Il Quartiere Perfetto. Блейк Пирс
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Название: Il Quartiere Perfetto

Автор: Блейк Пирс

Издательство: Lukeman Literary Management Ltd

Жанр: Зарубежные детективы

Серия:

isbn: 9781640297050

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СКАЧАТЬ conclusa con l’affermazione che ‘era ragionevolmente equipaggiata per le necessità della vita quotidiana’. Bridget aveva gestito le cose in maniera dinamica mentre guardavano i primi due appartamenti, concentrandosi sui dettagli del condominio, sul prezzo e altre caratteristiche. Fu soltanto quando arrivarono alla terza opzione, l’unica che a Jessie un po’ interessasse tra quelle visionate fino a quel momento, che iniziarono le domande personali.

      “È certa di essere interessata solo ad appartamenti con una camera?” chiese Bridget. “Vedo che questo le piace. Ma c’è un due camere al piano di sopra, praticamente con la stessa disposizione delle stanze. Viene solo trentamila dollari di più e avrebbe un valore di rivendita molto maggiore. E poi non si sa mai quale potrebbe essere la sua situazione da adesso a un paio di anni.”

      “Questo è vero,” confermò Jessie, notando mentalmente che solo due mesi prima era sposata, incinta e residente in una villa nella Contea di Orange. Ora era separata da un assassino confesso, aveva perso il suo bambino non ancora nato e stava condividendo un appartamento con una vecchia amica di studi. “Ma una camera mi va bene.”

      “Certamente,” disse Bridget con un tono che suggeriva che non avrebbe lasciato perdere. “Le spiace se le chiedo quali sono le sue attuali condizioni? Potrebbe aiutarmi a mirare in modo più preciso alle sue preferenze. Non posso fare a meno di notare che la pelle sull’anulare è bianca, indicando la presenza forse di una fede nuziale fino a poco tempo fa. Potrei gestire la scelta di una residenza capendo se desidera andare avanti in modo aggressivo o…. più pacato.”

      “Siamo nella zona giusta,” disse Jessie, la voce involontariamente più tesa. “Voglio vedere solo appartamenti da una camera da queste parti. È l’unica informazione che le serve per ora, Bridget.”

      “Certamente, mi scusi,” rispose la donna con tono remissivo.

      “Dovrei usare il bagno un momento,” disse Jessie, la tensione alla gola che ora si stava propagando al petto. Non era certa di cosa le stesse accadendo. “Posso?”

      “Nessun problema,” disse Bridget. “Ricorda dove si trova, in fondo al corridoio?”

      Jessie annuì e si diresse rapidamente nella direzione indicata, cercando ad ogni modo di non mettersi a correre. Quando fu arrivata e si fu chiusa la porta alle spalle, ebbe quasi il timore di poter svenire. Sembrava quasi un attacco di panico.

      Cosa diavolo mi sta succedendo?

      Si bagnò il viso con acqua fresca, poi appoggiò le mani sul bordo del lavandino, ordinando a se stessa di fare respiri lenti e profondi.

      Nella mente le scorrevano immagini che non avevano alcuna attinenza o logica tra loro: lei accoccolata sul divano con Kyle, tremante in un capanno isolato tra le montagne dell’Ozark, l’ecografia del bambino mai nato, e che mai sarebbe venuto al mondo, una fiaba della buonanotte su una sedia a dondolo con il suo padre adottivo, suo marito che gettava un corpo morto dallo yacht nel mare al largo dalla costa, il suono della voce di suo padre che le sussurrava “farfallina” in un orecchio.

      Perché la domanda praticamente innocua di Bridget sulla sua condizione e il riferimento a una reazione pacata l’avessero ridotta a quello stato, Jessie non lo sapeva. Ma era successo, e ora lei stava sudando freddo, tremando involontariamente, fissando nello specchio una persona che poteva a malapena riconoscere.

      Era buona cosa che il prossimo appuntamento fosse con la sua terapeuta. Il pensiero la calmò un poco, Jessie fece qualche altro profondo respiro e poi uscì dal bagno, tornando verso la porta d’ingresso.

      “Ci sentiamo,” disse a Bridget mentre si chiudeva la porta alle spalle. Ma non era certa che sarebbe successo. In quel momento non era certa di nulla.

      CAPITOLO TRE

      L’ufficio della dottoressa Janice Lemmon era a pochi isolati dal condominio che Jessie aveva appena lasciato, e lei fu contenta di poter fare due passi e schiarirsi la mente. Mentre percorreva la Figueroa, si sentiva quasi felice per il vento freddo e tagliente che le faceva lacrimare gli occhi, per poi asciugarli in un istante. L’abbraccio del gelo spinse la maggior parte dei cattivi pensieri fuori dalla sua testa.

      Si chiuse la cerniera del giaccone fino al collo e abbassò la testa mentre passava davanti a un bar, poi a un ristorantino traboccante di gente. Era la metà di dicembre a Los Angeles, e i locali e negozi della zona stavano facendo del loro meglio per darsi un aspetto festivo e vacanziero in una città dove la neve era quasi un concetto astratto.

      Ma nei tunnel di vento creati dai grattacieli del centro, il freddo era onnipresente. Erano quasi le 11 del mattino, ma il cielo era grigio e la temperatura stava sotto ai dieci gradi. Quella sera sarebbe scesa vicino ai cinque. Per Los Angeles era un gelo tremendo. Ovviamente Jessie aveva sperimentato temperature ben più rigide.

      Da bambina nella campagna del Missouri, prima che tutto crollasse, giocava nel piccolo cortile della casa mobile di sua madre all’interno del campo caravan, le dita e il viso mezzi intorpiditi, creando pupazzi di neve non particolarmente attraenti, ma dal volto sempre felice, mentre sua madre la guardava in modo protettivo dalla finestra. Jessie ricordava di essersi chiesta perché sua madre non le levasse mai gli occhi di dosso. A ripensarci adesso, tutto era chiaro.

      Pochi anni più tardi, nella periferia di Las Cruces, nel Nuovo Messico, dove aveva vissuto con la sua famiglia adottiva dopo essere passata sotto alla Protezione Testimoni, andava a sciare sui lievi pendii delle montagne vicine con il suo secondo padre, un agente dell’FBI che emanava calma professionalità in qualsiasi situazione. Era sempre lì ad aiutarla quando cadeva. E Jessie poteva generalmente contare su una cioccolata calda quando uscivano tra le colline nude e spazzate dal vento per tornare all’alloggio.

      Quei freddi ricordi la scaldarono mentre svoltava nell’ultimo quartiere arrivando all’ufficio della dottoressa Lemmon. Decise meticolosamente di non pensare alle cose meno piacevoli, che inevitabilmente si intrecciavano con quelle buone.

      Passò l’accettazione e si tolse il giaccone, aspettando di essere chiamata nell’ufficio della dottoressa. Non ci volle molto. Alle 11 in punto la sua terapeuta aprì la porta e la accolse all’interno.

      La dottoressa Lemmon era una donna sui sessantacinque anni, ma non ne aveva l’aspetto. Era in ottima forma e i suoi occhi, dietro a un paio di spessi occhiali, erano acuti e concentrati. I suoi riccioli biondi rimbalzavano quando camminava, e tutta la sua figura emanava un’intensità che non poteva essere mascherata.

      Si sedettero sulle poltroncine, una di fronte all’altra. La dottoressa Lemmon le concesse qualche momento per accomodarsi, prima di parlare.

      “Come stai?” le chiese in quel modo accomodante che aveva sempre spinto Jessie a considerare la domanda in modo più serio rispetto a quanto si potesse fare nella vita di tutti i giorni.

      “Sono stata meglio,” ammise.

      “Come mai?”

      Jessie le raccontò dell’attacco di panico nell’appartamento e dei successivi flashback.

      “Non so cosa mi abbia disturbato,” disse alla fine.

      “Io penso di sì,” le rispose la dottoressa Lemmon.

      “Le spiacerebbe darmi un indizio?” ribatté Jessie.

      “Beh, mi chiedo se tu non abbia perso il controllo davanti a una persona quasi sconosciuta, perché hai la sensazione di non avere altri posti dove poter liberare СКАЧАТЬ