Villa Glori – Ricordi ed aneddoti dell'autunno 1867. Ferrari Pio Vittorio
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СКАЧАТЬ di tutti cotesti (come chiamarli altrimenti?) spiantati. Gli fu risposto che occorrevano per lo meno mille e cinquecento lire.

      Il Cucchi arretrò sbigottito, ed uno dei presenti uscì in questa esclamazione:

      – Mille e cinquecento lire! ma non sapete che se avessimo una tal somma compreremmo tante armi?

      Questa risposta fu per noi una rivelazione.

      Io che nella nostra compagnia avrei dovuto essere il più ardente, giusta l'opinione dell'Andreuzzi, se prima ero sfiduciato, a quest'uscita rimasi addirittura avvilito. Come, esclamai fra me, non si hanno nemmeno mille e cinquecento lire disponibili e si pretende di fare una rivoluzione? una rivoluzione per la quale occorrono dei milioni e non delle migliaia di lire?..

      Invano l'Andreuzzi tentava persuadermi. Non ne volevo sapere. D'altro canto si parlava giorno per giorno di Menotti Garibaldi che si avanzava ed era già entrato nel confine pontificio; le sue bande ingrossavano ed era imminente un fatto d'arme. Essendo discordi i pareri, fu deciso che ognuno riprendesse la sua libertà d'azione. Vincoli non ne avevamo. Eravamo partiti ad un unico scopo: la rivendicazione di Roma.

      A me ed al compagno mio parve che questa, coi mezzi che s'avevano alla mano, fosse addirittura un'ubbia. D'altro canto in campagna già i nostri fratelli marciavano; era imminente il momento di menare un po' le mani, e senz'altro decidemmo la nostra partenza.

      Infatti la sera di quello stesso giorno prendemmo il diretto per Terni.

      Gli altri amici rimasero in Roma; non ricordo di quali mezzi siano stati soccorsi o se sieno riusciti ad averne da casa. Essi furono il nucleo degli assalitori di Porta San Paolo e si trovarono poscia con gli altri al loro posto a Mentana. Alcuni di loro vi rimasero anzi prigionieri.

      All'atto del partire da Roma la polizia ritirava i passaporti dei forestieri per restituirli poi a Passo Corese. Già accennai che il mio compagno Muratti aveva il passaporto di un suo amico, il conte Giovanni Colloredo di Udine. Quando fummo a Corese, un commissario fece la chiama per la consegna dei passaporti; arrivato al nome di Colloredo, non gli venne risposto da alcuno, perchè Muratti in quell'istante stava occupato a rassettare il suo bagaglio e nella distrazione del momento aveva dimenticato il suo nuovo casato.

      – Colloredo! – chiamò di nuovo più ad alta voce il commissario, mentre io schiacciavo il piede e davo del gomito all'amico per richiamarlo:

      – Conte Giovanni Colloredo! – chiamò per la terza volta ed a chiara voce il commissario.

      – Eccolo! – rispose tosto rinfrancato il Muratti scrollando la testa con lieve sorriso sardonico che pareva dicesse: Chiami le persone coi loro dovuti titoli ed allora risponderanno.

      Il commissario capì il latino, si fe' rosso un pochino, levò il berretto ossequioso e consegnandogli il recapito mormorò:

      – Scusi tanto!

      Così partiamo trionfanti.

      VI.

      Terni

      Arrivammo a Terni a notte inoltrata.

      Qui sapevamo che doveva trovarsi un nostro amico, Pietro Mosettig di Trieste, già proprietario, fino a pochi mesi or sono, del giornale Il Secolo XIX di Genova.

      Prendemmo stanza all'Hôtel della Regina d'Inghilterra. In questi ultimi anni fui a Terni parecchie volte; vidi la casa, ma l'albergo non esiste più. Proprietario ne era un giovane cortese, che per quei giorni e nel suo mestiere fu veramente benemerito. Si chiamava Cesare Melchiorri. Chi sa se vive ancora!

      La mattina dopo, il primo che incontrammo, fu appunto il Mosettig, cui narrammo le vicende della nostra dimora in Roma. Egli ci condusse tosto dal maggiore Caldesi che abitava all'albergo delle Colonne. Lo informammo per filo e per segno del poco che sapevamo, ma più specialmente della carestia d'armi e di quattrini del Comitato.

      Il buon Caldesi, da bravo romagnolo, non sapeva capacitarsi del perchè non si agisse subito e sopratutto non sapea darsi pace dell'avere noi abbandonato quel progetto d'assalire il Casino militare. Sembravagli che quello sarebbe stato un colpo da maestri. Riflettendoci ora, dopo trent'anni, si ha ragione di credere che sarebbe stato un colpo da pazzi. Caduti nella trappola, saremmo rimasti tutti scannati!

      Appena ora, che Terni è fatta centro di importantissime fabbriche industriali, come l'acciaieria, le ferriere e la fabbrica d'armi, potrebbesi in un giorno di festa immaginare l'animazione insolita e la vita che brillava nella piccola e gentile città dell'Umbria nel mese di ottobre del 1867. Ma ora le vie brulicano delle casacche e delle blouse di lavoratori e d'operai, allora invece brillavano di camicie e di berretti rossi e medaglie. Quanta varietà di tipi, d'età e di condizione! Ma tutti uniti, tutti concordi verso una sola meta! Ogni giorno ne arrivavano a frotte colla ferrovia, colle vetture, a piedi, a cavallo7. Dal governo erano emanati ordini, contrordini, arresti, rilasci, la confusione babelica!8

      Il Ministero Rattazzi, che voleva imitare la politica d'altro grand'uomo in consimile occasione, fingeva di reprimere e d'impedire, ma viceversa lasciava fare, quindi ire, battibecchi, dispetti.

      All'albergo d'Inghilterra, ove di solito pranzavasi a tavola rotonda, era un parlare chiaro ad alta voce dei propositi nostri, della doppiezza e della simulazione del governo, delle bande garibaldine, dei fatti di Menotti.

      Si strinsero amicizie e si fecero conoscenze carissime, in parte conservate, in parte dimenticate; fra tanti, ricordo i fratelli romani Nino e Carlo Castellani (quest'ultimo poscia bibliotecario alla Vittorio Emanuele e recentemente morto), Nino d'Andreis, romano pagano e Angelo Perozzi, romano spartano, il venerando Fabrizi, il gentile Delvecchio (quanti morti!) allora giovanissimo attaché del generale Garibaldi e poscia deputato intelligente, i garibaldini Pietrasanta, Nuvolari, Tabacchi, già deputato pur esso e buon amico sempre. Poi vennero il Valzania, il Sabatini, il Montefiore e da ultimo anche il Crispi. Quanta parte di costoro pur troppo ora è scomparsa!

      La somma delle cose e la direzione del movimento in Terni l'aveva il Fabrizi, ma l'anima di tutto, i lavoratori indefessi furono sempre gli indimenticabili amici Enrico e Giovanni Cairoli. Trovavansi in Roma da parecchio tempo e n'uscirono due o tre giorni dopo la nostra partenza. Noi li vedemmo arrivare una sera che ci trovavamo per caso alla stazione. Ravvisatili, chiedemmo loro il motivo del ritorno. Ci accennarono di tacere e quando fummo all'albergo, preso con loro il Mosettig, gli raccontarono come fosse stato arrestato Giovanni, come si fosse Enrico recato di persona alla polizia per reclamare la libertà del fratello e come dopo un fiero battibecco fra lui e monsignor Randi (allora direttore generale della polizia) fossero finalmente lasciati liberi entrambi colla condizione di sfrattare immediatamente da Roma. Questo fatto sconcertava alquanto i loro piani, però si misero all'opera volonterosi anche in Terni.

      I volontari andavano moltiplicandosi a vista d'occhio e si cominciava a dividerli per battaglioni e per compagnie, assegnando a ciascun corpo dei graduati fra quelli che già lo erano nelle passate campagne.

      Non si può negare che nella campagna romana del 1867 non vi sia stato un abuso enorme di autopromozioni, le quali non contribuirono che a creare maggior confusione. Chi era tenente diventò ipso facto capitano, chi capitano si fece maggiore, i maggiori divennero colonnelli; e siccome di camicie e distintivi chi n'aveva n'aveva e chi non ne aveva ne facea senza, così la cosa finiva quasi in burletta e veniva a mancare quel rispetto che tiene e dee tenere anche il volontario in soggezione al suo superiore, riconosciuto appunto dall'esteriorità dei distintivi. Però vi furono anche in ciò delle brave eccezioni.

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<p>7</p>

Qui in Terni funziona liberamente un comitato, direi meglio una specie di ministero sotto la presidenza del generale Fabrizi, che organizza le bande, le provvede d'armi e le manda oltre il confine. Ogni giorno giungono qui mille circa volontari, e questa sera ve ne sono in paese non meno di duemila. Rapporto del generale Ricotti, 21 ottobre, al Ministero della guerra.

<p>8</p>

«Impedisca partenza volontari. Imbarazzano non giovano. Ce ne sono moltissimi. Non si sa che farne». Così telegrafava da Terni un deputato autorevole di sinistra al presidente del Consiglio Rattazzi.