Il Bramino dell'Assam. Emilio Salgari
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Название: Il Bramino dell'Assam

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ che Sindhia sia fuggito da Calcutta, dopo d’aver ricuperata la ragione, e che ora tenti, a sua volta, di levarci dalla testa le nostre corone».

      «Anche a me era venuto, e più volte, sulle labbra, quel nome. Sindhia non deve essere meno perfido di suo fratello, che per divertirsi, fucilava i suoi parenti». «Che cosa mi consigli di fare?»

      «Di mandare Kammamuri a Calcutta per accertarsi se Sindhia si trova ancora là oppure se è fuggito».

      «E lo incaricherò anche di un’altra missione» disse Yanez, il quale si era bruscamente alzato, mettendosi a passeggiare. «Farò spedire un dispaccio cifrato a Labuan e farò accorrere al più presto Sandokan ed i suoi invincibili Tigrotti. Con loro e coi montanari di Sadhja, che sono sempre fedelissimi a te, daremo del filo da torcere a quel pazzo sanguinario». «Vuoi far venire Sandokan?…»

      «Credo che sia necessario, mia piccola moglie. Il nostro trono oscilla troppo. Fra venticinque giorni i Tigrotti di Mòmpracem potrebbero giungere qui col loro capo». «Ma verrà Sandokan?»

      «Che cosa vuoi che faccia a Mòmpracem, ora che laggiù tutto è tranquillo? Deve annoiarsi mortalmente. Tu sai che quell’uomo non vive che per menare le mani, sparare carabinate e pistolettate. Salperà subito col suo piccolo incrociatore e filerà attraverso l’Oceano Indiano a tutto vapore». In quel momento fu bussato alla porta.

      «Passate» disse Yanez, mettendo però istintivamente una mano sul calcio della pistola che era passata attraverso la fascia. «Sono io» rispose una voce forte e sonora. Surama ed il portoghese avevano mandato due grida di gioia: «Tremal-Naik!…»

      CAPITOLO TERZO: IL CACCIATORE DI TOPI

      Un momento dopo entrava nel salottino il famoso “Cacciatore della Jungla Nera” e dei thugs delle Sunderbunds. Era un bellissimo tipo d’indiano bengalino, già più che quarantacinquenne, dalla persona elegante e flessuosa senza essere magra, dai lineamenti fini, energici, la pelle lievemente abbronzata come gli indiani che escono dalle alte caste, non contaminate dalle impurità dei paria. Vestiva come i ricchi indiani modernizzati dalla Young-India, i quali ormai hanno lasciato il dootée e il dubgah per il costume anglo-indù, assai più comodo: giacca di tela bianca con alamari di seta rossa, fascia ricamata altissima sorreggente due lunghe pistole, calzoni stretti pure di tela bianca, e sul capo un piccolo turbante variegato.

      «Da dove vieni?» gridò Yanez, tendendogli la mano, subito imitato da Surama. «Credevo che avessero avvelenato anche te».

      Sulla fronte dell’indiano passò come una nube, ed i suoi occhi nerissimi ebbero un lampo.

      «Come vedete, amici miei, sono ancora vivo ed in perfetta salute» rispose l’indiano. «Mi sono ben guardato dal fermarmi in qualche albergo per vuotare una bottiglia di birra inglese. Per Siva! La cosa è grave». «È a me che lo dici?» disse Yanez. «Diciamo invece gravissima. Dove sei stato?»

      «Ho dato la caccia all’avvelenatore del tuo primo ministro insieme a Timul. Quel giovane sa trovare una pista fra mille, in modo assolutamente stupefacente». «E l’hai scoperto?» chiesero ad un tempo la rhani ed il portoghese.

      «Vi dico che qui, nella vostra capitale che sembra tanto tranquilla, si congiura per strapparvi probabilmente la corona».

      «Ma dove sono questi congiurati?» gridò Yanez. «Dimmelo e li farò arrestare immediatamente».

      «Sarà un affare un po’ difficile» rispose l’indiano, sedendosi su una poltrona a dondolo. «Conosci tu il sottosuolo della tua capitale? Scommetterei una rupia contro mille che lo ignori».

      «Io so che il terreno che regge i nostri palazzi, le nostre pagode, i nostri monumenti, è composto di buona terra mista a lastre di pietra».

      «Non hai mai udito parlare delle immense cloache che corrono e che si diramano sotto questa città?»

      «Sì, ma io mi sono ben guardato di cacciarmi dentro a quei budelli pieni di microbi pericolosi. Oh!… Le cure dello stato!… Non mi lasciano mai un momento di tempo». Surama e Tremal-Naik erano scoppiati in una risata.

      «Già», disse l’indiano, «tu conduci il carro dello stato cacciando e massacrando quasi ogni giorno bufali, tigri, orsi ed elefanti».

      «Un principe deve ben svagarsi» rispose serio il portoghese. «E poi libero le mie foreste dalle bestie pericolose che divorano o sventrano i miei sudditi. Surama firma i decreti per me ed io faccio tuonare la mia carabina. Tu mi parlavi delle cloache».

      «Sì, amico: la pista che Timul ha seguita si è fermata dinanzi ad un gigantesco fognone costruito forse dai mongoli due o trecent’anni fa».

      «E non potreste esservi ingannati?» chiese Surama, la quale era diventata assai pallida.

      «Quando quel diavolo di Timul si mette su una traccia, la segue sempre, senza mai ingannarsi. Lui ha rilevato attentamente i piedi del bramino che dopo d’aver avvelenato il ministro è fuggito». «Sarà poi un bramino?» chiese Yanez. «Non sarà un dacoita invece?»

      «Il mistero è lì, però non dispero di delucidarlo. Ti ricordi, Yanez, quando insieme a Sandokan ed i suoi Tigrotti, abbiamo dato la caccia agli ultimi thugs che si celavano nei sotterranei di Rajmangal?»

      «Come fosse ieri. Mi ricordo benissimo che stavano per affogarci come tanti topi della foce sorpresi da un improvviso uragano. Per qualche ora la morte è passata e ripassata dinanzi a noi e…» Si era interrotto alzandosi bruscamente. «Chi c’è?» «Io, signore: ho picchiato già tre volte e non mi avete udito che alla terza».

      «Per te, Kammamuri, il nostro appartamento privato è sempre libero. Passa, ché vi è anche il tuo padrone». «Lo so, signore, l’ho veduto prima di voi».

      La porta fu spalancata ed il maharatto entrò seguito da quattro valletti i quali portavano, su dei giganteschi tondi d’oro splendidamente scolpiti, due enormi lingue di bufalo fumanti. «Sei diventato cuciniere, ora?» chiese Tremal-Naik.

      «Sì, finché non avremo scoperti ed appiccati o fucilati gli avvelenatori» rispose il maharatto. «In cucina ora impero io, e non perderò d’occhio i cuochi. Voi, signor Yanez, vi eravate dimenticato della cena».

      «Quasi» rispose il portoghese. «La saluto però con piacere, tanto più che non correrò nessun pericolo di sorbire anche io alcune gocce di veleno dei bis cobra».

      «Queste lingue, signore, ed anche la salsa che le contorna, sono state preparate da me solo, perché non ho voluto nessun aiutante, così sarete più sicuro».

      Altri quattro valletti erano intanto entrati portando tondi d’argento, posate, bottiglie, salviette e tovaglia. Una tavola rotonda, d’ebano, incrostata di madreperla e filettata artisticamente d’oro, venne spinta in mezzo allo studio. Rapidamente i valletti prepararono ogni cosa, poi, ad un cenno di Yanez se ne andarono sulla punta dei piedi, senza aver pronunciata una parola. «I ministri vegliano sempre il morto?» chiese il portoghese a Kammamuri. «Sì, signore, e anche bevono molto».

      «Làsciali fare. Nessuno qui più ha da entrare fuorché Timul che sarà chiamato al momento opportuno».

      Chiuse la porta a chiave e si assise a tavola, a fianco della bellissima rhani, con Tremal-Naik di fronte.

      Kammamuri da cuoco era diventato servitore, o meglio cameriere, e tagliava le lingue con grande abilità, coprendo le larghe fette con una salsa rossastra che sprigionava un acuto profumo di pimento, la droga preferita dagli indiani. Malgrado le loro preoccupazioni, i due uomini СКАЧАТЬ