «se alla salute e all'onore della patria non si potesse, come spero, riparare, la tua testa rotolerebbe adesso per la polvere della strada.»

      «O capitano! siete voi! Venite, difendete il nostro Commissario. Voi siete valentuomo, voi, e l'ho sempre detto. Difendete il vostro Commissario; mi vi raccomando...»

      «Vile uomo! difenderti io? Di' piuttosto, perchè fuggi? Così tieni il posto alla tua fede commesso? Perchè hai lasciato Arezzo? perchè?...»

      «Signore! O che anche voi mi uscite fuora nemico? Voi eravate nella cittadella e non potete aver veduto il tumulto della città... Io stavo sopra un vulcano... la terra mi si franava sotto... tutti insorti... tutti armati e minaccianti la morte...; o che doveva far io?»

      «Morire.»

       Questa risposta percosse il Ferruccio, il quale, essendosi alquanto rimesso da quel primo furore, declinò lo sguardo e si accorse della presenza di Vico; onde, geloso com'era della militare disciplina, increscendogli che altri avesse ascoltato le acerbe rampogne profferite contro il Commissario, con mal piglio rivolto al giovane, gli disse:

      «Anche voi qui? Partite.»

      «Ma io...»

      «Partite, vi comando! Davvero, voi andrete molto oltre nel mestiere delle armi, se al primo incontro abbandonate così la vostra bandiera...»

      «Mente per la gola chi lo sostiene», rispose Vico vermiglio fino al bianco degli occhi, traendo mezzo fuori la spada...

      Sentì СКАЧАТЬ