Il Bramino dell'Assam. Emilio Salgari
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Название: Il Bramino dell'Assam

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ tazze di cristallo azzurro.

      «Ora possiamo riprendere il nostro discorso» disse offrendo a Tremal-Naik delle sigarette. «Tu dunque mi dicevi che la pista dell’avvelenatore si è fermata dinanzi al fognone».

      «Fermata per modo di dire, perché né io né Timul abbiamo osato cacciarci in quelle gigantesche cloache che non si sa nemmeno quanti canali abbiano, né dove comincino, né dove finiscano. Ti dico io che là sotto, in mezzo a quell’atmosfera corrotta, vivono centinaia e centinaia di persone che non hanno altro tetto». «Dei paria?»

      «O dei cospiratori? Io mi sono informato da un indiano che conosce benissimo quelle cloache, se prima le fogne erano occupate da tutti quei disperati, ed ho avuto una risposta negativa. È solamente da qualche mese, che quando la notte cala, quei misteriosi individui raggiungono i loro fetenti rifugi. Che cosa vanno a fare laggiù, nella città sotterranea? A cacciare i topi? Io non lo credo affatto».

      «E nemmeno io» rispose Yanez, avvolgendosi in una nube di fumo odoroso. «Chi è quell’indiano che conosceva le fogne?» «Un vecchio, un superbo tipo che rassomiglia più ad un baniano».

      «I baniani sono sempre stati troppo poltroni per cospirare. Bisognerebbe ritrovare quell’uomo». «Non me lo sono lasciato scappare, Yanez: è già qui, guardato da Timul». «Fallo venire subito. Quell’uomo potrà esserci immensamente prezioso».

      «così ho pensato anch’io, poiché ci vuol poco a smarrirsi fra quelle immense cloache».

      Tremal-Naik vuotò il suo bicchiere di birra, gettò la sigaretta, aprì la porta ed uscì, mentre Kammamuri toglieva i tondi, lasciando però le bottiglie. Non era trascorso un minuto che rientrava seguito da un vecchio dalla lunga barba bianca e gli occhi scintillanti come quelli dei serpenti. Era magrissimo e si avvolgeva maestosamente in un vecchio dubgah che un giorno doveva essere stato giallo, ma che pel momento non mostrava che delle larghe macchie bianche e molti buchi. In testa portava un piccolo turbante, anche quello in cattive condizioni.

      Appena entrato fece tre profondi inchini alla rhani ed altrettanti a Yanez, poi attese di essere interrogato, fissando quei potenti coi suoi occhi che avevano talvolta la fosforescenza delle pupille dei gatti e delle tigri.

      «Sei indiano di quale regione?» gli chiese Yanez, additandogli una sedia e facendogli portare da Kammamuri una tazza di birra. «Sono un baniano, Altezza» rispose il vecchio.

      «Tutti i tuoi compatrioti sono abilissimi e fortunati commercianti. Che cosa fai tu qui nella mia capitale? Che cosa vendi?»

      «Delle pelli di topo che mando a Calcutta ad una casa inglese, e che servono per fare degli ottimi guanti». «Corpo di Giove!… Sei un cacciatore di rosicchianti?» «Sì, Altezza». «E guadagni?» «Tanto da non potermi comperare un’altra dubgah» sospirò il baniano. «A questo penseremo noi. È vero che tu conosci tutte le fogne della città?» «Sì, Altezza, e posso girarle tutte senza timore di smarrirmi». «Vi è pericolo di perdersi?»

      «Assai, poiché laggiù, fra tutti quei canali che s’incrociano e che si tagliano, che salgono e scendono, scaricando le loro acque fangose nel grande fognone, si perde subito l’orientamento» rispose il baniano. «Quanti disgraziati, che non avevano una casa, io ho incontrati là dentro morti di fame e poi spolpati dai topi. Ne ho veduti degli scheletri io!…» «È dunque così gigantesco il fognone?» chiese la rhani.

      «Immenso, signora ed è un lavoro che meriterebbe di essere visitato. Quante nicchie, quanti canali di scarico, quanti salti d’acqua per le piogge improvvise!…»

      «Fin dove si estende?» chiese Yanez, facendo segno a Kammamuri di portare al disgraziato cacciatore di topi una enorme fetta di lingua con parecchie pagnotte.

      «Io non le ho mai misurate, Altezza; però posso dirvi che si estendono per molte e molte miglia inglesi, e che si prolungano ancora al di là delle cinte della città».

      Yanez lo lasciò cacciar giù quattro grossi bocconi, prontamente inaffiati da un bicchiere di birra, poi il portoghese riprese: «Tu dunque saresti capace di guidarci attraverso la città sotterranea?»

      «E potrei dirvi, Altezza, ogni cento o duecento metri, che sopra di noi passa la tale via, si erge la tale pagoda, il tale monumento». «Ma quanto hai vissuto in quell’inferno?» chiese Tremal-Naik.

      «Tre anni, signore. I miei affari erano andati a male, un inglese mi aveva proposto di procurargli delle migliaia e migliaia di pelli di sorcioni e mi sono cacciato là dentro, procedendo dapprima con estrema prudenza, poiché vi sono dei luoghi difficili ad attraversarsi. Quella strana industria mi dava almeno da mangiare. Quando però quegli sconosciuti invasero il fognone, in pochi giorni mi trovai senza lavoro». «E perché?» chiese Yanez. «I topi, o erano tutti fuggiti o erano stati mangiati». «Mangiati!… E da chi?» «Da quegli invasori» rispose il baniano. «Oh!…» fece la rhani, con un gesto d’orrore.

      «Non sono così cattivi come si crede, signora. Ne ho mangiati delle centinaia e centinaia allo spiedo ed anche in salsa piccante». «Eccellenti come la lingua che stai divorando» disse Kammamuri, ridendo.

      «Oh, no!… I vecchi topi sono assai coriacei, e poi hanno un certo odore che non sempre piace. Le nidiate giovani però sono squisite».

      «Che il diavolo ti porti» disse Yanez, scoppiando in una risata. «E con tanti arrosti di topi sei rimasto magro come un fakiro.»

      «Non tutti i giorni ne avevo, Altezza» rispose il vecchio. «Avevano sentito il nemico che li accoppava a legnate e scappavano entro le volte superiori del fognone che sono estremamente difficili a percorrersi, perché sono col pavimento in pendenza, e che pendenza!… Certe volte bisogna strisciare sul ventre per guadagnare pochi passi». «E quegli sconosciuti quando hanno invaso le cloache?» «Circa un mese fa, Altezza». «Erano molti?»

      «Non ho potuto contarli, poiché una notte mentre cacciavo in una fogna laterale mi hanno sparato contro due colpi di pistola, e notate che io non porto con me mai nessun lume, perché vedo come i gatti e le tigri».

      «Si vede dal lampo fosforescente dei tuoi occhi, che ora sono neri ed ora verdastri. E da allora non hai più osato scendere nelle cloache?»

      «No, Altezza. Se uno viene ferito e cade in uno di quei canali fangosi e puzzolenti, non si salva più, e la morte è orribile». «Hai spiato quegli uomini?» «Per molte e molte sere». «Che cosa ti parvero?» «Dei paria». «Non hai notato, fra di loro, vero o falso, un bramino?»

      Il baniano depose bruscamente il bicchiere di birra che Kammamuri gli aveva nuovamente riempito, e mandò un grido di stupore.

      «Sì, vi è fra di loro, un uomo che indossa le vesti di un bramino» disse. «Come un sacerdote si unisca a quella canaglia da tutti sfuggita, io non lo so capire e me lo domando sempre». «Giovane o vecchio?» chiese Tremal-Naik, scattando. «Vecchio» rispose il cacciatore di topi. «Ha la barba quasi bianca».

      «Non è lui l’avvelenatore. Quello che si è presentato a me era giovane ancora, sui trent’anni» disse Yanez.

      «Ed anche quello che si è ripresentato» disse Tremal-Naik. «Non ne hai veduto un altro?»

      Il baniano si passò parecchie volte la mano sulla larga fronte, poi disse, però con una certa esitazione: «Sì, infatti, una sera mi parve di vederne un altro scendere nelle cloache». «Sapresti riconoscerlo?»

      «Non so, signore, ma forse trovandomi dinanzi a lui potrebbe anche darsi. Quel tipo non mi è interamente sfuggito». «Ed era anche quello un bramino?» chiese Yanez. «Almeno ne indossava le vesti».

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