Il Bramino dell'Assam. Emilio Salgari
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Название: Il Bramino dell'Assam

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ subito alla capitale. Ho molta fretta, cornac». «Sahur, se troverà posto correrà come un cavallo». «A terra allora, e prima esamina le catene poiché il carro è pesantissimo». «Fra cinque minuti noi saremo in viaggio, Altezza».

      Yanez discese dal carro e raggiunse Kammamuri e gli sikkari. Questi lavorando a gran lena, sfondando e tagliando, avevano già messe da parte quindici o sedici lingue di dimensioni straordinarie e che promettevano bocconi squisiti.

      «Ne serberai una per me, Kammamuri, per la cena di questa sera, ma tu solo devi incaricarti della sua cottura».

      «Ah!… Avete già rinunciato alle uova, signor Yanez?» disse il maharatto, con accento un po’ beffardo.

      «Comincerò domani» rispose serio serio Yanez. «Lasciate andare gli altri bufali».

      «Peccato lasciare tutta questa carne agli sciacalli. Questa sera accorreranno qui a centinaia e centinaia, e domani non avranno lasciate che le ossa».

      «Non abbiamo tempo di occuparcene, mio bravo Kammamuri: partiamo subito».

      Sahur era stato già attaccato al pesantissimo carro, mediante robuste catene, e cominciava a dar segni d’impazienza soffiando rumorosamente e pestando e ripestando il terreno colle sue larghe zampe. «Siamo pronti, cornac?» chiese Yanez. «Quando vorrete, Altezza».

      Gli sikkari con Kammamuri montarono portando le lingue che accumularono in un angolo, coprendole con un pezzo di tela, per tenere lontane le mosche che nelle foreste indiane, sono assai grosse e voracissime, poi mentre Yanez accendeva la sua eterna sigaretta, il coomareah, ad un grido del suo conduttore raccolse tutte le sue forze e diede uno strappo violento tendendo le catene. L’enorme carro, che aveva le quattro ruote mezzo affondate nel terreno molle e quasi spugnoso, per qualche po’ rimase immobile, però alla terza ripresa del bravo elefante fu come strappato, e si mise in viaggio attraverso alla folta foresta che cominciava a diventare oscura per l’imminente tramonto del sole.

      «Non credevo di tardare tanto» disse Yanez, il quale continuava a fumare seduto su una cassa contenente dei viveri e delle bottiglie. «Eppure siamo partiti di buon mattino, è vero, Kammamuri?» «Ci si vedeva appena, Altezza».

      «Che il diavolo porti nelle bolge infernali te e tutte le Altezze che regnano nell’India».

      «Non sono ancora troppo vecchio, signor Yanez» disse il maharatto, ridendo. «Prima di andarmene all’altro mondo voglio rivedere le jungle delle Sunderbunds e l’isola di Mòmpracem». «Per cercare che cosa, nelle Sunderbunds? Dei thugs? Li abbiamo distrutti».

      «Hum!…» fece il maharatto. «Ne abbiamo ammazzati molti dentro le gallerie sotterranee, che più nessuno avrà vuotate; che siano morti poi tutti, non so dire, signor Yanez».

      «Corpo di Giove!…» esclamò il portoghese, lanciando via la sigaretta per prenderne subito un’altra. «Tu mi metti una pulce nell’orecchio destro». «Dite pure». «Vorresti forse dire che Sindhia ha cercato un appoggio negli strangolatori?»

      «Tutto è possibile in questo paese, signor Yanez» disse Kammamuri, il quale appariva assai preoccupato.

      Il principe rimase un momento silenzioso, fumando con maggior furia, poi disse:

      «Non credo: qui si tratta di avvelenamenti e non di strangolamenti. I thugs in questo affare non devono entrarci affatto, e poi sono ormai dispersi e perseguitati dalla polizia inglese come cani idrofobi, e fucilati senza processo. Qui c’entrano i dacoiti, ne sono sicuro. Tu che sei indiano, dimmi un po’ chi sono quei personaggi».

      «Valgono i thugs, signor Yanez» rispose Kammamuri. «Forse sono più pericolosi ancora». «Delle canaglie?»

      «E che canaglie!… Costituiscono delle vere bande di ladri e di briganti, astuti, audacissimi, più lesti dei cobra-capello a propinare il veleno alle vittime. Agiscono per lo più nel Bundelkund, tuttavia non mi stupirei che un manipolo di quei furfanti fosse stato assoldato da Sindhia».

      «Sindhia!…» gridò Yanez, lanciando via la seconda sigaretta e corrugando la fronte. «Tu dunque credi che sia fuggito dal manicomio di Calcutta, dove Surama l’aveva internato con un appannaggio più che principesco? Che voglia riconquistare il suo impero? Ah!… Non sono uomo da lasciar portar via la corona che brilla sulla bella fronte di mia moglie!»

      «Per la morte di Visnù!… Non abbiamo ripresa Mòmpracem, malgrado tutti gli incrociatori inglesi? Ci vorrebbero però, signor Yanez, alla vostra corte, una cinquantina di quei terribili ed incorruttibili malesi».

      «E perché non li faremo venire?» disse Yanez, il quale era diventato assai pensieroso. «Fra Calcutta e Labuan oggi vi è un buon cavo sottomarino: un dispaccio potrà al massimo impiegare un’ora, i malesi a giungere qui ci metteranno appena quindici giorni, poiché ormai Sandokan, se conserva i suoi prahos, ha dato la preferenza al vapore. Per Giove!… Sono più inquieto di quello che tu creda. I dacoiti nel mio impero!… Tanti ne prenderò e tanti ne farò fucilare. Fucilare!… Ma che!… Li farò legare alla bocca dei cannoni e manderò in aria i loro stracci di carne insieme alle ossa». «Signor Yanez, diventate feroce come la Tigre della Malesia!…»

      «Devo difendere mia moglie e mio figlio» rispose il portoghese, con voce grave. «Non risparmierò nessuna punizione contro gli avvelenatori. Tre ministri in un mese!… Fulmini di Giove, sono troppi!… Come sono vivo io?»

      «Non vi hanno avvelenato, perché hanno troppa paura di voi, e poi sapete che Tremal-Naik sorveglia strettamente».

      «Un po’ di veleno di cobra-capello lasciato cadere dentro una bottiglia od in una gelatiera sarebbe più che bastato per togliermi per sempre il vizio di fumare. Per Giove!… Voglio ben vedere dentro a questa faccenda. Se sono i dacoiti che agiscono per conto di Sindhia, non avranno quartiere. Consumeremo della polvere a fracassare dei corpi umani, indegni di vivere. Prima i thugs, ora i dacoiti!… Bella guerra!… Ciò mi divertirà più che le cacce ai bufali ed alle tigri. Cornac, se puoi, affretta».

      «Sì, Altezza. Incito Sahur, ma la foresta è folta ed il carro troppo enorme. La prima traccia è stata perduta o meglio è stata rovinata dagli jungli-kudpa». «Dai bisonti, vuoi dire». «Sì, Altezza». «Giungeremo in città a notte fatta».

      «Farò il possibile, usciti dalla foresta, di spingere Sahur, se non di corsa almeno di buon passo» rispose il cornac.

      L’enorme carro procedeva scricchiolando ed oscillando quasi fosse diventato una nave investita da un buon rollio. Sotto gli strappi violenti dell’elefante, costretto ad aprirsi una nuova strada fra tutti quei folti vegetali, le travi, quantunque bene arpionate, minacciavano di sollevarsi e di sfasciare tutto il bastione roteante. Annottava rapidamente sotto la boscaglia ed anche al di là della immensa cupola di foglie, la luce andava spegnendosi fra gli ultimi guizzi d’oro.

      I vampiri, che sono così numerosi nell’India e specialmente nell’Assam, uscivano a frotte dai tronchi cariati che servivano loro d’asilo durante il giorno, e volteggiavano intorno al carro spiegando le loro grandi ali che misurano più d’un metro.

      Gran brutte bestie quei flying-fox, come li hanno chiamati gli inglesi, poiché rassomigliano a vere volpi, col muso egualmente appuntito, i denti aguzzi e solidi, ed il pelame assai folto che tira al rossiccio. Quantunque quegli enormi pipistrelli li abbiano chiamati, oltre che volpi volanti, anche vampiri, sono assolutamente inoffensivi. Si accontentano di devastare i frutteti, ma di lasciare i coltivatori, addormentati per lo più dinanzi alle loro capanne di paglia e di fango, tranquillissimi; e non interrompono il loro sonno.

      È vero che qualche volta si unisce a loro un pipistrello СКАЧАТЬ