Название: Sola di fronte al Leone
Автор: Simone Arnold-Liebster
Издательство: Автор
Жанр: Биографии и Мемуары
isbn: 9782879531687
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“Sicuramente no”.
“La metterò qui, vicino alla radio. Non la nasconderemo, vero?”
“No, così anche il papà potrà leggerla”.
Ma non lo fece.
Quando il papà lavorava con la squadra del mattino, la mamma me la leggeva mentre io assaporavo una fetta di pane con burro e marmellata, e sorseggiavo una cioccolata calda che riempiva l’appartamento di un gradevole profumo. A volte rileggeva un versetto o due. “Ricordati questo!”, aggiungeva. Oppure: “Hai compreso bene quest’altro?” Poi, per aiutarmi a memorizzare il tutto, ripeteva qualche parola del passo in questione. Nei giorni di lettura biblica avevo sempre qualcosa di speciale da raccontare alle mie compagne di classe.
Iniziai a sospettare che il papà fosse ammalato e anche contagioso, perché da qualche tempo cercava di evitarci e schivava i vicini. Tutto ciò mi teneva sulle spine. Giorno dopo giorno la mamma gli preparava i suoi piatti preferiti, ma puntualmente si ripeteva la stessa scena. Cupo, alzava la mano in segno di rifiuto e diceva con voce dura: “Mettimene di meno, non ho fame”.
Ero sconcertata! Il papà sembrava vivere di sigarette. Per di più dopo pranzo lasciava rapidamente la tavola per andare a fumare un sigaro e ascoltare le notizie alla radio. Zita lo guardava come per sollecitare una carezza, ma lui non si curava affatto dei suoi occhioni imploranti. Quando arrivava il momento di portarla fuori, però, l’accompagnava sempre lui per delle interminabili passeggiate.
Le gioiose conversazioni familiari erano finite. I miei genitori non avevano più niente da dirsi, neanche quando si trovavano da soli. Questo confermava le mie supposizioni: il papà doveva essere gravemente ammalato! Quando usciva sul balcone, restava dietro la tenda, così poteva salvarsi dagli interrogatori della signora Huber, la nostra vicina tanto curiosa. Avevo l’impressione che ora gli altri inquilini evitassero la nostra famiglia, come se fossimo tutti contagiosi.
A scuola la mia popolarità calò notevolmente e persi il mio carisma. Le mie amiche mi schivavano e non sembrarono più interessate alle mie informazioni. “Poco importa!”, mi dissi. La mamma mi ripeteva spesso: “Se vuoi diventare una vera signora non puoi conformarti agli altri”. Ecco un altro dei miei obiettivi: da grande, avrei anch’io calzato scarpe di coccodrillo, portato una collana a tre fili e indossato dei guanti.
La mamma voleva aiutarmi a raggiungere il mio obiettivo e per questo la trovavo meravigliosa. Un giorno andammo in un negozio di stoffe ad acquistare l’occorrente per un nuovo mantello da indossare la domenica. La commessa ci mostrò parecchi tessuti e puntualizzò: “Sono i più richiesti di quest’anno, se li contendono tutte ”.
La mamma si abbassò verso di me. “Scegli, Simone, però non sentirti obbligata a fare come le altre. Devi essere te stessa! Non c’è che una Simone Arnold e i tuoi gusti sono unici. Vuoi essere una signora? Ricordati che le signore dettano la moda, non la seguono. Hanno personalità”.
La commessa, una donna di una certa età, ci guardava stupita e con la bocca spalancata. “Speriamo che non vi entri una mosca!”, commentai fra me.
“Sei molto giovane per decidere da sola”, riuscì finalmente ad articolare. Come poteva darmi della bambina? Avevo sette anni.
“Devi solo tener conto della qualità e del prezzo”, aggiunse la mamma.
“Potete mostrarci questa, quella e l’altra laggiù, per piacere?”, dissi indicando alcune stoffe.
La mamma si informò sui vari prezzi. “Simone, l’ultima è troppo costosa. Non vorrai che tuo padre lavori una settimana intera solo per il tuo mantello, vero?” La fece rimettere sullo scaffale. “Puoi scegliere fra le altre due”. Era veramente avvincente! Mi sarei vestita a mio piacimento. Che soddisfazione potermi distinguere dalle altre!
“Non vi farete idoli”. “Essi hanno occhi, ma non possono vedere, hanno orecchie, ma non possono udire… Coloro che in essi confidano diverranno proprio come loro”, così recitava il passo della Bibbia che la mamma mi aveva appena letto. Ancora prima che lo ripetesse, abbandonai la tazza di cioccolata bevuta per metà, tolsi dalla mia collana e dal mio bracciale le medaglie della Vergine, corsi a gettarle nel gabinetto e tirai lo sciacquone. Poi mi precipitai in cameretta per smantellare il mio piccolo altare. La mamma rimase inchiodata sulla sedia, ammutolita per la profonda emozione. Appena tornai per terminare la colazione, lei mi disse: “Avremmo potuto regalare le medaglie d’oro ad Angèle”.
“Mamma, Dio proibisce di fare degli idoli. Anche Angèle commetterebbe un peccato se le portasse”.
Il giovedì non c’era lezione, perciò potevo attendere il papà al suo rientro dal lavoro. Per una ragione inspiegabile andò dritto verso la mia cameretta; lo vidi diventare improvvisamente pallido, come il giorno in cui era stato quasi folgorato da un fulmine alla fattoria dei nonni. Vederlo in quello stato, mi spaventò. Poi si diresse in silenzio verso la cucina, dove la mamma gli stava preparando il pranzo. Preferii non seguirlo perché l’espressione del suo viso lasciava presagire una tempesta.
“Dov’è l’altare di Simone?”, domandò con voce tagliente. La mamma, senza smettere di cucinare, gli rispose con calma:
“L’ha fatto a pezzi”.
“Gliel’hai detto tu?”
“Assolutamente no! Le ho solo letto certe leggi di Dio nella Bibbia”.
“Mi avevi detto che non le avresti mai insegnato le tue idee. Me lo avevi promesso!”
“Adolphe, si tratta di una Bibbia cattolica! E poi Simone ha agito senza neppure lasciarmi terminare la lettura. Non ti capisco. Non ti è mai piaciuto il suo altare con le immagini sacre e le candele. Allora dimmi, sì, dimmi perché adesso dai in escandescenza?” E, riprendendo il suo piatto, aggiunse: “Te lo riscaldo. Per favore, devi mangiare, fallo per noi!” Il papà borbottò fra i denti qualcosa che non capimmo, ma la bufera sembrava essersi momentaneamente calmata. Da parte mia continuavo a pormi domande, ma per il momento rimanevano senza risposta. Per quale ragione il papà si era irritato tanto? Forse perché le statue erano costate care e aveva dovuto lavorare a lungo per pagarle? La sua reazione mi aveva fatto molta paura!
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In quel nebbioso pomeriggio di ottobre avevamo un appuntamento con zia Valentine. Era una distrazione gradita che mi avrebbe permesso di sfuggire all’atmosfera pesante che si era creata in casa. Zia Valentine ci aspettava alla fermata del tram di Porte Jeune. Per riscaldarsi portava al collo una pelliccia di volpe dagli occhi di vetro che diffondeva una scia di canfora. Angèle non c’era.
Voleva farmi un regalo di mio gradimento. La mamma voleva trovarne uno per mia cugina. Scelsi un astuccio da cucito.
L’aroma delle castagne calde profumava l’aria del quartiere commerciale di Mulhouse. Sulla strada di ritorno, all’angolo della Rue du Sauvage, un uomo muoveva avanti e indietro sulla brace un’immensa padella di ferro. Poi, mentre le castagne arrostivano, preparava dei cartocci con fogli di giornale. Zia Valentine gli porse una moneta e ricevette in cambio delle caldarroste appena abbrustolite e impacchettate, tutte per me. Che pomeriggio meraviglioso! Mi ero completamente dimenticata l’umore tetro del papà.
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