Il perduto amore. Fracchia Umberto
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Название: Il perduto amore

Автор: Fracchia Umberto

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ Ti prometto di parlarle di te domani. Le dirò: – Quelle parole le avevo io sulla punta della lingua, ma egli me le ha tolte di bocca. Eppure temo che mi manchi il coraggio di dirle nulla, perchè domani sarà giorno. Di notte è un'altra cosa, sebbene sia anche più temibile. I suoi occhi sono come quelli dei gatti. La sua carne muta colore, come l'opale, o la madreperla, la madreperla levigata e cangiante. La sua carne… Ah! Io non direi queste cose a nessuno… È un gran segreto!

      Tacque e si avvicinò allo specchio.

      – Non ti pare, – domandò guardandosi, – non ti pare che io sia bellissimo?

      Si inchinò e mi disse addio.

      Io chiusi la porta dietro le sue spalle e mi gettai, esausto, sul letto.

      VI

      Quando, a mezzogiorno, fui pronto per uscire, decisi di andare lungo la spiaggia dove erano tirate a secco alcune flottiglie di barche e distese al sole lunghissime reti. Il meriggio era tiepido e sereno: calmo, il mare, appena ondeggiava. Vagai per qualche tempo qua e là, a caso, raccogliendo conchiglie e facendo disegni sulla sabbia, finchè vidi, sopra la punta di una penisoletta, la casa di Clauss, poco lontana, fra un giardino di palme che l'onda lambiva da tre lati. Ad essa si saliva per un viottolo disselciato, fiancheggiato da muri e da siepi di oleandri. Clauss in persona s'affacciò alla veranda, mentre io bussavo al cancello. Discese ad aprirmi, e tutti e due ci sedemmo sotto un tiglio, fra due aiuole fiorite.

      – Ebbene? – mi domandò.

      Non gli avevo mai veduto un viso così buono.

      – Ebbene, – risposi, – ieri sera eravamo tutti pazzi.

      Clauss aveva l'aspetto di un ragazzo pentito, tanto i suoi occhi erano miti e il suo atteggiamento umile. In quel momento, con quel volto stanco, con quel sorriso che appena gli sfiorava la bocca, somigliava veramente poco a sè stesso.

      – Sì, – disse, – eravamo tutti pazzi, chi più chi meno. Anche tu, un poco. Anch'io. È strano. Cioè, non è strano. Hai veduto Daria? Tu la vedevi per la prima volta. È fatta così. È come una bambina capricciosa. Una bambina cattiva e viziata. E quel povero Sterpoli, che ha smarrito la ragione per lei, ha avuto ieri sera un gran colpo…

      – Davvero… – mormorai. – L'ho veduto dopo, a casa. Aveva un livido sulla faccia.

      Clauss di nuovo sorrise. Poi mi prese le mani e mi chiese:

      – Mi vuoi bene?

      – Certo… – mormorai esitando. – Perchè non dovrei volerti bene?

      – Grazie, – soggiunse, – ciò mi conforta assai. Chi può dire perchè si desidera e si cerca, alla mia età, l'affetto e la dimestichezza dei giovani? Sono tristi, molto tristi, amico mio, queste basse forme, queste forme senili d'egoismo. Ma tu devi considerarmi come un moribondo al quale ogni cosa può servir di conforto.

      – Che dici mai! – proruppi ridendo. – Ora tu vuoi burlarti di me…

      – No, no, non mi burlo nè di te nè di me stesso, – rispose Clauss con la medesima voce sommessa, senza tralasciare di tenermi le mani e di guardarmi teneramente. – Io sono nato matematico. Tutta la mia vita, in apparenza tanto disordinata, fu sempre regolata sopra un calcolo esatto, secondo la nozione precisa e minuta delle mie forze. Quando scaglio una pietra, non so forse dove la pietra deve cadere? Ciò dipende unicamente dall'impulso che io le darò. Così per tutto il resto…

      S'interruppe e guardò una farfalla sopra una rosa, un'ape sopra un fiore.

      – Tu non mi hai mai domandato, – soggiunse, – perchè dunque liberassi l'uccisore di Behela. Io infatti tagliai la sua corda, vicino al nodo. Ma con quella stessa corda, come prevedevo, l'omicida s'impiccò il giorno dopo a un albero della foresta.

      Io tenevo gli occhi fermi su lui, mentre parlava. Può darsi che egli non mi leggesse negli occhi altro che un ingenuo stupore; ma in realtà ero ben sveglio, e cercavo di capire, guardandolo attentamente in viso, che cosa ci fosse di tanto strano e di nuovo nella sua persona: se la voce, lo sguardo, o l'abito, che era bianco. Quanto a lui, pareva veramente turbato da non so quale nascosta preoccupazione, come inquieto, incerto, non così sicuro di sè come sempre.

      – Paris, – disse ad un tratto, – ti sembrerà ch'io sia capriccioso come un ragazzo. Non so che cosa tu possa pensare di me: pure voglio che tu mi aiuti a uscire da questo equivoco che mi ripugna e mi addolora. Daria… – (e quel nome risuonò al mio orecchio come un richiamo, come un allarme) – Daria…

      – Ebbene? Daria? – domandai con un palpito.

      – Daria è una donna. Bisogna essere pietosi con lei e perdonarla.

      Rimanemmo un momento muti. Io aspettavo che egli continuasse, ed egli non parlava.

      – Perchè, – mormorai alfine, – perchè, allora, ieri sera, non sei stato pietoso con lei, quando si è messa a piangere?

      Silenzio.

      – Perchè, – continuai con gli occhi bassi, le gote che mi cominciavano a bruciare, – perchè mi hai rimproverato d'aver tentato, io, io solo, di consolarla quando piangeva?

      Clauss m'accarezzò con dolcezza la mano e disse:

      – Hai ragione… Appunto per ciò ora sento che debbo io fare qualche cosa per lei. Dunque (questo appunto volevo dirti) tu andrai a casa sua e la pregherai di venire qui, a cena con noi, stasera…

      – Con noi?

      – Ti dispiace forse?

      – No, no, – balbettai, – no, Clauss, non andrò da lei… No, non pensarlo seriamente neppure un minuto che io possa andare da lei, presentarmi, parlarle… sostenere quello sguardo… riudire quella voce cattiva… No, no, Clauss, non è possibile!

      – E di che hai dunque paura, stupido? – domandò Clauss bruscamente.

      Ecco: davvero avevo paura, un'indicibile, una pazza paura. Se mi fossi imbattuto in Daria, per caso, all'angolo di una strada, sentivo che avrei preferito, a quell'incontro, di inabissarmi in una buca profonda mille metri, e non uscirne mai più. Avrei preferito qualunque supplizio, o vergogna, o castigo, al pensiero di dovermi trovare solo di fronte a lei, costretto a guardarla, a parlarle, anche semplicemente a inchinarmi senza pronunciare una parola, o muovere un gesto, o battere palpebra. Ma ero anche così sciocco, che a udire quella parola – «stupido» – la paura svanì d'un tratto, e mi sentii disarmato e pronto tuttavia a superare ogni prova con un coraggio disperato.

      – Non è che io abbia paura, – mormorai. – Penso soltanto che riconoscendomi per quello di ieri sera non voglia neppure ascoltarmi. Un altro forse riuscirebbe meglio di me.

      – Al contrario! – esclamò Clauss alzandosi. – Quando ti avrà riconosciuto non dubiterà d'un inganno. Basta che tu le dica che io non l'amo, che io non l'odio, che io non voglio essere per lei se non un amico sincero e fedele. E che noi tre insieme desideriamo questa sera concludere solennemente la pace.

      Mi condusse presso il cancello. Camminando pensai ancora:

      – Ora gli dirò che cerchi un altro. Io non andrò a nessun costo…

      Ma СКАЧАТЬ