Il Bramino dell'Assam. Emilio Salgari
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Название: Il Bramino dell'Assam

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ di rettili, nella temibile Jungla Nera scorrazzata dai thugs di RajmangaL».

      «Verissimo, signore. Quella grossa lucertola è più velenosa del serpente del minuto e di tutti i cobra. Non si è scoperto nessun rimedio contro il suo veleno». «Hai ucciso qualcuno di quei brutti lucertoloni?» «Delle centinaia, signore: io ed il mio padrone ne facevamo delle vere stragi». «Credi tu che dai denti si possa far sprizzare il veleno?» «Facilmente, signore». «Di che colore è quel veleno?» «Ha una tinta diafana, quasi madreperlacea» rispose il maharatto. «Hai mai provato a mescolarlo con un po’ d’acqua?»

      «No, mai, signore. Avevamo troppe occupazioni nella Jungla Nera in quel tempo per fare degli esperimenti».

      «Corpo di tutti i fulmini di Giove!…» esclamò Yanez, riprendendo la sua passeggiata più furiosamente di prima, per non arrestarsi che qualche istante sotto le quattro gigantesche lanterne cinesi che proiettavano una luce dolcissima, simile a quella della luna.

      Sagrava, il brav’uomo, e non sapendo con chi sfogarsi, se la prendeva colla sua quarantesima sigaretta che faceva fumare come una piccola vaporiera. Ad un tratto tornò verso il vecchio ministro e gli chiese: «Credi tu che fosse realmente un sacerdote bramino?»

      «Io non so, ma ho i miei dubbi, Altezza» rispose Bharawi. «Il suo volto non mi pareva quello di un uomo appartenente alle alte caste». «Dov’è Tremal-Naik?»

      «È partito una mezz’ora dopo scoperto il delitto, insieme a Timul, il famoso cercatore di piste». «Una traccia è stata trovata allora?»

      «Così pare. La Piccola Tigre del Borneo non avrebbe lasciato il palazzo se non avesse avuto dei gravissimi motivi».

      «Chi lo sa!… Se ha con sé Timul si può sperare qualche cosa. Quando quel giovanotto rileva una pista non la lascia più, e sa ritrovarla anche in mezzo alle vie polverose ed alle folte foreste. Che cosa ne pensate voi di questo nuovo delitto?»

      «Poco di buono» rispose Bharawi per tutti. «Domani o fra otto giorni potrebbe succedere anche a noi un simile caso. I vostri misteriosi nemici l’hanno a morte coi vostri ministri». «Chi sono? Vorrei saperlo». «Abbiamo lanciata tutta la nostra polizia attraverso le vie della capitale». «E nessuno è ancora ritornato?» «No, Altezza».

      «Fate la guardia al cadavere, e se succede qualche cosa, venite subito ad avvertirmi nel mio gabinetto. Già, questa notte non dormirò». «Volete dare la caccia all’assassino, signore?» chiese Kammamuri.

      «Aspettiamo prima che ritorni Tremal-Naik. Rimani anche tu qui di guardia, e se quel bramino ritorna, afferralo pel collo e, comunque sia, anche mezzo strangolato, portamelo».

      «Hum!… Dubito che si faccia vedere, signore» rispose il maharatto, scuotendo la testa.

      «T’inganni, amico. Gli assassini sentono quasi sempre un prepotente bisogno di rivedere il luogo ove hanno commesso il delitto».

      Yanez augurò ai suoi tre ministri la buonasera ed uscì dalla sala preceduto dai due mussalchi che portavano delle lanterne monumentali. Attraversò parecchie gallerie, tutte splendenti d’armi disposte a grandi gruppi assai artistici, poi altre sale immense, debolmente illuminate, e si fermò dinanzi ad una porta, dicendo ai portatori delle lanterne: «Andate: non ho più bisogno di voi».

      I due mussalchi fecero un profondo inchino, toccando colla fronte quasi le pietre lucentissime e ben levigate, e Yanez, girata bruscamente la maniglia, entrò in un elegante salotto che aveva le pareti coperte di seta azzurra ricamata d’oro, con molti divani bassi intorno, ed illuminato da una lampada che proiettava sotto di sé come una luce lunare. Si accostò ad un’altra porta, sul cui stipite era appeso un gong, prese un martelletto di legno e fece risuonare tre volte l’istrumento, scatenando un fragore assordante. Un momento dopo la stessa porta si apriva quasi violentemente e la rhani, sua moglie, compariva, in preda ad una vivissima agitazione, gridando: «Oh, mio Yanez!… Ho tremato per te!…»

      La principessa dell’Assam era una splendida donna, appena venticinquenne, dalla pelle leggermente abbronzata, dai lineamenti dolci e fini, con occhi nerissimi, profondi, e capelli ancora più neri, assai lunghi intrecciati con fiori di mussenda dalla tinta sanguigna ed a gruppi di perle dei banchi di Manahar.

      Indossava un magnifico vestito di seta rosa, tutto ricami d’oro, e portava lunghi calzoni di seta bianca che facevano vivamente spiccare le rosse babbucce a punta rialzata, pure ricamate in oro con piccoli diamanti. Yanez aprì le robuste braccia, stringendosi al petto la piccola rhani.

      «Ah, mio signore!…» esclamò Surama, lasciandosi quasi portare verso una ottomana bassa, tutta scintillante di ori con grandi cuscini, di varie tinte, ricamati.

      «Quando tu, mia piccola moglie, mi vedi prendere il fucile, diventi inquieta» disse Yanez ridendo. «Non parto mai solo, e poi tu sai che anche le tigri più feroci, anche le solitarie, non hanno mai avuto buon giuoco con me». «Trascuri gli affari del nostro stato, mio signore».

      «Non abbiamo dei ministri che ci divorano diecimila rupie all’anno per lasciarsi poi stupidamente avvelenare? E poi tu sai che ho il sangue irrequieto delle Tigri della Malesia. E Soarez?» «Dorme». «Chi lo veglia?»

      «La sua nutrice. La porta della sua stanza è sbarrata, ed al di fuori vegliano due rajaputi con due molossi del Tibet. Nessuno oserebbe avvicinarsi».

      «Lo credo. Quei cani sono così forti da atterrare perfino gli orsi. Andiamo a vedere nostro figlio». «Non far rumore: dorme». «E lo lascerò dormire tranquillo» rispose Yanez.

      S’alzarono tenendosi quasi abbracciati, ed aprirono la porta che era in parte nascosta da una tenda di pesante broccato. Si trovarono in una stanza appena illuminata, colle pareti coperte tutte di seta bianca ed il pavimento di fitti tappeti a tinte smaglianti provenienti dal Caschmir, con dei divanetti che si seguivano tutto intorno.

      Nel mezzo, in una culla di filo d’argento, che rassomigliava ad un pesce, coperto da una leggerissima mussola di seta, dormiva il figlio dei sovrani dell’Assam.

      Yanez aveva alzata la mussola guardando il bambino che dormiva placidamente, con una mano tesa, come se impugnasse qualche arma. Non aveva che due anni, ma era già assai sviluppato per quell’età. La sua pelle era leggermente diafana, con quei riflessi madreperlacei che si riscontrano sui volti delle creole americane, di Cuba e di Portorico, dovuti al sangue incrociato. I capelli erano nerissimi come quelli di sua madre, tutti inanellati e già assai lunghi.

      «Si direbbe che sogna future battaglie» disse Yanez, lasciando ricadere lentamente la mussola. «La sua manina fremeva come se premesse su qualche carabina».

      «È figlio tuo e diverrà un giorno un grande guerriero, mio signore» disse Surama. «Noi non sapremo domare gli impeti del suo sangue».

      «Lo manderemo a Sandokan, se quel brav’uomo sarà ancora vivo. Tutte le Tigri della Malesia invecchiano» disse Yanez, con un sospiro. «La Tigre camperà cent’anni». «Gliene auguri troppi, Surama». Le passò un braccio attraverso la vita sottile e la ricondusse nel suo studio. Era diventato assai serio.

      «Sai, mia piccola moglie, che il nostro stato comincia a camminare male? Ha qualche ruota guasta che bisogna fare accomodare al più presto, o noi morremo tutti avvelenati». «Sono spaventata, Yanez: tremo sempre per te e per Soarez».

      «Ed io per te, Surama. Ora sono i nostri ministri che mandano a passeggiare nel kailasson da dove non si ritorna più, e domani, o fra un mese, non toccherà la nostra volta? Questi delitti mi hanno assai impressionato». «Eppure il popolo ci ama, Yanez».

      «Non СКАЧАТЬ