Il perduto amore. Fracchia Umberto
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Il perduto amore - Fracchia Umberto страница 8

Название: Il perduto amore

Автор: Fracchia Umberto

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ sulla bocca.

      – Ebbene? – domandò quella voce. – Che cosa volevate dire? Che io sia per lui come un fiore? Come una violaciocca, un piccolo fiore di campo?

      Io volevo rispondere: – No, no! Non dovete andare. Non voglio!

      Ma ero come assonnato. Udivo, vedevo, comprendevo, ma non potevo nè muovermi, nè parlare.

      – Che io vada? – mormorò (ed era nella sua voce qualche cosa di più commovente che il pianto, di più tenero che una carezza, di più dolce che una parola d'amore), – che io vada? Perchè egli dica di me, domani, come ieri: – Quella donna è doppia come un serpente? – oppure: – Ella è venuta ad offrirsi ma io non l'ho voluta?

      – No! – esclamai, – Clauss non dirà questo. Io sarò presente. Noi ceneremo insieme sulla veranda, ed egli non potrà insultarvi…

      – Ah! tu non lo conosci! – (ella disse così: tu non lo conosci). – Clauss è capace di tutto.

      La sua voce era tanto ferma che ne rimasi sconcertato. No, non ero ancora perfettamente lucido. Avevo un folle desiderio di piangere. Pensavo: – Se non viene questa sera forse non la vedrò più, mai più. E mi pareva di perdere un gran bene, una gran gioia, non potendole stare accanto per qualche ora, di notte, alla luce delle candele, sulla veranda, nell'intimità di una piccola tavola imbandita.

      – Ma che v'importa di lui? – gridai. – È una grazia che vi chiedo per me, per me solo!

      Caddi in ginocchio, le presi le mani, vi posai sopra le labbra e rimasi così, curvo, attonito. E stando così, curvo, sentii un contatto caldo, una calda carezza sui miei capelli, (io tenevo strette le sue mani contro la mia bocca), una carezza assai lunga e calda sui miei capelli.

      – Anche tu sei moribondo? – chiese la sua voce, vicinissima.

      – Daria, Daria, – mormorai, – non mi disprezzate? Non vi ricordate di ieri? Delle mie parole?

      – No, – disse, – non mi ricordo. Non voglio ricordarmi.

      – Mi perdonate?

      – Sì, – disse, – ti perdono. E soggiunse, dopo una pausa, parlando ancora più sommessa: – Verrò, verrò questa sera…

      Allora il mio fervore cadde. Mi sollevai e, senza guardarla in viso, ancora una volta le baciai le mani, e me ne andai.

      Uscendo sulla strada soleggiata, provai l'impressione di destarmi da un sogno. I colori, la forma delle case, le persone che stavano affacciate alle finestre e sugli usci o che passavano accanto a me; le loro voci; un pappagallo sul trampolo; l'insegna d'un'osteria, un fanciullo che saltava dinnanzi ad una porta rossa; tutto quel rimescolio di gente, quella varietà di colori, l'intensità della luce, mi stupirono come se avessi lasciato il mondo buio, muto e deserto, e lo ritrovassi ora illuminato, sonoro e popoloso. Da quegli uomini e quelle donne (essi ridevano forte, parlavano, si salutavano, si chiamavano da lontano, si rincorrevano), da quel frastuono di grida, di risa, di canti, di rumori, di musiche (il rotolare saltellante delle carrozze, lo schioccar delle fruste, i carri, lo sbatacchiar degli usci), si comunicò a me un desiderio infantile di correre, di ridere, di cantare, di partecipare, anima e corpo, a quella vita che si manifestava tutta alla superficie, come la spuma di un vino leggiero e inebbriante. Guardai il mio orologio: era ancora molto presto. Camminando celeramente, mi sembrava di esser portato dal vento, tanto mi sentivo felice.

      VII

      Non so perchè gli angioli che si vedono negli antichi pittori e quelli che si librano sulle loro grandi ali variopinte, le pieghe dei camici piene di vento, sotto le grandi cupole delle chiese, abbiano tutti sembianze femminee, lunghi riccioli bene inanellati, e negli occhi un'amorosa luce. Noi le contempliamo da fanciulli, con vergine maraviglia, quelle incantevoli immagini, e ci insegnano ad adorarle, perchè sono la bellezza, la purità, l'amorosa musica del cielo. La nostra infantile fantasia, dipingendo poi di sogni la terra, scopre nel viso di nostra madre, in quel volto giovine e bello che si curva sopra di noi ogni sera a chiuderci con un bacio le palpebre al sonno, che ci veglia amoroso quando l'incubo ci desta improvvisamente in piena notte e il buio e la solitudine sono come un baratro che ci riempie di spavento, o quando, malati, la febbre suscita sinistri fantasmi da ogni angolo della stanza, la nostra fantasia scopre tratti di somiglianza con quelle soavi immagini di paradiso, lo stesso candore, una grazia uguale, una dolcezza altrettanto soave e serena per cui quel caro volto altro non è che angelico. Così la bellezza, il candore, la pietà, l'amore sono e rimangono per noi definitivamente tanti attributi della femminilità, che fanno di ogni donna, ai nostri occhi, una creatura celeste.

      M'ero seduto in un angolo dei giardini pubblici, dove un piccolo specchio d'acqua offriva il suo grembo translucido a un ponticello di ciliegio, nella pia ombra di quattro enormi salici. Quell'angolo era deserto, e soltanto oltre alcune aiuole, dietro bei ventagli di palme, passeggiava la solita gente oziosa. Così, indisturbato, richiamavo alla mia memoria ad una ad una le fugaci impressioni di poco prima, e potevo tenerle ferme sospese dentro di me, analizzarle a lungo con calma, godendone finchè ne ero sazio. Scomponevo in mille parti la figura di Daria, per ricomporla poi tutt'intera in quell'immagine unica che mi era rimasta fissa negli occhi fin dalla sera prima. Ed erano ogni volta meraviglie e palpiti, come se mi fosse apparsa viva soltanto allora da un sogno incerto e intricato.

      – Hai veduto come sotto la sua pelle diafana corrono le vene azzurrine? domandavo a me stesso. Che fragilità hanno le sue tempie, i suoi polsi! Come il suo cuore è indifeso! Le mani… le dita affusolate, le palme rosee e concave come i grandi petali del loto… Le muove lentamente quasi le sostenesse e le portasse l'aria: senza peso. Strana, strana cosa! Hai veduto? Chi ti ha detto che i suoi occhi sono neri? Come hai potuto sbagliarti? Sono azzurri e verdi… Ma la pupilla è enorme e le ciglia sono violette. Forse è nero lo sguardo, non gli occhi! E che grazia! Quando inchina la fronte e il suo viso s'adombra, sembra che si nasconda sotto i riccioli pesanti e cupi. Allora ti guarda dal basso, come una colomba innamorata, col capo un poco piegato sulla spalla, e sempre sempre sorride…

      Tra due ventagli di palma, vidi d'un tratto veramente un volto ombrato che mi sorrideva, uno strizzar d'occhi e due labbra scarlatte che mi facevano: pss pss… E poi un ventaglio si abbassò e apparve un gran cappello di paglia, e poi un braccio, e poi una gamba sottile e lunga, e poi un gonnellino rosso che si gonfiò in un salto e si posò accanto a me sul sedile.

      – Non mi riconosci? – domandò una voce acuta come un allegro campanellino d'argento.

      M'inchinai sorridendo, senza parlare.

      – Com'eri buffo! – continuò quella voce. – Che ridere ho fatto, che ridere! E non dicevi niente! Nemmeno un fiato! Eri buffo da morire!..

      – Capisco! – dissi. – Lei, signorina, deve essersi divertita moltissimo… Ma io…

      – Ma tu? Ma tu dovevi ridere più di me, ragazzo mio! – esclamò con tono grave di rimprovero. – Non la conosci dunque? La prima volta è così con tutti…

      – Ecco, – dissi: – a lei forse sembrerà facile… Ma per me è diverso. Io sono un uomo.

      – Un uomo!

      Allargò le braccia sulla spalliera del sedile, stese le gambe, puntò in terra i tacchi alti delle sue scarpette e rovesciando indietro il capo disse con semplicità:

      – Dammi pure del tu… Tutti quelli che danno del tu a Daria possano dare del tu anche a me…

      La СКАЧАТЬ