Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3. Джек Марс
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Название: Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3

Автор: Джек Марс

Издательство: Lukeman Literary Management Ltd

Жанр: Триллеры

Серия:

isbn: 9781094305660

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СКАЧАТЬ primordiale. Le loro ombre si stagliavano in diagonale nella cupa penombra giallastra di quel piccolo angolo del grande magazzino.

      Murphy si allontanò di qualche passo sul pavimento di pietra. Il rumore riecheggiò nello spazio cavernoso.

      Stava provando una strana combinazione di emozioni. Da una parte, si sentiva rilassato e calmo. Aveva appena iniziato con l’interrogatorio e aveva tutto il tempo del mondo. Nessuno sarebbe entrato in quel posto.

      Fuori dalla cancellata di quel magazzino c’era una baraccopoli. Era un deserto di cemento, in cui squallidi negozietti, rivendite di alcolici, agenzie di cambio e banchi di pegno erano ammassati insieme. Gruppetti di donne che stringevano buste di plastica aspettavano alle fermate degli autobus durante il giorno, mentre di notte uomini sbronzi bevevano birra e vino economico agli angoli delle strade.

      In quel momento, riusciva a sentire i rumori del quartiere: le auto di passaggio, la musica, le grida e le risate. Ma si stava facendo tardi e presto sarebbe calato il silenzio. Persino in quella zona la gente andava a dormire a una certa ora.

      Quindi sì, nell’immediato futuro, aveva tempo. Ma in senso più ampio, il tempo non era suo amico. Era un ex agente della Delta Force e dipendente in prova del Gruppo d’Intervento Speciale dell’FBI. Si stava distinguendo sul lavoro e durante il suo primo incarico aveva persino preso parte in maniera apparentemente brillante a una feroce sparatoria a Montreal.

      Quello che nessuno capiva era quanto fosse stato davvero bravo. Aveva fatto un abile doppio gioco, e prima dello scontro aveva convinto l’ex agente della CIA Wallace Speck, il cosiddetto ‘Signore Oscuro’ in persona, a mandargli due milioni e mezzo su un conto anonimo a Grand Cayman.

      Ora Speck era in una prigione federale, condannato alla pena di morte. E ciò gettava un’ombra sulla vita di Ken Murphy. E se l’ex agente avesse svelato tutti i suoi segreti ai suoi carcerieri? In quel caso, che cosa gli avrebbe detto?

      Speck aveva saputo chi era Kevin Murphy?

      “Non uccidermi,” lo pregò l’uomo sulla sedia.

      Lui sorrise. Vicino alla sua vittima c’era un’altra sedia. Sopra vi era stesa la sua giacca sportiva, e sotto l’indumento c’era la sua fondina con una pistola. Nella tasca dei pantaloni aveva un grosso silenziatore che si adattava alla canna dell’arma come un guanto.

      Fatti l’uno per l’altra. Come diceva quella vecchia pubblicità? Perfetti insieme.

      “Ucciderti? Perché dovrei farlo?”

      Quello agitò la testa iniziando a piangere. Il suo torace muscoloso si sollevò per i singhiozzi. “Perché è per questo che ti hanno mandato.”

      Murphy annuì. Era vero.

      Fissò l’uomo. Bastardo piagnucoloso. Detestava quelli come lui. Verme. Era un assassino a sangue freddo. Un bullo. Si credeva un vero duro, con le parole BANG e POW! tatuate sulle nocche.

      Era il tipo d’uomo che ammazzava persone innocenti e innocue, in parte perché era quello che era pagato per fare, ma anche perché era facile e gli piaceva farlo. E poi, non appena si ritrovava davanti qualcuno come Murphy, andava in pezzi e iniziava a supplicare. Anche lui aveva ucciso molta gente, ma per quanto ne sapeva non aveva mai fatto fuori un innocente né un civile. Era specializzato nell’omicidio di uomo duri a morire.

      Ma quello?

      Sospirò. Se lo avesse voluto, avrebbe potuto farlo strisciare a terra come un verme.

      Scosse la testa. Non gli interessava. Aveva solo bisogno di un’informazione.

      “Qualche settimana fa, proprio quando il nostro caro presidente ormai deceduto è sparito, hai ucciso una giovane donna di nome Nisa Kuar Brar. Non negarlo. Hai anche fatto fuori i suoi due figli, una bimba di quattro anni e un neonato. La bambina indossava un pigiama di Barney il dinosauro. Sì, ho visto le foto della scena del crimine. Le persone che hai ucciso erano la moglie e i figli di un tassista, tale Jahjeet Singh Brar. L’intera famiglia era di religione Sikh, e veniva dal Punjab, in India. Sei riuscito a entrare nel loro appartamento a Columbia Heights dichiarandoti un poliziotto di nome Michael Dell. Che buffo nome. Michael Dell. Lo trovi divertente?”

      L’uomo scosse la testa. “No. Assolutamente no. Non c’è niente di vero. Chiunque te l’abbia detto è un bugiardo. Ti hanno mentito.”

      Il sorriso di Murphy si allargò. Fece spallucce, trattenendo una risata.

      Ma che tipo…

      “Me l’ha detto il tuo complice. Il suo nome d’arte era Roger Stevens, ma in realtà si chiamava Delroy Rose.” Si fermò e ispirò a fondo. A volte si ritrovava un po’ troppo su di giri in situazioni come quella. Era importante che rimanesse calmo. Doveva solo ottenere la sua informazione, nient’altro.

      “Ti fa scattare un campanello?”

      Il tizio incurvò le spalle, singhiozzando piano, tremando per tutto il corpo.

      “No. Non so chi…”

      “Chiudi il becco e ascoltami,” lo interruppe lui. “Okay?”

      Non lo toccò né gli si avvicinò, ma l’uomo annuì e non disse un’altra parola.

      “Ora… ho già parlato con Delroy. È stato utile, ma solo fino a un certo punto. Ci sono andato già pesante, quindi sono disposto a credere che mi abbia detto tutto ciò che sapeva. Voglio dire, chi sopporterebbe tutta quella sofferenza solo per… che cosa? Proteggere te? Proteggere qualcun altro come te? No, penso che mi abbia confessato tutto. Ma non è stato abbastanza.”

      “Ti prego,” lo supplicò l’uomo legato. “Ti dirò quello che so.”

      “Sì, lo farai,” disse Murphy. “E spero senza tante stupidaggini.”

      L’altro agitò il capo, con enfasi e convinzione. Per un momento sembrò un pupazzo meccanico, uno di quelli caricati a molla che scuotono la testa fino a quando la chiave sul retro non finisce di girare.

      “No. Niente stupidaggini.”

      “Bene,” replicò lui. Gli si avvicinò e gli sollevò la benda insanguinata dal volto. L’uomo strabuzzò gli occhi e li roteò nelle orbite, per poi fissarli su Murphy.

      “Riesci a vedermi, vero?”

      Il tizio legato annuì, dimostrandosi collaborativo. “Sì.”

      “Sai chi sono?” gli domandò. “Sì o no. Non mentirmi.”

      Quello annuì di nuovo. “Sì.”

      “Che cosa sai di me?”

      “Sei un agente speciale di qualche tipo. CIA, SEAL, operazioni segrete. Non so di preciso.”

      “Conosci il mio nome?”

      L’uomo lo fissò dritto in faccia. “No.”

      Murphy non era certo di credergli. Gli fece una domanda facile per metterlo alla prova.

      “Hai ucciso Nisa Kuar Brar e i suoi due figli? Ormai non ha senso raccontarmi balle. Mi hai visto. Stiamo giocando a carte scoperte.”

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