Contro Ogni Nemico . Джек Марс
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      Annuì. “Lo so. Saremo lì il prima possibile. A Gunner non lo dico.”

      “Bene. Non voglio che lo faccia tu. Possiamo dirglielo insieme.”

      “Okay,” disse Luke. “A presto. Mi dispiace davvero.”

      Riappendere fu strano. Se solo non avessero litigato per tutti quei mesi. Se solo lei non gli fosse stata così ostile. Se quelle cose non fossero accadute, forse sarebbe riuscito a trovare il modo di confortarla, anche da così lontano. Si era indurito nei suoi confronti, e non sapeva se gli fosse rimasta della tenerezza.

      Rimase seduto sulla roccia per molti minuti. La luce cominciò a riempire il cielo. Non si lasciò andare ai bei ricordi che aveva con lei. Non rivisse tutte le discussioni che avevano avuto in quell’ultimo anno, né a quanto feroce e trincerata nelle proprie posizioni fosse stata. Aveva la mente vuota. Meglio così. Doveva andarsene da quel canyon, e doveva informare Ed e Swann che lui e Gunner se ne stavano andando.

      Lasciò la roccia e si avviò verso il campo. Ed era sveglio e accucciato davanti al fuoco. Lo aveva riacceso e aveva messo su del caffè. Era senza maglietta, e non indossava nient’altro che un paio di succinti boxer rossi e le ciabatte. Il suo corpo era uno spesso incresparsi di muscoli e di filamentose vene, a malapena un’oncia di grasso in tutto – sembrava un lottatore di arti marziali sul punto di entrare nella gabbia. Osservò Luke avvicinarsi, poi gli indicò l’ovest.

      Laggiù, il cielo era ancora blu cobalto, la notte in ritiro, scacciata dalla luce che veniva da oriente. Sulla cima, le torreggianti pareti del canyon adesso erano accese da un frammento di sole che lanciava le sue striature in fiamme di rosso, rosa, giallo e arancio.

      “È bello, cavolo,” disse Ed.

      “Ed,” disse Luke. “Ho brutte notizie.”

      CAPITOLO DUE

      21:15 tempo medio di Greenwich (16:15 ora legale orientale)

      Quartiere di Molenbeek

      Bruxelles, Belgio

      Il magro sapeva parlare olandese.

      “Ga weg,” disse sottovoce. Vattene.

      Non si chiamava Jamal. Ma quello era il nome che a volte dava alle persone, e il nome con cui molta, molta gente era finita a conoscerlo. La maggior parte della gente lo chiamava Jamal. Alcuni lo chiamavano lo Spettro.

      Se ne stava nell’ombra vicino a un bidone della spazzatura traboccante, appena dentro a una stretta strada di ciottoli, a fumare una sigaretta osservando una macchina della polizia parcheggiata sulla via principale. La stradina nella quale si trovava era poco più di un vicolo, e standosene discosto nell’ombra si sentiva sicuro che nessuno potesse vederlo. I viali e i marciapiedi e i vicoli vuoti dei famigerati bassifondi musulmani erano bagnati da una fitta pioggia gelida che aveva smesso di scendere forse una decina di minuti prima.

      Quel posto era una città fantasma, quella notte.

      Sul viale, l’auto della polizia si scostò dal marciapiede e si immise silenziosamente in strada. Non c’era altro traffico.

      Una punta di agitazione – era quasi paura – percorse il corpo di Jamal mentre guardava la polizia. Non avevano ragione di infastidirlo. Non stava infrangendo nessuna legge. Era un uomo ben vestito in abito scuro e scarpe di pelle italiane, con il viso ben rasato. Poteva essere un uomo d’affari, o il proprietario di quei bassi caseggiati tutto intorno a lui. Non era il tipo che la polizia casualmente fermava e perquisiva. Eppure Jamal era già caduto nelle mani delle autorità in passato – non lì in Belgio, ma in altri posti. Erano state esperienze sgradevoli, per usare un eufemismo. Una volta aveva trascorso dodici ore ad ascoltarsi urlare di agonia.

      Scosse il capo per scacciare quei pensieri oscuri, finì la sigaretta in tre profondi tiri, ignorò il bidone della spazzatura e lanciò il mozzicone a terra. Si voltò per percorrere il vicolo. Superò un cartello rotondo e rosso con una striscia bianca orizzontale – VIETATO L’ACCESSO. La strada era troppo stretta per il traffico automobilistico. Se la polizia avesse improvvisamente deciso di volerlo inseguire, sarebbe stata costretta a muoversi a piedi. Oppure a fare un giro di molti isolati. Per quando fossero tornati, lui non ci sarebbe stato più.

      Dopo cinquanta metri, svoltò rapidamente e aprì con la chiave l’entrata di un edificio particolarmente fatiscente. Salì tre strette rampe finché le scale non morirono su una spessa porta rinforzata in acciaio. Le scale erano vecchie, fatte di legno e assurdamente contorte. L’intera rampa sembrava attorcigliarsi di qua e di là come una caramella toffee, dando la sensazione della casa dei divertimenti di un luna park.

      Jamal fece il pugno e batté contro la porta pesante, e i colpi arrivarono secondo un’attenta sequenza:

      BANG-BANG. BANG-BANG.

      Si fermò per qualche secondo.

      BANG.

      Si aprì uno spioncino e vi apparve un occhio. L’uomo dall’altra parte grugnì, verificando chi fosse. Jamal ascoltò la guardia girare chiavi nelle serrature, poi rimuovere la sbarra in acciaio incuneata al pavimento sul fondo della porta. Per la polizia sarebbe stato molto difficile entrare in quell’appartamento, se i loro sospetti mai vi fossero caduti sopra.

      “As salaam alaikum,” disse Jamal entrando.

      “Wa alailkum salaam,” disse l’uomo che aveva aperto la porta. Era alto e massiccio. Indossava una lercia t-shirt senza maniche, pantaloni da lavoro e stivali. Una folta barba mal tenuta gli copriva la faccia, andando incontro alla massa di capelli neri e ricci del cuoio capelluto. Aveva gli occhi spenti. Era tutto ciò che l’uomo magro non era.

      “Come sembrano messi?” disse Jamal in francese.

      L’uomo grosso fece spallucce. “Bene, penso.”

      Jamal attraversò una tenda di perline, percorse un breve corridoio ed entrò in una stanza piccola – che sarebbe stata un soggiorno se quel posto fosse stato occupato da una famiglia. La squallida stanza era piena di uomini giovani, tutti con addosso t-shirt, magliette delle loro squadre di calcio europee preferite, pantaloni della tuta e sneakers. Faceva caldo ed era umido nella stanza, forse per la prossimità di tutti quei corpi in uno spazio ristretto. Lì dentro sapeva da calzini sudati insieme a odore di corpi.

      Nel centro della stanza, su un ampio tavolo di legno, si trovava un dispositivo fatto d’argento a forma di proiettile. Era lungo circa un metro e largo meno di mezzo metro. Jamal aveva trascorso del tempo in Germania e in Austria, e quel dispositivo gli ricordava un piccolo fusto di birra. In realtà tranne che per il peso – era piuttosto leggero – era una replica molto, molto buona di una testata nucleare americana W80.

      Due giovani erano al tavolo, mentre gli altri giravano intorno e osservavano. Uno se ne stava in piedi davanti a un piccolo laptop montato all’interno di una valigia d’acciaio. La valigia aveva un pannello che correva lungo il laptop – c’erano due interruttori, due luci al LED (una rossa e una verde) e un quadrante costruiti nel pannello. Un cavo andava dalla valigia a un altro pannello lungo il lato della testata. L’intero dispositivo – la valigia e il laptop in essa contenuto – erano conosciuti come un UC 1583. Era un dispositivo progettato per un unico compito – comunicare con un’arma nucleare.

      Il secondo uomo era curvo su una busta СКАЧАТЬ