Villa Glori – Ricordi ed aneddoti dell'autunno 1867. Ferrari Pio Vittorio
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СКАЧАТЬ Comitato istituito di quei giorni in Roma per provvedere ai danneggiati politici, mi toccò la sorte di dovere, cominciando dal Giovanelli, moltiplicare certificati sopra certificati e prodigar patenti a diritta ed a manca di patriottismo e di danni sofferti, come lo potrebbe fare un dittatore nel pieno esercizio delle sue funzioni.

      Eppure, a tutt'oggi che scrivo, l'effetto di parecchi fra quei certificati sussiste ancora. Io stesso che li dettai, ne sono stupito; perchè, lo dichiaro solennemente, i certificati, quantunque in ogni lor parte veri, furon da me fatti per levarmi d'attorno una seccatura, non mai perchè io ci annettessi importanza di conseguenze possibili nell'avvenire, nè perchè io credessi che s'avesse del patriottismo a fare un lucro e men che meno che della sincerità del medesimo in coloro che lo professavano, avessi proprio io ad essere il giudice competente.

      Comunque sia, l'abbondare non nuoce; e se la storia del nostro risorgimento può segnalare numerosi ciarlatani, sfruttatori postumi di patriottismo, giustizia vorrebbe però che si rimettessero le cose a posto e si desse a ciascuno la parte sua.

      Quanti patriotti morti poveri ed ignorati, quanti vivon tuttora conducendo stentatamente una vita di sacrifici e di dolori, mentre al Senato, alla Camera, nell'esercito, nella magistratura e perfino nelle file più puritane della democrazia idealista mietono il fiore delle onoranze ed assorbono anche lauti stipendi i postumi liberali, che prestarono fino all'ultimo istante mente, braccio e cuore al nemico contro l'Italia insorgente.

      La ragione politica, lo spirito partigiano ed il tempo, grande liquidatore di tutte le pendenze, fanno pur troppo obliare anche le brutte pagine della storia di un uomo e detergono (cosa incredibile!) macchie tali che nè la patria rivendicata nè la fermezza delle coscienze oneste dovrebbero mai cancellare o dimenticare!

      Di fronte a costoro, gli accaniti di casa Giovanelli, ardimentosi allora, senza miraggio di promesse, dimenticati ora in gran parte, senz'altro compenso che la coscienza d'un dovere adempiuto sono per me tanti eroi di Plutarco.

      Se all'albergo c'incresceva l'incertezza di notizie e di posizione, in casa Giovanelli ciò era addirittura insopportabile. E quando smettevasi il giuoco delle carte, era un continuo almanaccare sulle probabilità di un movimento imminente, sui punti da attaccarsi, sulla gente in cui fidare, sul numero degli insorgenti, sulle armi, sugli aiuti di fuori e sulle probabilità di dentro.

      Si parlava di Menotti Garibaldi, che allora stava organizzando le prime sue bande, ma ancora non aveva sconfinato. Nelle nostre previsioni eravamo però molto discordi. Alcuni si facevano illusioni, altri erano pessimisti: io fra questi. L'Andreuzzi invece era il capo degli ottimisti: per lui tutto era facile, tutto pronto, tutto indiscutibile. Si ragionava, si quistionava, si altercava, ed un giorno in cui la disputa si faceva più viva a proposito delle armi, che io asserivo in Roma non esistere, egli la finì col turarmi la bocca gridando:

      – Taci tu, f… d'un moderato (era l'epiteto d'obbligo cogli avversari), tu sei il più giovine di tutti e dovresti essere il più ardente a dire che le armi ci sono!

      Una risata solenne accolse quest'apostrofe. Oh se fosse bastato il dirlo!

      Se grande però era la fede dell'Andreuzzi nei mezzi posti a nostra disposizione, altrettanto feroce era l'ira sua contro i Romani. Egli non comprendeva perchè stessero inerti, attendendo che qualcuno importasse loro in casa la rivolta, e non la facessero da sè per iniziativa spontanea e per istinto erompente. Lo schiavo oppresso e generoso, esclamava egli, spezza da sè la catena che l'avvince e non attende certo chi gliela venga a sciogliere.

      A voler essere imparziali, si deve convenire che non avea tutti i torti.

      Il Governo, o dirò meglio la Polizia, che pur conosceva la esistenza di segreti complotti e la presenza di parecchi forestieri sospetti in città, pare fosse così sicura e tranquilla sul conto della popolazione da non prendere veruna misura preventiva. E la prova più chiara sta in ciò, che il papa stesso uscì a passeggio per la capitale un'ora prima soltanto che saltasse la caserma Serristori a S. Pietro4.

      Si potrebbe ritenere fosse anche ignoranza di certi particolari della cospirazione, ma non lo credo.

      L'amico nostro però dimenticava nei suoi lagni una cosa, che cioè il fiore dei patriotti romani e tutto l'elemento liberale ed adatto per un'impresa come la nostra era tutto o nelle carceri o nell'esilio.

      I più illustri fra i superstiti del memorando 1849 stavano tutti fuori di Roma o in Italia od all'estero5.

      In Roma, dunque, non rimaneva che il patriziato, ligio in massima parte alla Corte pontificia, colle innumerevoli sue aderenze ed il popolino minuto. Il terzo stato, l'elemento attivo e intelligente, non esisteva. Gli avvocati, gli ingegneri e i professionisti in genere presenti allora in Roma erano tutti o addetti alla Curia, alla Rota, al Consiglio fiscale, alla Consulta, alla Dateria, ai Ministeri, o medici di cardinali, del papa e di vescovi, o architetti di basiliche, ispettori di scavi, gente tutta che gramolava nella immensa greppia della Reverenda Camera Apostolica versante allora in ottime condizioni.

      Il popolino era quindi l'unico elemento sul quale poter contare per una sommossa nell'interno di Roma, ed a questa classe appunto appartenevano i falegnami, i cocchieri, gli abbacchiari, gli accaniti insomma che venivano tra noi a cospirare.

      Ma l'Andreuzzi queste ragioni non le inghiottiva. Un giorno in cui per il pranzo avevamo in prospettiva una grande maccheronata al sugo ed i compagni, come al solito, stavano giocando, d'un tratto entrò l'amico Augusto con piglio misterioso.

      – Che c'è di nuovo, Augusto?

      Ed egli abbassando la voce ed in istile di telegramma incominciava: Bande garibaldine scorazzano per campagna romana…

      – Romani, proseguì imperterrito l'Andreuzzi continuando a giocare, con c… in mano, casa Giovanelli maccheroni al sugo!..

      Per il momento quella infatti era la situazione!

      V.

      Sempre in casa Giovanelli

      Il vicolo dei Quattro Cantoni era però un posto tutt'altro che sicuro per noi, perchè guardato dalla polizia. Infatti allo stesso pianerottolo dove noi abitavamo, anzi di fronte alla nostra porta, dimorava un precettato o, come oggi direbbesi, un ammonito. La notte, all'avemaria, doveva trovarsi in casa ed i gendarmi venivano ogni tanto a verificare.

      Bisogna credere che il Comitato ignorasse affatto questa circostanza, perchè altrimenti non avrebbe in alcun modo scusa per averci posti così in bocca al lupo. Noi stessi l'ignorammo per più giorni. Il Giovanelli non ce ne disse nulla ed anzi era fiero di poterci presentare quell'accanito. Ci fece scoprire la cosa un altro fatto che ora narrerò.

      Al piano terra della nostra casa abitava un tale di cui non ricordo nome e condizione, ma che dal vestito che indossava, pantaloni larghi alla francese ed una grande papalina rossa in testa, era dai vicini denominato il Turco.

      Come precisamente la pensasse costui non si sapeva; però dovea di certo essere uomo gioviale, perchè una bella sera gli venne il ticchio di voler dare una festa da ballo. Non saprei ricordare quali fossero gli invitati; bensì ricordo che l'orchestra era costituita da un'armonica e dalla chitarra di Pietruccio come accompagnamento.

      Quando il Turco venne a fare li patti con Pietruccio, ci si mise di mezzo il Giovanelli e sembrandogli che una tal festa potesse tornar pericolosa per noi, tentò di dissuaderlo. Fu come buttar olio sul fuoco. Il Turco fu irremovibile non solo, ma anzi dichiarò che il motivo per cui dava la festa era nè più nè meno perchè… eravamo alla vigilia di grandi avvenimenti.

      La СКАЧАТЬ



<p>4</p>

Per chi non conosce o non ricordi la storia di quei giorni, è bene ripetere qui che fra i progetti d'insurrezione, vi era pur quello di far saltare talune caserme militari. La cosa non riuscì in parte che per la caserma Serristori in Trastevere. Vi rimasero feriti taluni zuavi del concerto e per questo fatto furono imputati e condannati Monti e Tognetti, che scontarono poi sul patibolo il loro ardimento. Lo scoppio accadde il 22 ottobre, ossia il giorno prima del fatto di Villa Glori.

<p>5</p>

… parmi si debba pensare a rifornir Roma di giovani; rendere più forte l'elemento importato, dal quale solo puossi aspettare una vigorosa iniziativa. Nè con ciò intendo far torto alla popolazione romana; tutti sanno quale depressione subisca l'animo di un popolo che per tanti anni fu soggetto a dispotico governo, tanto più se tale governo è il clericale. Era davvero necessaria cosa rendere più forte l'elemento importato, che a minime proporzioni era stato ridotto dagli arresti e dagli sfratti, il quale elemento, senza bisogno d'aggiungerlo, era per buona dose composto d'emigrati romani. Giovanni Cairoli, Spedizione dei Monti Parioli. Milano, editore Perelli, 1888.