Название: Il Quadriregio
Автор: Frezzi Federico
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066072339
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facean, mirando noi, al plaustro sbarro.
160 Triton sonava, e li lieti delfini
givan saltando sopra l'onde chiare,
che soglion di fortuna esser divini.
Poiché mostrato m'ebbe tutto il mare
e che dell'acque la cagion mi disse,
165 perché sotto son dolci e sopra amare,
in terra ne posò e lí s'affisse,
e fe' ballar per festa le sue dame:
e poi dicendo:—Addio,—da noi partisse.
Allor Venus andò al suo reame.
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CAPITOLO XVI
Del reame di Venere, e come le ninfe del medesimo reame dispiacquero all'autore, perché usavano atti disonesti d'amore; onde Venere il menò a ninfe piú oneste, ma piú piene d'inganno.
Chi di Venus ben vuol saper il regno
com'è disposto, sguardi pure agli atti;
ché ogni balla si conosce al segno.
Come gli uomini sonno dentro fatti,
5 nell'opera di fuor si manifesta:
quella è che mostra i saggi ed anco i matti.
Poiché passata avemmo una foresta,
io vidi il regno suo piú oltra un poco
e gente vidi quivi in gioia e festa.
10 Ed in quel regno quasi in ogni loco
eran distinte ninfe a sorte a sorte
in balli e canti ed in solazzi e gioco.
Quando si funno di Ciprigna accorte:
—Ecco la nostra dea—dissono alquante,—
15 che torna a suo reame ed a sua corte.—
Ben mille ninfe allor venneno avante,
di rose coronate e fior vermigli,
vestite a bianco dal collo alle piante.
E de' loro occhi e dell'alzar de' cigli
20 Cupido fatto avea le sue saette
e l'ésca, con la qual gli amanti pigli;
ché quelle vaghe e belle giovinette
con que' sembianti moveano lo sguardo,
che fa la 'manza che assentir promette.
25 Non era lí mestier pregar che 'l dardo
traesse dio Cupido a far ferita
o ch'egli al suo venir non fosse tardo;
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ch'ognuna mi parea che senza invita,
solo al mirar e ad un picciol cenno,
30 che nella vista sua mi dicesse:—Ita.—
Poiché diversi balli quivi fenno
'nanti a Ciprigna con canti esquisiti
e misurati suon con arte e senno,
io vidi dame e vidi ermafroditi,
35 uomini e donne insieme, venir nudi,
ove natura vuol che sien vestiti.
Al viso con le man mi feci scudi
per non vedergli; ond'ella:—Perché gli occhi
—mi disse—colle man cosí ti chiudi?—
40 Risposi a lei che gli atti turpi e sciocchi
e ciò che vuol natura che sia occolto,
enorme par che 'n pubblico s'adocchi.
Ed ella a me:—Un luoco dista molto,
ove tengo mie ninfe tanto oneste,
45 che, solo udendo amor, le arroscia il volto;
talché, quando Diana fa sue feste
o va alla caccia tra luochi selvaggi,
spesso vuole che alcuna io gli ne preste.
Li sta la ninfa, la qual voglio ch'aggi,
50 la qual, perché non gissi, io ti mostrai
a lato a me tra gli splendenti raggi.—
Partissi allora, ed io la seguitai
insino a quelle, e di tant'eccellenza
Natura ninfe non formò giammai.
55 Né Fiandra, né Roma, ovver Fiorenza,
né leggiadria giammai che di Francia esca,
mostrâro ninfe di tant'apparenza.
D'una di quelle Amor mi fece l'ésca
ad ingannarmi, e fui preso sí come
60 uccello o all'amo pesce che si pesca.
Venere Ionia la chiamò per nome.
Allor dall'altre venne la donzella
con la grillanda su le bionde chiome.
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E, come va per via sposa novella
65 a passi rari e porta gli occhi bassi
con faccia vergognosa e non favella,
cosí la falsa moveva li passi
per ingannarmi e, quando mi fu appresso,
mi riguardò; ond'io gran sospir trassi.
70 Venere disse a lei:—Io ho promesso
a questo giovinetto che ti guide:
a lui ti diedi ed or ti dono ad esso.—
Sí come putta che piangendo ride