L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: L'assedio di Firenze

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066069841

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СКАЧАТЬ de' suoi padri nella chiesa di Santa Croce.

      E una tenebra fitta di vituperio si condensò sopra questa misera Italia. Le ceneri del Machiavelli stettero per quasi tre secoli ignorate; e fu pietoso consiglio della provvidenza, imperciocchè altrimenti i nipoti le avrebbero date ai venti della terra. Una torma di vermi nati dalla putredine della servitù prese a contaminarne la memoria, una crociata d'infamia bandirono al suo nome, con i terrori della religione lo circondarono, lo conficcarono sopra i patiboli!... Compreso di compassione per la imbecillità della stirpe dalla quale io pure nasco, tacerò, o piuttosto ferocemente animoso le strapperò la fascia dalle piaghe, mostrandole, comunque turpi, alle generazioni future?

      Io strapperò cotesta fascia e narrerò come i Gesuiti ardissero effigiare il simulacro del grande e, appostavi la seguente iscrizione: «perchè fu uomo scaltrito e subdolo, di pensieri diabolici maestro, aiutatore del demonio eccellentissimo», lo abbruciassero sopra la pubblica piazza d'Ingolstad in Baviera. E tanto crebbe cotesto osceno baccanale d'ignoranza ribalda e svergognata che fino un principe ne sentì pudore. Così è: a Dio piacque tra i prodigi della sua potenza creare un principe di cui il volto non fosse sconosciuto alla verecondia. Leopoldo austriaco, primo di nome, consentiva gli si ponesse una lapide, e nel sepolcro di lui innalzava un monumento durevole alla propria memoria.

      Poichè questo principe s'inchinava a quel grande, egli avrà fama anche dopo che saranno disperse le monete effigiate con la sua immagine: monumento unico al quale il più delle volte è raccomandata la rinomanza dei principi[39].

       Indice

      Ne' suoi tempi è stato uomo memorabile e degno di essere celebrato da tutti quelli che hanno in odio la tirannide e sono amici della libertà della patria loro.

      Giannotti, Vita di Francesco Ferruccio.

      Puro è il giorno e sereno: — dalla parte di oriente un color d'oro, diafano, a mano a mano più limpido: — all'improvviso il sole sgorga dai monti con un raggio, due raggi, — un oceano di raggi, su questa terra ch'è sua delizia e suo amore: immagine di Dio, senza curarsi se nello spazio che inonda viva chi lo abborre o chi l'ama, egli veste il creato di splendore benigno; e, tutte belle diventate le cose in quel battesimo di luce, mal puoi discernere tra loro quali sieno le superbe, quali le abbiette.

      In quella prima allegrezza della natura ogni ente si commuove, le anime si aprono alla pietà, come i fiori alla rugiada; diventa il buono migliore, meno tristo il malvagio.

      Il sole, quanto il pensiero dell'uomo, rapidissimo si sprofonda per la immensità dello spazio e gode balenare lo sguardo infiammato per le acque della Chiana e dell'Arno. Le acque si scuotono e fremono in un continuo agitarsi d'oro e di azzurro, e direi quasi, sembrano palpitare di luce. Gli alberi al vento mattutino mormorando confondono le frasche, come giovani innamorati sussurrantisi nell'orecchio un misterioso favellio: dove te ne prendesse vaghezza, tu potresti ad una ad una annoverarne le foglie, tanto le contorna lucidissimo l'emisfero. L'iride cinge ogni erba; suona ogni pianta una voce d'armonia. Odi trasvolare per l'aria infiniti accordi divini, altri sottentrarne più rapidi e più melodiosi, nè ti è concesso distinguere donde si muovano o come ti arrivino; sicchè tu credi, ora sì, ora no, l'aura ti porti all'orecchio l'inno degli angioli, col quale al tornare della luce esaltano nelle sfere la gloria del Creatore. È un cielo puro e sereno: — un bel giorno d'Italia.

      Ma e perchè a tanta esultanza della natura non si mesce la voce dell'uomo? Chi trattiene nelle sue case il colono? Perchè non esce ai quotidiani lavori? L'eco non rimanda il muggito dei bovi; non si ascolta per le valli il tintinnio degli armenti; dai focolari non sorge nuvola alcuna di fumo la quale, paurosa di deturpare la maestà dei cieli, si tinga dei colori della conchiglia marina e rammenti lo schiavo costretto a mutare sembiante all'apparire del suo signore. Sarebbero forse venuti i tempi vaticinati nei quali il sole deve splendere invano? La morte ha inaridite la fonte delle lagrime umane? Il mondo alfine si è fatto cimiterio della universa stirpe d'Adamo?

      La città d'Arezzo, vuota anch'essa di gente come la campagna, — sembra la Gerusalemme di Geremia, o piuttosto Pompeia tolta dalla sua antica sepoltura di lava. Ma nella cittadella varie centinaja di uomini d'arme stanno disposte intorno alle artiglierie; silenziosi però ed immobili, come impietriti. Così la canzone moresca immagina stanziare nelle caverne dei monti di Granata per virtù d'incantesimi esercito infinito di Saracini, che sciolto un giorno da un guerriero fatale irromperà, distrutti gli infedeli, a restituire il sangue degli Abenceraggi nelle torri paterne dell'Alhambra[40]. Alzati i ponti levatoi; le sentinelle non mutano passo; non soffia alito che valga a muovere leggiermente le pieghe del gonfalone del comune di Firenze, inerte giù lungo la stacca; quivi sola par viva la corda apparecchiata a dar fuoco alle artiglierie per la colonna sottile e perpendicolare di fumo che tramanda verso del cielo.

      Fra i molti quivi raccolti per vesti o per sembianze notabili si distinguono due personaggi, quantunque di forme affatto diversi tra loro; — s'impadronirono entrambi di due colubrine lunghe, spigliate, che a bocca aperta paiono anelanti di balestrare contro i nemici la disperazione e la morte. Il primo appoggia il gomito destro sopra la parte anteriore della colubrina, e vôlto il cubito al capo, vi abbandona sopra la faccia; — la mano manca sta aperta sul pomo della spada; il corpo affida al femore sporgente e sul piede sinistro forte piantato sopra la terra, mentre la tocca appena con la punta del destro posto a traverso; grande era e bello, del tutto chiuso dentro modesta, ma forbita armatura; — il capo scoperto, e quindi appariva il volto, che un arcano pensiero e una cura insistente atteggiando a malinconia lo rendeva più gentile; le palpebre socchiuse velavano il suo sguardo; — certamente, l'anima commettendo all'onda delle sensazioni, egli gusta nel suo segreto la voluttà che muove all'aspetto delle maraviglie della natura.

      Tu lo incontrerai mai sempre dove si offre acquisto di gloria o pericolo d'avventura, imperciocchè egli sia Francesco Ferruccio. Udendo i Dieci della guerra come Malatesta avesse perduto Spelle e si fosse accordato di lasciare Perugia, gli mandarono Giovambattista Tanagli col protesto di seco lui condolersi per quella prima sconfitta, ma in sostanza poi per ordinare al Ferruccio e al Verazzano i duemila fanti delle milizie fiorentine ritirassero, ed in Arezzo sotto il comando di Antonfrancesco Albizzi, commissario della Repubblica nelle terre della Val di Chiana, riunissero. La qual cosa avendo il Ferruccio con molta prudenza operata, era rimasto in Arezzo con quella autorità che la virtù non manca di partecipare agli uomini superiori nei casi difficili. — L'altro, di membra maravigliosamente robuste, si assomigliava ai crepuscoli scolpiti da Michelangelo sopra le sepolture di Giuliano e di Lorenzo dei Medici, — curvo su la colubrina ne stringe i lati nelle ginocchia tenaci, ne afferra con le mani venose i manichi estremi, — il sommo del capo egli ha calvo, coperto di una pelle giallastra, se non che intorno intorno sopra le orecchie e dietro la nuca lo ricinge una corona di cappelli in parte neri, in parte bianchi, alcuni torti, tali altri irti, che ben parevano venuti in lite tra loro: le guance squadrate, la mascella e il labbro inferiore sporto in fuori, il superiore mezzo nascosto fra i denti, a cagione degli spessi morsi sanguinoso: le pupille infiammate gli balenavano tra mezzo i peli ruvidi del sopracciglio, a guisa di fuoco pei rovi d'una siepe: inoltre tutto crispato di rughe e abbronzito dal sole e cincischiato da non poche margini... davvero egli era un volto cotesto da fare nascondere spaventato un fanciullo nel seno della madre, da fare stringere sotto le vesti il pugnale al pellegrino che lo avesse incontrato per via: — e nonpertanto Giovannantonio da Firenze, bombardiere, soprannominato il Lupo, annoveravano come uno tra i pochi soldati che militando rispettasse la canizie dei prigionieri, perchè si rammentava la madre lasciata a casa, vecchia ed inferma; e ad ogni immagine della Madonna addolorata occorsa per la via si faceva devotamente il segno della croce e sospirava, perchè sentiva l'affanno della vecchia madre, sola nel mondo e priva del conforto di saperlo vivo: — uno dei pochi ai quali СКАЧАТЬ