Contro Ogni Nemico . Джек Марс
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      23:50 ora dell’Europa orientale (17:50 ora legale orientale)

      Alessandropoli, Grecia

      Si trovavano a trenta miglia dal confine turco. L’uomo controllò l’orologio. Quasi mezzanotte.

      Presto, ancora presto.

      Si chiamava Brown. Era un nome che non era un nome, per qualcuno che era scomparso molto tempo prima. Brown era un fantasma. Aveva una grossa cicatrice lungo la guancia sinistra – un proiettile che l’aveva appena mancato. Portava un taglio di capelli a spazzola. Era grande e forte, e aveva i lineamenti affilati di chi aveva trascorso tutta la vita adulta nelle operazioni speciali.

      Un tempo Brown era conosciuto con un altro nome – col suo vero nome. Col passare del tempo, il nome era cambiato. A un certo punto era passato per così tanti nomi da non riuscire a ricordarseli tutti. L’ultimo era il suo preferito: Brown. Nessun nome di battesimo, nessun cognome. Solo Brown. Brown bastava e avanzava. Era un nome evocativo. Gli ricordava le cose morte. Le foglie morte nel tardo autunno. Gli alberi morti dopo un test nucleare. I marroni occhi morti spalancati e fissi delle molte, molte persone che aveva ucciso.

      Tecnicamente, Brown era in fuga. Era finito sul lato sbagliato della storia circa sei mesi prima, su un lavoro che non gli era neanche stato spiegato. Aveva dovuto lasciare il suo paese di origine in fretta e sparire. Ma dopo un periodo di insicurezza, era tornato in piedi di nuovo. E, come sempre, c’era moltissimo lavoro da fare, soprattutto per un uomo con la capacità di ripresa che aveva lui.

      Adesso, poco prima della mezzanotte, se ne stava fuori da un magazzino in una sezione malmessa del distretto portuale di quella città marittima. Il magazzino era circondato da un’alta recinzione sormontata da filo spinato, ma il cancello era aperto. Una fredda nebbia giungeva dal mar Mediterraneo.

      Con lui c’erano due uomini, entrambi con addosso giacche in pelle, ed entrambi con mitra Uzi assicurati alle spalle, e scorte extra. Quelli sarebbero stati quasi identici, solo che uno di loro si era rasato completamente la testa.

      Fuori sulla strada, si avvicinavano dei fanali.

      “Occhi aperti,” disse Brown. “Adesso arrivano i guerrieri santi.”

      Un furgoncino risaliva il viale deserto. C’era un’immagine gigante di arance lungo la fiancata, una di queste affettata a metà a esibire la brillante polpa rosso arancio del frutto. Sulla fiancata del furgone c’erano delle parole in greco, probabilmente il nome di un’azienda, ma Brown il greco non lo sapeva leggere.

      Il furgone raggiunse il cancello e proseguì dritto nel giardino. Uno degli uomini di Brown si avvicinò e fece scivolare il cancello sui binari, poi lo chiuse a chiave con un pesante lucchetto.

      Non appena il furgone si fu fermato, due uomini smontarono dalla cabina. Si aprì il portellone posteriore, e ne uscirono altri tre. Quegli uomini avevano la pelle scura, probabilmente erano arabi, ma erano rasati. L’uniforme che indossavano consisteva in blue jeans, leggere giacche a vento e sneakers.

      Un uomo portava un’ampia borsa di tela, come fosse una borsa per l’attrezzatura da hockey, su ogni spalla. Il peso delle borse a tracolla gli abbassava le spalle. Tre degli uomini avevano degli Uzi.

      Noi abbiamo gli Uzi, loro hanno gli Uzi. Uzi party.

      Il quarto uomo, il conducente del furgone, aveva le mani libere. Si avvicinò a Brown. Aveva gli occhi azzurri, e la pelle molto scura. Aveva i capelli nero corvino. La combinazione degli occhi azzurri e della pelle scura faceva uno strano effetto in viso, come se non fosse stato del tutto reale.

      I due si strinsero la mano.

      “Jamal,” disse Brown. “Pensavo di averti detto di venire solo con tre uomini.”

      Jamal fece spallucce. “Me ne serviva uno per portare i soldi. E io non conto, no? Quindi in effetti ne ho portati tre. Tre tiratori.”

      Brown scosse la testa e sorrise. Aveva a malapena importanza quante persone avesse portato Jamal. I due uomini con Brown potevano uccidere una camionata di tiratori.

      “Okay, andiamo,” disse Brown. “I camion sono dentro.”

      Uno degli uomini di Brown – si faceva chiamare signor Jones – prese dalla tasca un apriporta automatico, e la saracinesca del magazzino lentamente sferragliò verso l’alto. Gli otto entrarono nello spazio cavernoso. Il magazzino era per lo più vuoto, tranne che per delle pesanti incerate verdi gettate su due veicoli giganteschi. Brown andò dal più vicino e scostò l’incerata per metà.

      “Voilà!” disse. Quella che aveva scoperto era la metà anteriore di un ampio articolato, dipinto di verde, marrone e colori marrone chiaro mimetici. Jones scostò l’incerata vicino alla parte posteriore del mezzo, svelando una piatta piattaforma missilistica di lancio a quattro cilindri. Le due parti del camion erano separate e indipendenti l’una dall’altra, ma erano attaccate nel mezzo dall’idraulica.

      I camion venivano chiamati trasportatori elevatori lanciatori, o TEL, relitti della Guerra fredda, stazioni di attacco mobili che la NATO aveva usato per tenere sotto bersaglio la vecchia Unione Sovietica. I lanciatori sparavano varianti più piccole del missile da crociera Tomahawk, e i missili potevano essere equipaggiati di piccole testate termonucleari. Erano armi per un limitato colpo nucleare tattico – il tipo che avrebbe eliminato una città di medie dimensioni, o distrutto totalmente una base militare e la campagna circostante, ma forse senza causare l’apocalisse. Certo, una volta cominciato a lanciare testate nucleari alla gente, può succedere di tutto.

      Ai vecchi tempi, questo sistema missilistico lo chiamavano il “Grifone”, dall’antica creatura mitologica con le gambe e il corpo di un leone, e le ali, la testa e gli artigli di un’aquila – il protettore del divino. Brown ne era entusiasta.

      Il sistema era stato smantellato nel 1991, e tutte quelle unità avrebbero dovuto essere distrutte. Ma ne esistevano ancora alcune. C’erano sempre delle armi a galleggiare da qualche parte. Brown non aveva mai sentito parlare di una classe di missili o di un sistema di armi smantellati interamente – c’erano troppi soldi da fare perdendoli e facendoli saltar fuori in un secondo momento. I negozi lo chiamavano “contrazione”. Walmart e Home Depot lo sapevano bene. Così come l’esercito.

      Anzi, ecco qui due delle piattaforme mobili, rimaste parcheggiate in un magazzino di una città portuale greca per tutto questo tempo, vicinissimo alla Turchia, e a meno di un miglio dai moli. Bello comodo dentro a ciascuno dei cilindri di lancio c’era un missile Tomahawk, ciascuno operativo, o che probabilmente sarebbe diventato operativo in seguito a piccolissime cure.

      Era quasi come se si potessero guidare quei camion fuori di lì e dritti su una nave mercantile o un traghetto, per poi salpare per luoghi ignoti. Erano armi convenzionali, certo, ma sicuramente da qualche parte c’erano ancora delle testate nucleari perfette per quei missili.

      Ma ottenere le testate non era compito del dipartimento di Brown. Quello era un problema di Jamal. Era un ragazzo capace, e Brown immaginava che sapesse già dove poterne trovare alcune di disponibili. Brown non sapeva con certezza come sentirsi in proposito. Jamal stava facendo un gioco pericoloso.

      “Bellissimo,” disse Jamal.

      “Dio è grande,” disse uno dei suoi uomini.

      Brown fece una smorfia. Di regola, faceva una smorfia quando si parlava di religione. E bellissimo era un termine relativo. Quei camion erano due delle СКАЧАТЬ